Ru486, polemiche sull’odg firmato da Locci e Castellano
Nonunadimeno all'attacco: "L?ennesimo tentativo di minare l'autodeterminazione delle donne"
ALESSANDRIA – Dovrebbe essere discusso nel corso del consiglio comunale di domani l’ordine del giorno presentato da Emanuele Locci (Alessandria Migliore) e Piero Castellano (Fratelli d’Italia) avente come oggetto “sostegno alle linee di indirizzo della Regione Piemonte su Ru486”.
Nonunadimeno, così, a più di due anni di distanza dalle polemiche sulla mozione Locci-Trifoglio del 2018, torna all’attacco: “Non ci stupisce – scrive in una nota il collettivo – Questo non è altro che l’ennesimo tentativo di minare l’autodeterminazione delle donne. Il trucco ancora una volta consiste nel dire di voler applicare la 194 nella sua totalità sostenendo, però, le associazioni che sono legate a movimenti che la 194 intendono abrogarla. La cosa più subdola è il tentativo di far passare un’operazione prettamente ideologica, che lede la capacità di ogni donna di poter decidere della propria vita e del proprio corpo in maniera autonoma, per un’accortezza nei confronti delle donne stesse”.
Le attiviste, non a caso, ricordano che “la circolare incentiva la presenza di associazioni pro-vita e antiabortiste all’interno delle strutture sanitarie pubbliche, promuovendo l’apertura di loro sportelli permanenti; mette in discussione l’accesso all’aborto farmacologico in regime di day hospital, riservando la scelta ai singoli medici, che possono così decidere di accettare di somministrare la pillola abortiva esclusivamente previo ricovero, seppur non esistano prove scientifiche che confermino la pericolosità del day hospital per la donna in condizioni di salute: impedisce la somministrazione dell’Ru486 all’interno dei consultori”.
“Nell’odg presentato dai due consiglieri antiabortisti, già firmatari della mozione Locci Trifoglio – proseguono – si legge che ‘ricondurre l’aborto al day hospital, depotenziare la funzione di prevenzione e tutela dei consultori e l’estensione del limite a nove settimane di gravidanza vanno nella direzione di un più forte confinamento nella sfera privata di un gesto di grande rilevanza emotiva, sociale e morale e hanno l’effetto di far gravare in modo sempre più pesante sulle spalle della (sola) donna l’onere di un gesto dalle drastiche conseguenze’. Locci e Castellano, dunque, vogliono precludere la somministrazione della RU486 all’interno dei consultori ma ci raccontano di farlo perché hanno a cuore la tutela delle donne. Ma per tutelare le donne, e salvaguardarne il diritto di scelta, non sono proprio i consultori – strutture nate dalle lotte delle donne degli anni ’70 – i luoghi più indicati?”.
Non solo: Nonunadimeno punta l’indice pure “sul giudizio di valore che viene dato in merito alla pratica stessa dell’aborto: sostenere che l’aborto sia ‘un gesto di grande rilevanza emotiva, sociale e morale’, vuol dire implicitamente giudicare l’aborto come una pratica sociale, non più riconducibile a una scelta individuale della donna, così come dovrebbe essere, quanto a un atto con delle ripercussioni per la collettività (argomentazione care alla destra italiana ma non solo, che utilizza lo spauracchio della sostituzione etnica per ostacolare le politiche in materia di salute riproduttiva e poter continuare con le proprie politiche di controllo dei corpi). Giudicare l’aborto come una pratica di grande rilevanza morale vuol dire decidere in maniera arbitraria quale siano i parametri morali ai quali si vuol fare riferimento, fare leva sulla rilevanza emotiva del gesto vuol dire non tener conto di tutte quelle donne che, giustamente, non vivono la pratica abortiva come una “licenza di uccidere”, mantra caro alle associazioni antiabortiste a cui si vogliono spalancare le porte degli ospedali pubblici”.
“Siamo stanche di retoriche colpevolizzanti – concludono – così come siamo stanche di essere infantilizzate da chi reputa non abbastanza consapevoli le nostre scelte. Non abbiamo bisogno di politiche che ostacolino ancora una volta l’accesso alle pratiche abortive, già messe a repentaglio dall’alto tasso di obiezione di coscienza ed alla considerazione dei consultori come servizi non essenziali da poter mettere in discussione in tempi di pandemia. Si lasci alle donne che, invece, non vogliono figli la propria libertà di scelta e la possibilità di poter accedere al servizio senza che ad accoglierle siano associazioni che mettano in dubbio la capacità stessa della donna di poter prendere una decisione in completa autonomia”.