25 aprile: il giorno che ci chiede chi vogliamo essere
Oggi più che mai il passato bussa al presente e ci impone una scelta: essere spettatori distratti o protagonisti consapevoli di un futuro fondato su pace, dignità e libertà. La Resistenza vive in ogni atto di giustizia quotidiana. La riflessione di Edoardo Campazzo
25 APRILE
È oggi, nel presente, che si gioca la partita più importante.
Ognuno di noi, ogni giorno della sua vita, respira nell’istante, muovendo passi sempre nuovi, mai uguali a quelli che ha percorso prima. In questo muoversi e respirare, quello che abbiamo dietro, il passato, si innesta su quello che stiamo vivendo, il presente, e condiziona anche la nostra immaginazione e i nostri desideri, quindi ciò che riteniamo sia il futuro.
Volenti o nolenti facciamo i conti con il nostro passato e questo ricade non solo su di noi, ma anche su quello che ci sta attorno. Quando si nomina la parola passato non si può non fare riferimento alla memoria; la sfera dell’antecedente, una realtà altra che ricordiamo, un’assenza presente.
Ma per quale motivo si ricorda qualcosa? A cosa ci serve?
È come se alcune esperienze abbiano lasciato un segno, un’impronta nella nostra anima; un’impronta che non è semplice disegno ma è anche una modifica, una direzione a quello che la nostra anima si presterà ad essere nel futuro.
Questo accade ogni giorno e l’aspettativa media di vita di una persona in Italia è all’incirca di ottant’anni. E ottanta sono anche gli anni da quel 25 aprile 1945; giorno in cui l’Italia si liberò dalla dittatura fascista, dall’occupazione nazista e giorno in cui finì una guerra lunga, tremenda e fratricida.
In quel mese di aprile, in quei giorni, è stato piantato il seme che ha generato, ha dato vita alla società che noi viviamo ora. Le radici di questa creatura affondano in quella terra in cui sono caduti a migliaia, tra combattenti e innocenti; persone che in quei mesi fecero la scelta di combattere, ma anche persone che non fecero la guerra e caddero a causa di essa e della sua cieca e meschina violenza. Il loro sangue, che è sceso tra le fessura delle nostre colline, delle nostre terre è la linfa che ha fecondato la terra per il domani; un domani che loro sognavano di pace e di libertà.
Sono lì, le radici di quella che poi è la Repubblica Democratica che noi viviamo ancora oggi.
Infatti è qui nel presente che si gioca la partita più importante. Perché è Oggi che si ricorda, che si fa atto di memoria; una dimensione, un terreno collettivo in cui ci si chiede da dove veniamo e quale direzione stiamo prendendo noi e il mondo che abitiamo.
Noi non siamo solo gli eredi di un qualcosa di finito e solamente da contemplare, come un quadro o una rendita che i nostri antenati ci hanno regalato. Noi siamo i custodi di un messaggio eterno, che non ha a che fare con la passione per una bandiera, un’ideologia o le circostanze di un preciso momento; o almeno non è solo questo. È qualcosa di molto più grande, che ha a che fare con la dignità di essere uomini; uomini liberi che rispettano il prossimo, come suo simile, come un suo fratello, rifiutando la violenza, la superiorità e la prevaricazione. Un modo di abitare il mondo, una condizione esistenziale che è figlia di quell’amore incondizionato, che non ha bisogno di un ritorno, tipico della terra e della natura.
Non possiamo permetterci di ignorare quelle sofferenze, quegli orrori, quelle efferatezze che sono accadute e che troppe volte la storia e la politica hanno tentato e tentano ancora oggi di omettere. Sarebbe come calpestare le nostre stesse vite, mettere a tacere la nostra coscienza di uomini liberi. Sarebbe come accettare e credere lecite le scorciatoie della sopraffazione sui più deboli, dell’esclusione del diverso, della propaganda aggressiva e populista. Sarebbe come credere ancora giusta, pensare come una soluzione, la scelleratezza della guerra e del conflitto.
25 aprile quindi non significa osservare, solo per un giorno all’anno, in maniera passiva, quello che succedette nel 1945. Significa mantenere vivo in noi, qualcosa che ci aiuta oggi e ci aiuterà per il futuro; è ricordare in maniera attiva, cosciente quella speranza lanciata oltre il dolore, la paura e la privazione di ogni libertà; una speranza commovente che sta alla base della motivazione di questo atto di memoria. La motivazione è la necessità. Necessità di riprendere quei valori che sono un appiglio, un aiuto per non cadere sconfitti oggi. Una medicina per percepire la repressione del pensiero critico e libero, repressione che si fa sempre più strisciante e mascherata; per smascherare quelle parole cariche di un odio infondato e una rabbia gratuita verso nemici inventati; per sentire ancora la sofferenza del prossimo vicino o lontano; per percepire ancora le ingiustizie qui e nel mondo.
Questo è il 25 aprile.
Qualcosa di vivo e oggi più che mai attuale e fondamentale per costruire un futuro.
Cito i versi di Ungaretti nella poesia Per i morti della Resistenza:
– “Qui / Vivono per sempre / Gli occhi che furono chiusi alla luce / Perché tutti / Li avessero aperti / Per sempre / Alla luce” – .
Celebriamo questo giorno per mantenere gli occhi aperti, tutti, nessuno escluso.
Viva il 25 aprile di ieri, oggi e soprattutto domani.
Chi è Edoardo Campazzo?
Classe 1999, Edoardo Campazzo vive a Morbello, paese al quale è legatissimo, in provincia di Alessandria. Dopo avere conseguito la laurea triennale in Lettere all’Università di Genova, si è diplomato alla scuola Holden di Torino con un Master Biennale in Tecniche della Narrazione. La scrittura è la sua grande passione, ma Campazzo è anche calciatore dilettante di ottimo livello (attualmente gioca in Eccellenza, con la maglia dell’Ovadese) e da qualche tempo ha cominciato anche una carriera come insegnante.