Paolo Condò, lezione ovadese su sport, giornalismo e comunicazione
"Un vero giornalista deve andare in giro da solo e deve sporcarsi le scarpe. Ma io sono un dinosauro..."
OVADA – «Un vero giornalista deve andare in giro da solo e deve sporcarsi le scarpe. Ma io sono un dinosauro». Paolo Condò, attuale commentatore di Sky Sport e collaboratore del Corriere della Sera, ha condiviso la sua visione del giornalismo moderno con il pubblico presente al terzo appuntamento con “Mercoledì è sport”, la rassegna letteraria a sfondo sportivo creata dall’Enoteca Regionale di Ovada in collaborazione con le nostre testate cartacee “L’Ovadese” e “Il Piccolo” e il supporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Un privilegio avere in Enoteca uno dei principali protagonisti del racconto sportivo negli ultimi 40 anni che ha condiviso le esperienze vissute in una carriera infinita e dialogato a tutto campo con gli appassionati presenti.
«Non condivido – ha spiega Condò – la visione secondo la quale i giornalisti di una volta fossero migliori di quelli di oggi. Certo, io sono cresciuto con il riferimento di mostri sacri come Gianni Brera e Gianni Mura. Ma quelli di oggi sono molto preparati. Piuttosto è giusto avviare una riflessione sull’attuale rapporto tra giornalismo puro e un mondo della comunicazione sportiva dal quale è difficile difendersi.
Monito a chi inizia
Condò ha avviato la sua carriera a “Il Piccolo” di Trieste, città nella quale è nato. Tanta cronaca, anche nera, poi l’approdo definitivo al settore dello sport. Secondo step l’ingresso alla Gazzetta dello Sport. «La mia trafila – ha spiegato – è stata quella di tanti giovani: prima molta attività di redazione, poi i primi servizi sulle squadre meno importanti. Infine l’ingresso a San Siro». Una fotografia d’epoca lo ritrae vicino a Gianni Brera. «Ne sono molto orgoglioso – conferma – Brera è stato qualcosa di più di un giornalista sportivo. Eravamo privilegiati: vedevamo il calcio in un’epoca in cui pochi lo potevano fare. Oggi tutti vedono tutto. E quindi può capitare di confrontarsi con chiunque. Io rivendico il diritto di dare giudizi in base ai quarant’anni di calcio che ho potuto vedere in ogni parte del mondo».
L’analisi e i commenti sono importanti ma c’è ancora bisogno di cercare e scovare notizie, per quanto possibile. «Ogni giorno ricevo pezzi di giovani aspiranti che raccontano di Cristiano Ronaldo o altri protagonisti. In realtà non bisogna partire da li. Leggerei più volentieri articoli su una partita di Seconda Categoria sui campi infangati di periferia. Quello rimane il modo più giusto per iniziare».
La rubrica “Un centimetro alla volta” sviluppata ogni giorno sul sito web del Corriere della Sera è l’ultima novità di un giornalista abituato a non stare mai fermo. Il prossimo progetto, nelle librerie a breve, sarà il libro che racconta la storica impresa del Verona del 1985 capace di vincere lo scudetto in un campionato italiano che poteva contare sui migliori giocatori del mondo.
Ma alla domanda sul suo preferito Condò non ha dubbi. «Roberto Mancini – chiarisce – Siamo stati amici a lungo, ora il rapporto si è un po’ raffreddato. Ma rimane in assoluto il più bell’esempio di talento che il calcio italiano abbia prodotto. Rimase fuori dai circuiti mediatici che aiutano perchè ha giocato per la Sampdoria e la Lazio. Un fenomeno assoluto. Oggi questi giocatori non nascono più».