I terzieri di Valenza
L'approfondimento storico del professor Maggiora
VALENZA – Valenza, ai confini del Monferrato, nel secondo millennio si presentava al viaggiatore come un organismo urbano e territoriale intrinsecamente tripartito. La sua identità, scolpita nei secoli, era definita da una divisione in tre sezioni, o terzieri, che non riguardava unicamente le mura cittadine, ma si estendeva, come un’eco, alla campagna circostante, plasmandone l’assetto e l’identità. Il terziere centrale, il cuore pulsante di Valenza, il più vasto e significativo per importanza e attività commerciali, era denominato Astiliano (poi Astigliano). Ai suoi lati, come due ali a protezione, si estendevano gli altri due terzieri: Bedogno a est e Monasso a ovest.
Questa tripartizione, lungi dall’essere una semplice convenzione amministrativa, permeava profondamente il tessuto sociale ed economico della città, denso di interrogativi e di preoccupazioni. Non solo le abitazioni e le botteghe all’interno delle mura erano classificate secondo il terziere di appartenenza, ma anche i campi coltivati, i boschi e i pascoli che si estendevano oltre l’abitato, fino ai confini del comune portavano il marchio distintivo del proprio terziere.
Questa nomenclatura persistente testimoniava un legame profondo e radicato tra la città e il suo territorio, un legame che sopravviveva al mutare delle epoche. Il territorio valenzano, quindi, può essere immaginato come un ventaglio imponente, composto da tre grandi «ali» che, partendo dalla periferia, convergono e si uniscono nel nucleo abitato, abbracciando idealmente l’ansa del fiume Po che scorre placido ai suoi piedi.
Un’ala si distende verso levante, accogliendo i primi raggi del sole nascente: è Bedogno, terra di tradizioni agricole e artigianali. L’ala centrale, la più ampia e fertile, si protende verso sud: è Astiliano, il fulcro della vita cittadina, il cuore pulsante del commercio e dell’amministrazione. Infine, l’ala occidentale, avvolta dal crepuscolo, è Monasso, terra di boschi e di antiche memorie. Questa tripartizione solleva interrogativi affascinanti sull’origine e l’evoluzione di Valenza. È possibile che le tre sezioni rappresentino, in realtà, tre centri abitati preesistenti, originariamente distinti e autonomi, che si siano poi uniti inestricabilmente in un unico nucleo più discosto, strategicamente posizionato sulla riva del Po, in un luogo naturalmente fortificato e quindi più sicuro dalle incursioni e dai pericoli del tempo? L’ipotesi è tutt’altro che peregrina,
Nella «Tavola alimentaria» (Tabula alimentaria) di Traiano (100 d.C.) sulle istruzioni alimentari e prestiti da concedere, allo scopo di far fronte alla crisi della piccola proprietà agricola e alla stasi demografica, si parla del territorio Pago Valentino (V,80) e fra i 32 «pagi» compaiono i nomi: Aestinianum, Betunianum, Munatianum (forse Astiliano, Bedogno, Monasso). Il Pago è un territorio che comprende più vici o villaggi, possiede un proprio concilio «Converticole» e «un Magister pagi».
La questione dell’esatta posizione geografica di Astiliano, Bedogno e Monasso, sempre menzionati nelle antiche cronache valenzane, rimane un enigma storico di non facile soluzione. Se ipotizzassimo che tali denominazioni si riferiscano effettivamente a toponimi, a località ben precise esistenti all’epoca, la sfida si sposterebbe inevitabilmente sull’arduo compito di identificarle.
Alcune fonti suggeriscono che queste località corrispondessero a precise entità ecclesiastiche, forse parrocchie, o a piccoli insediamenti rurali, indicati come «casali». In particolare, si presume che S. Michele di Astiliano, S. Stefano di Bedogno e S. Giorgio di Monasso possano essere i loro equivalenti più innanzi. Tuttavia, la scarsità di documentazione sopravvissuta e l’evoluzione del paesaggio nel corso dei secoli rendono tale identificazione problematica, al limite dell’insolubile.
Ciò nonostante, da quanto emerge dalle ricerche storiche, possiamo affermare con una certa sicurezza che l’immigrazione proveniente da Astiliano svolse un ruolo cruciale nella formazione del nucleo principale della popolazione valenzana. Un numero considerevole di abitanti di Astiliano, spinti da ragioni mai accertate completamente, si diresse in massa verso il Po, contribuendo in maniera significativa alla crescita demografica e allo sviluppo della comunità valenzana. Questo movimento migratorio, quindi, rappresenta un tassello fondamentale per comprendere le origini e la composizione della città di Valenza.
L’antico borgo di Astiliano, avvolto poi da un velo di oblio e da silenzi, doveva un tempo pulsare di vita, rivelando le vestigia di un villaggio antico, non solo degno di considerazione ma meritevole di essere strappato alle tenebre. La sua importanza storica, suggerita da indizi frammentari ma eloquenti, reclama una ricostruzione del suo passato.
Posto con ogni probabilità in direzione sud-ovest (verso Alessandria) rispetto all’attuale configurazione territoriale, Astiliano, spinto forse da ragioni di sicurezza, strategiche o economiche, deve aver avvertito la pressante necessità di abbandonare l’originaria collocazione. Immaginiamo, quindi, un progressivo spostamento verso una posizione più favorevole, un connubio con altre comunità in un insediamento fortificato sulle rive del fiume Po, arteria vitale e via di comunicazione privilegiata. Tuttavia, l’antica sede di Astiliano non fu abbandonata completamente, bensì trasformata, plasmata da un processo migratorio controllato. Un destino simile, in un’analogia storica suggestiva, attese Valenza, prefigurando quanto sarebbe accaduto successivamente ad Alessandria, città sorta dall’unione di diverse comunità che, con consistenti contingenti di coloni, contribuirono a popolare e dare forma al nuovo centro.
È immaginabile che l’abbandono del vecchio insediamento romano, e il raggruppamento dei tre borghi, tra il V e VI secolo d.C., sia dovuto alle occupazioni di rozzi forestieri barbari, desiderosi di insediarsi, i quali hanno trovato questo luogo allettante giacché sufficientemente robusto, prosperoso e situato in un’importante zona di movimento. La cittadina ha in questi tempi un perimetro ristretto (zona Colombina), la piazza principale è l’attuale piazza Statuto e la strada maestra l’attuale via San Massimo, poche le abitazioni e limitato il numero di dimoranti; molti sono stati falciati dalle scorribande e dalle calamità, vittime di un’epoca, interamente costellata di violenze e sconcezze.
Nel V secolo d.C. la fortificata Valentia romana con il «Castrum» viene dunque tenacemente rasa al suolo dagli invasori barbari, in quanto intralcio scomodo da non lasciarsi alle spalle. Sopravvivono al disastro i tre paesi (frazioni) che fungono da cintura rurale e abitativa del nucleo militare (quartieri marziali creati da Valentiniano). Ed è appunto nella località di Astiliano (tanti i nomi scovati, Aestinianus, Artiliano, Astilianum, Astiliano) che accrescono quei fattori che conducono alla ricostruzione di Valenza in altro luogo. In questa primigenia località (Astiliano), posta lungo la dorsale collinare (Valmadonna), è presente un apprezzabile borgo che continuerà a sopravvivere fino al XV secolo, cui fa capo una chiesa consacrata a S. Giorgio. Secondo la tradizione popolare, in questo edificio sacro avrebbe officiato San Massimo, forse Il principale promotore della dislocazione.
La vitalità del piccolo borgo di Astiliano, lungi dall’essere spenta, persiste attraverso i secoli. Documenti e testimonianze ne attestano la presenza nel XII e XIII secolo, smentendo l’ipotesi di una sua estinzione precoce. Ancor più indicativa è la sua menzione in una carta di confini, risalente al XV secolo (1442), che delimita i territori di Valenza e S. Salvatore, confermando l’esistenza della pieve di Astiliano, fulcro religioso e amministrativo, anche in un’epoca relativamente tarda.
Tra le zone che testimoniano l’eredità di Astiliano, meritano una particolare attenzione la località detta «alla Colombina», da non confondere con l’omonima località situata in sorte Monasso, e quella di «S. Giorgio», dove sorgeva un’antica chiesa. Questa, sebbene versasse in stato di decadenza, sopravviveva ancora nel XVI secolo, rappresentando una risonanza silenziosa di un passato glorioso con avi romani e barbari.
Nella piazza del nuovo quartiere centrale di Valenza, che portava lo stesso nome dell’antico borgo Astiliano, si trovava la sede ecclesiastica (di particolare importanza perché a livello di vicariato), la Casa comunale e nelle vicinanze le dimore dei nobili di più antica casata.
Il territorio valenzano, suddiviso in diverse «sorti» o sezioni, presenta una complessità topografica che, in alcune aree, sfugge a una precisa definizione. In particolare, la nomenclatura di una specifica porzione di questa terra si rivela elusiva, mancando un solido fondamento storico o documentale che ne delinei i confini e le caratteristiche.
I Visconti, gli Sforza ed in seguito Francesi e Spagnoli munirono la città di poderose fortificazioni che contenevano le tre sorti o quartieri, peraltro oggetto di continui rimaneggiamenti per far fronte al costante sviluppo delle tecniche belliche. Numerosi furono gli assedi che la città dovette subire, fra questi ricordiamo quello del 1635, quando la guarnigione spagnola resistette per ben 50 giorni alle truppe francesi e quello sfortunato del 1656, che arrecò all’apparato difensivo gravissimi danni.
Abitato di Valenza nel Seicento. A – Palazzo della città; Q – Duomo; C – Chiesa S. Francesco; L – Porta Alessandria; E – Porta Casale; B – Porta Po; H – Porta di collegamento città e castello; D – Porta Bassignana; I – Bastione Caracena; N – Bastione Fuensaldagna; P – Bastione Colombina; T – Chiesa Cappuccini; R – Chiesa Santa Caterina o San Giacomo
Estendendosi dal lato di Astiliano, in direzione del levante, si apre un secondo terziere del territorio, denominato Bedogno. Questo lembo di terra, con la sua specifica identità e le sue caratteristiche peculiari, contribuisce all’enigma del passato.
Per questa zona, infatti, non possediamo indizi significativi che possano illuminare la sua storia e la sua identità. Di variabili possibili ce ne sono tante, di certezze quasi nessuna. Tra le località appartenenti alla «sorte» di Bedogno, emerge con particolare rilievo la località denominata «alla Misericordia» un confortevole ambiente di (finta) pace, ossequioso da sembrare codardo. La sua importanza deriva in parte dalla sua stretta vicinanza con il castello dei Basti, un collegamento confermato da una vasta mole di documenti d’archivio. Tra questi, un atto datato 28 luglio 1592, in particolare, si distingue per la sua chiarezza nella descrizione delle coerenze territoriali, eliminando ogni dubbio sulla confinazione tra la località «alla Misericordia» e il castello. Questo documento, insieme ad altri, fornisce una prova inconfutabile del legame storico e geografico tra le due entità.
La terza sorte o sezione del territorio valenzano è quella di Monasso, situata sull’altro lato di Astiliano e protesa verso ponente. Questa zona sembra aver rivestito, in passato, un ruolo rilevante nel panorama religioso locale, caratterizzata dalla presenza di numerose chiese antiche, poi scomparse. La concentrazione di questi edifici sacri era particolarmente elevata nei pressi di Monte, suggerendo una centralità religiosa e culturale di Monasso. È possibile, e anzi plausibile, che quest’umile borgata, Monasso, abbia contribuito in modo sostanziale alla costituzione e allo sviluppo della popolazione di Valenza. Da secoli remoti, il suo territorio è stato computato all’interno della giurisdizione territoriale di Valenza, testimoniando un’antica e consolidata appartenenza.
I primi signori che esercitarono il loro dominio su Valenza – i Visconti, i Capitanei e altri – furono anche i padroni di Monte, a riprova di un’unione di potere e di interessi sempre lontani dalle istanze e necessità del popolo. Anzi, pare che abbiano mantenuto la signoria su Monte per un periodo prolungato anche quando Valenza era già passata sotto il controllo diretto del Marchese di Monferrato, evidenziando una peculiarità e una persistenza del dominio locale su Monasso. Questo sottolinea la complessità della storia feudale della regione e il ruolo di Monasso come elemento di collegamento tra diversi poteri e influenze.
La questione dell’origine del toponimo Monasso rimane avvolta in un alone d’incertezza, pur offrendo alcune ipotesi plausibili. Una teoria suggerisce una derivazione dalla chiesa-priorato dedicata a San Michele Arcangelo, situata nei pressi di Monte. Questo sito sacro, in due antiche carte, è identificato come San Michele di Montanasio (o Montanassio), un’indicazione che potrebbe gettare luce sull’evoluzione del nome Monasso. Le carte in questione risalgono rispettivamente al novembre 1583 e al 15 dicembre 1589, offrendo una finestra temporale precisa per questa potenziale connessione linguistica e storica. Tuttavia, non si può escludere l’ipotesi inversa: che la località stessa, indicata come San Michele di Montanasio, possa aver contribuito a denominare il paese di Monte, suggerendo un legame toponomastico più profondo e reciproco tra i due luoghi.
Catasto antico di Valenza (1762-1763)
Passando all’intera città di Valenza, protetta dalle sue fortificazioni e suddivisa nelle tre «sorti» (quartieri), vantava all’epoca anche la presenza di due sobborghi significativi – Monte e Lazzarone (poi Villabella) lo diventeranno molto più avanti.
Questi piccoli quartieri periferici offrivano uno spaccato della vita sociale ed economica della città. Il sobborgo a sud-est, dedicato a Sant’Antonio, era un centro di attività e di devozione. L’altro sobborgo, situato a nord, prosperava sulla riva del fiume Po, cinto da un robusto muro di pietra. Stava fuori porta del Po e si chiamava Borghetto. Questo sobborgo fluviale era abitato principalmente da coloro che esercitavano mestieri legati al fiume, contribuendo all’economia locale attraverso la pesca, il trasporto fluviale e altre attività connesse.
Sfortunatamente, il sobborgo di Sant’Antonio fu sacrificato con promesse magniloquenti per ampliare le fortificazioni difensive della città, mentre il sobborgo fluviale fu ripetutamente devastato dalle violente inondazioni del Po, un triste destino legato alla sua posizione vulnerabile. All’interno del sobborgo di Sant’Antonio, situato nella «sorte» di Bedogno, si trovava la precettoria di Sant’Antonio, un’istituzione religiosa dipendente dall’Abbazia di Sant’Antonio di Vienne (un ordine ospedaliero e monastico medievale). Con il tempo, questa precettoria fu data in commenda, evolvendo nella rinomata Abbazia di Sant’Antonio. Quest’abbazia acquisì notevole importanza nella zona, diventando un centro di potere religioso e culturale.
Durante l’occupazione di Valenza da parte dei francesi, a metà del XVI secolo, si intraprese un ambizioso progetto di fortificazione della città. Questo sistema difensivo, iniziato dagli spagnoli e successivamente ampliato dai francesi, mirava a proteggere la città e così nel 1556 la chiesa e l’ospedale di S. Antonio furono demoliti, andando contro quella parte di società nostrana più fragile e poco autorevole che, come da duratura tradizione, condivideva il fango riservato ai supremi sconfitti, senza possibilità di dare voce all’inesprimibile.
Miseria e nobiltà, orrori e misteri, realtà di un altro tempo e di un altro mondo.