Storia dell’illuminazione pubblica a Valenza
L'approfondimento del professor Maggiora, che strizza l'occhio all'attualità
VALENZA – Per secoli, dal cuore del Medioevo fino alle soglie del XX secolo, la vita comunitaria era scandita dal lento e grave rintocco della «campana grossa». Al crepuscolo, quando il suo suono profondo echeggiava per le vie e le piazze, tutti, senza eccezione, si ritiravano nelle proprie case, lasciando le strade deserte al dominio del silenzio e all’occhio vigile della ronda. Quest’ultima, incaricata di mantenere l’ordine e la sicurezza, era l’unica presenza tollerata durante le ore notturne.
Questa rigorosa disciplina notturna non era una consuetudine arbitraria, ma una prassi radicata e codificata in precise norme legali. Gli antichi Statuti valenzani del 1397, autentici custodi delle tradizioni e delle regole della comunità, ne rappresentano una testimonianza inequivocabile. In particolare, il capitolo 563 degli Statuti sanciva con chiarezza che nessuno, pena una multa, potesse osare circolare per le strade dopo il tramonto senza essere provvisto di una fonte di luce. Questa severa disposizione aveva però delle eccezioni, contemplate per esigenze pratiche e necessità imprescindibili. Infatti, venivano esentati dall’obbligo di portare un lume alcune categorie di persone, considerate essenziali per il funzionamento della comunità: fornai, il cui lavoro notturno era fondamentale per garantire il pane fresco il mattino; banchieri, custodi della prosperità economica; medici, pronti a intervenire in caso di emergenze sanitarie; braccianti, impegnati in lavori agricoli che a volte richiedevano turni prolungati; e chiunque si prendesse cura di un malato, o fosse stato convocato dal Rettore, la massima autorità locale, o accorresse per domare un incendio, una minaccia sempre incombente. Ma il lume, più che mezzo per vedere, era considerato strumento per essere visti, poiché i malviventi cercavano le tenebre per le loro imprese.
Nelle case l’illuminazione era prodotta da lampade a olio, lucerne a una fiamma, candele di cera o, nelle abitazioni più povere, semplicemente dal bagliore della fiamma del focolare.
La luce, elemento prezioso e simbolo di ordine in un’epoca dominata dall’oscurità, era anche al centro dell’amministrazione comunale. Il capitolo 102 dei predetti Statuti stabiliva, infatti, che al Rettore spettasse mensilmente una libbra di candele di cera, considerate più pregiate e adatte agli ambienti di rappresentanza, e una libbra di candele di sego, più economiche ma ugualmente funzionali, da utilizzare per illuminare il Palazzo Comunale, cuore pulsante della vita pubblica. Inoltre, il capitolo 129 imponeva di tenere costantemente accesa, durante tutta la notte, la lampada del Comune, alimentata a olio, un faro simbolico che vegliava sulla comunità e ne garantiva un minimo di sicurezza.
Nel Settecento, fatta eccezione per qualche lumino acceso per devozione e la lampada del Comune, Valenza rimaneva nell’oscurità più totale e coloro che uscivano di notte per le vie erano costretti a ricorrere necessariamente all’uso di piccole lanterne.
Nell’Ottocento, oltre all’illuminazione ordinaria prevista per le attività quotidiane, la Cuntrà Granda (Corso Garibaldi), la Piazza (l’attuale Piazza XXXI Martiri) e alcune vie laterali di una certa importanza erano rischiarate, timidamente, con lampade alimentate a olio vegetale. L’illuminazione, va detto, doveva essere ben scarsa, un pallido barlume nella notte, ma rappresentava comunque un progresso significativo rispetto alle epoche buie che l’avevano preceduta.
Nel 1864, la città compì un ulteriore passo avanti: l’olio vegetale fu sostituito dal petrolio, promettendo una luce più intensa e duratura. Contestualmente, con una delibera che segnò un cambiamento nelle abitudini locali, il Comune abolì il suono della campana grossa che, puntualmente alle 22, intimava ai cittadini di rientrare nelle proprie abitazioni. Era un segnale di modernità che si affacciava, un addio a ritmi più arcaici. Nel frattempo, si preparava un’altra rivoluzione: nel 1893 nasceva la “Società Valenzana Gas”, un’entità destinata a trasformare radicalmente il volto notturno della città. L’officina, strategicamente posta sulla strada che conduceva al fiume Po, si preparava a erogare il suo prezioso combustibile.
L’anno successivo, il 1894, fu quello della svolta: le strade di Valenza si illuminarono, per la prima volta, a gas, anzi, a «gaz», come affettuosamente si diceva allora, con un tocco di vernacolo che ne sottolineava la novità. Con l’avvento del gas, la città iniziò veramente a essere illuminata in modo degno di questo nome, con i tipici lampioni che spuntavano agli angoli delle case e delle strade diffondendo una luce calda e invitante. Un uomo, «il lampionaio», divenne una figura iconica: ogni sera, con la sua lunga pertica, accendeva i lampioni uno ad uno, tra l’ammirazione silenziosa e sognante dei ragazzini, che vedevano in quell’atto quotidiano una magia che spezzava la monotonia della sera. La città, finalmente, respirava una nuova atmosfera, più sicura, più vivace, più moderna.
Corso Garibaldi a fine Ottocento
All’inizio del XX secolo, una ventata di modernità percorse l’Europa, segnando l’ingresso nell’era dell’elettricità. L’energia elettrica, premessa di progresso e di un futuro più luminoso, si apprestava a trasformare la vita quotidiana, anche se sfiorava il sospetto fosse utopistico pensare a certe prospettive.
Chi oggi è abituato ad accendere la luce premendo semplicemente il tasto di un interruttore, o di un telecomando, non considera che poco più di un secolo fa le lampadine elettriche erano una novità accolta con sufficienza e senza entusiasmi. Molti preferivano le lampade a petrolio e per l’illuminazione pubblica si era piuttosto tradizionalisti: andavano benissimo i lampioni a gas, accesi al tramonto e spenti all’alba.
A Valenza, città laboriosa e dinamica, l’eco di questa rivoluzione si fece sentire, culminando, poco prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, nella tanto attesa nascita dell’illuminazione elettrica pubblica. Le vie, un tempo immerse nell’ombra della sera, si accesero di una nuova luce, testimoniando il cambiamento in atto.
Tuttavia, l’adozione dell’elettricità nelle case private fu un processo più graduale e complesso. Per anni, le famiglie valenzane continuarono ad affidarsi ai tradizionali lumi a petrolio, la cui fiamma tremolante proiettava ombre danzanti sulle pareti domestiche.
Durante i rigidi inverni, fuori città era ancora consuetudine riunirsi nelle calde stalle, al riparo dal freddo pungente, illuminate dalla luce fioca e rassicurante delle lanterne a olio, che creavano un’atmosfera intima e familiare.
L’introduzione del gas, però, rappresentò un ragguardevole passo avanti nei laboratori orafi, dove la precisione e la luminosità erano essenziali per il lavoro artigianale; il gas si diffuse gradualmente anche nelle abitazioni private, offrendo un’alternativa più efficiente e confortevole all’illuminazione tradizionale. Finalmente, l’avvento della luce elettrica segnò una svolta epocale che modificò radicalmente gli stili di vita.
Inizialmente, si trattava spesso di una singola lampadina, appesa a un lungo filo che permetteva di trasportarla da una stanza all’altra, secondo le necessità. Questa soluzione rudimentale, totalmente nuova sebbene lontana dagli standard moderni, rappresentava comunque un simbolo tangibile del progresso tecnologico e un assaggio del futuro.
Col passare del tempo, in un’alternanza di desideri e di successi, l’evoluzione tecnologica portò a un progressivo miglioramento della situazione. L’illuminazione elettrica si diffuse in tutti gli ambienti domestici, sostituendo gradualmente le vecchie lampade a petrolio e le fiammelle a gas. Le case si riempirono di luce, rendendo più agevoli le attività quotidiane e creando un’atmosfera più accogliente e confortevole. Ma la Seconda Guerra Mondiale, con il suo carico di distruzione e privazioni, gettò un’ombra cupa sul progresso. L’oscuramento, imposto per proteggere le città dai bombardamenti nemici, riportò indietro la comunità di Valenza di quasi un secolo. Le luci furono schermate e ridotte al minimo: una sorta di altra complicazione che suscitò sconcerto e angoscia generale.
Infine si è passati alle lampade a incandescenza, ai vapori di sodio e mercurio, alle lampade alogene, a scarica, agli ioduri metallici, fino all’ultima novità delle lampade a Led, con un consumo minore, sicuro, brillante ed energeticamente equilibrato.
Oggi, con lo stravolgimento del mondo cui eravamo abituati, con politici e governanti che brancolano nel «buio» più totale, sempre più incapaci di rispondere alle sfide moderne, i valenzani, soprattutto le donne, affermano di sentirsi a disagio a uscire di casa dopo il tramonto a causa di un’inadeguata illuminazione pubblica di strade, piazze e giardini le cui aree verdi sono ormai luoghi di erbacce incolte diventati gabinetti per cani e ricettacolo di siringhe, in una spirale di semioscurità generale. Spesso paiono luoghi metafisici ed escatologici danteschi, in fondo, omogenei a quest’epoca sgangherata e sgarbata che noi, sempre più vecchi e schifati, lasceremo a chi verrà dopo.