Croce Verde alessandrina: lì il quartier generale della resistenza al Covid 19
Nel cortile di via Boves fu istituito il punto di decontaminazione. Il punto di forza del soccorso fu il gioco di squadra tra la 'Verde', la Croce Rossa, e tutte le associazioni della provincia
ALESSANDRIA – “Tutta Italia è zona protetta. Presto un decreto detterà le regole da seguire. Sarà in vigore fino al 3 aprile, con possibile di sposare più avanti il limite temporale”.
Questa l’estrema sintesi del discorso che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, tenne lunedì 9 aprile 2020 in diretta su tutti i canali nazionali. Una decisione clamorosa ma inevitabile, dettata anzitutto dalla necessità di contenere i contagi. “Il futuro dell’Italia è nelle nostre mani e devono essere mani responsabili” disse il premier.
E, mentre la politica dettava le prime regole per contenere la pandemia, nel cortile della Croce Verde alessandrina da fine gennaio era in atto la più imponente resistenza al Covid 19. Lì convogliavano tutti i mezzi di soccorso della provincia per la sanificazione.
Sono passati cinque anni, ma dimenticare è impossibile. Oggi non è il giorno delle polemiche, ma del ricordo di chi, in quei mesi, ha lavorato senza sosta per salvare vite. Mettendo a repentaglio la propria, senza sapere davvero quale fosse il nemico da combattere.
I morti senza nome
A marzo 2020 non sapevamo i nomi dei morti, sapevamo che c’erano i primi decessi – poi diventati centinaia – a causa del Covid-19. Conoscevamo la loro età, quella sì. Ma non le loro storie, i legami, chi avevano lasciato. La Prefettura snocciolava numeri, e, giorno dopo giorno, l’Unità di Crisi del Piemonte comunicava il numero degli infettati. Dei ricoveri in terapia intensiva. Abbiamo imparato con lo schiaffo violento che ci ha dato la pandemia, che la salute non è un diritto.
È Antonella Gilardengo, presidente Croce Verde di Alessandria, a raccontare quei primi momenti.
Medici, infermieri, soccorritori e volontari sono scesi in campo per aiutare chi si ammalava. Senza avere orari, mangiando tra una corsa e l’altra delle ambulanze. Improvvisando un quartier generale dove si tornava per decontaminare i mezzi di soccorso e chi si era avvicinato troppo al virus. Nessuno di loro si è tirato indietro e noi ne abbiamo raccontato le gesta. Così come abbiamo lavorato senza sosta per riuscire a dare un nome e un volto a chi non ce l’aveva fatta, come in battaglia. Perché di quegli uomini e quelle donne non restassero solo numeri su un registro.
Come si è arrivati a gestire i soccorsi? Con un grande gioco di squadra, ricorda Marco Bologna, a quel tempo presidente della Croce Rossa alessandrina.
Il mondo del soccorso è stato il primo baluardo contro la pandemia. Come sempre, del resto. Sono proprio i soccorritori ad essere in prima linea in qualsiasi emergenza, e la guerra al coronavirus ne è stata l’ennesima testimonianza.
Un grande lavoro, concorda Maurizio Capra della Croce Verde.
Paura sì, ma…
La paura ha fatto capolino ad ogni intervento, ma l’unione che si è creata in quei momenti ha aiutato a superare le mille difficoltà. Come raccontano Stefano Gatti (volontario della Croce Verde) e Fabio Rizzo (Croce Rossa).
Si susseguivano trasporti e interventi senza sosta, anche se magari scarseggiavano i dispositivi di protezione e ci si doveva arrangiare con quello che si aveva a disposizione. Mai nessuno, però, è stato lasciato al suo destino. Perché, per chi lo fa, questo non è solo un mestiere. Capitano, poi, quelle giornate in cui pure chi è abituato a vedere le tragedie più grandi si ferma, piegato dal dolore. È accaduto tante volte durante la pandemia. Ed è accaduto anche domenica 19 aprile. Quel giorno, purtroppo, per il 118 alessandrino è stato uno di quelli, perché il dottor Renato Pavero, storico punto di riferimento e coordinatore di Area 2 e Centrale operativa, non è riuscito a vincere la sua battaglia contro il Covid 19. “Abbiamo perso uno dei nostri, una persona buona e mite”, raccontarono tutti trattenendo a stento le lacrime.
Tra i tanti compiti dolorosi, come quello di riportare a mogli, mariti, figli o genitori, gli effetti personali di chi non era riuscito a sopravvivere. Lo ricorda l’attuale presidente della Croce Rossa, Valeria Ghelleri.