“Emilia Pérez”
Il 72enne regista e sceneggiatore francese Jacques Audiard - già vincitore nel 2015 della Palma d'oro a Cannes con "Deephan - Una nuova vita" - torna a sorprendere il pubblico con un film fluido e sorprendente come la sua protagonista
«Se il corpo cambia, cambia l’anima. Se l’anima cambia, cambia la cultura. Se la cultura cambia, cambia la società».
È all’insegna di questo monito che l’ultimo film di Jacques Audiard – vincitore all’ultimo festival di Cannes del Premio della Giuria e per la Miglior interpretazione femminile, vinto aex-equo da tutte e quattro le attrici protagoniste, di cinque premi EFA (European Film Awards) e candidato a ben tredici premi Oscar – si impone prepotentemente al cuore e alla mente di chi guarda, offrendogli un’esperienza di visione e di riflessione indimenticabile.
Un musical ipnotico che colpisce al cuore
«”Emilia Pérez” – racconta il regista Audiard, al suo decimo lavoro cinematografico, al mensile “Ciak” – nasce dall’idea di raccontare una tragedia cantandola. Sono partito dalla lettura di “Écoute” di Boris Razon, che a metà del romanzo introduce il personaggio di un narcotrafficante deciso a cambiare sesso. (…) Trovavo straordinario il paradosso del machismo esasperato e violentissimo di un feroce narcotrafficante che dentro di sé desidera invece accogliere la femminilità e la dolcezza, cambiando sesso. Sono peraltro convinto che se non avessi scelto di fare un film musicale, e così stilizzato, non avrebbe funzionato».
Concepito, in origine, come un’opera in quattro atti, ciascuno dedicato a un personaggio, “Emilia Pérez ” è una pellicola sconcertante sin dalle prime inquadrature, che si rivolge direttamente allo spettatore avviluppandolo nella seduzione ipnotica di corpi, cuori e menti che si mescolano, confondono, entrano in reciproca comunione e – a tratti – collidono, tra dolcezza e violenza. È il mondo feroce del narcotraffico messicano, quello che si staglia sullo sfondo della storia, ma è anche la tragica, emozionante e dolorosa vicenda di quattro donne (Emilia Pérez-Karla Sofía Gascón, Rita Moro Castro-Zoe Saldaña, Jessica Del Monte-Selena Gomez, Epifanía Flores-Adriana Paz) accomunate da un Caso/Destino impassibile di fronte ai bisogni e alle miserie umane, all’interno di una vera e propria Tragedia, contemporanea ma alla guisa di come la intendevano i Greci.
Emilia/Juan “Manitas” Del Monte, che ad un certo punto della storia confessa a se stessa di non essere nulla, né padre né madre, né uomo e né donna, né vivo né morto – una sorta di fantasma, insomma – dopo avere affrontato la lunghissima e tormentosa strada del cambio di identità sessuale; Rita Moro Castro – l’avvocatessa che se ne prende cura, reincontrandola anni dopo averla aiutata a operarsi e poi a scomparire nel nulla – dapprima professionista frustrata e poi incerta sul senso stesso del suo agire in seno all’associazione che ha l’obiettivo di restituire alle famiglie i corpi delle vittime del narcotraffico: entrambe – in parte insieme a Jessica Del Monte ed Epifanía Flores, rispettivamente la moglie e il nuovo amore di Emilia – sono vittime e carnefici, il più delle volte di loro stesse, frutti dolci amari di un sistema sociale distorto.
Il cast di “Emilia Pérez “, insieme al regista Jacques Audiard
La versione di Karla Sofía Gascón
«C’è una parte della società che vive di odio, che vive vendendo odio, e c’è un’altra parte che vuole vivere nella speranza, con gli stessi diritti, tutti noi in pace e rispetto», afferma in un’ intervista dello scorso gennaio a “Hollywood Reporter” l’attrice spagnola transgender Karla Sofía Gascón, la prima a venire candidata all’Oscar come miglior protagonista . «Lo vedo sempre come una lotta tra la luce e il buio. Più la luce è brillante, più le ombre sono scure. E io sono il nemico pubblico numero uno in questo momento nel mondo per molte persone».
Karla Sofía – che ha ricevuto altre due candidature come miglior attrice ai Golden Globe e ai BAFTA – all’epoca dell’intervista non era ancora stata lambita dall’aspra ondata di riprovazione morale e polemiche che l’ha letteralmente inghiottita dopo che sono stati pubblicati alcuni suoi tweet di qualche anno fa tacciati di razzismo, soprattutto nei confronti della cultura islamica. Per questo non è stata più sostenuta dagli sponsor nella corsa agli Oscar, e neppure dallo stesso Audiard e dal resto del cast, comprese le colleghe con cui ha lavorato a più stretto contatto.
Al di là del conflitto tra finzione e realtà, Gascón nel film è davvero superlativa nel tratteggiare il profilo di un narcotrafficante e uomo senza scrupoli che ambisce a diventare donna, sospeso tra efferatezze e morbida fluidità, tra sensibilità e senso di accoglienza materni e rude genitorialità erede del più bieco maschilismo, violento e rivendicativo. In fondo, buon sangue (o, per meglio dire, buon animo) non mente: “Emilia Pérez” sostiene la tesi dell’impossibilità di allontanarsi troppo da ciò che si è nel profondo, come le ricorda il medico che la aiuta a cambiare sesso. E questo contraccolpo emotivo, questo ritorno alle origini più istintive e primordiali, anche brutali, finisce per sommergere sia lei stessa, nel momento in cui la moglie Jessica, ignara della sua vera identità, minaccia di portarle via i figli, sia chi le sta intorno: dalla ex compagna, appunto, con il nuovo fidanzato, a Rita, costretta, per difenderla, a imbracciare le armi e ad assemblare un vero e proprio piccolo “esercito”.
Alla fine, Emilia si trasforma in un simulacro, una statua con la mano sinistra mutilata, a ricordo della sua violenza di narcotrafficante senza scrupoli, della prima parte della sua esistenza come Juan “Manitas” Del Monte, ma anche – al contempo – del suo sacrificio estremo come Emilia, la donna che si è battuta per risarcire, in qualche modo, e restituire dignità alle vittime della sua stessa mano. Audiard sembra chiedersi per tutta la durata del film se nel mondo esista realmente una possibilità di riscatto e di fuga da sé stessi, di guarigione dalle ferite e dal lato più oscuro della nostra umanità.
Un primo piano di Karla Sofía Gascón, Emilia Pérez nel film
Un omaggio a “Le passanti” di Georges Brassens
Su questa falsariga, la musica non solo fa da contraltare alle immagini, ma le amplifica potenziando il concetto, soprattutto nel momento in cui Camille Dalmais e Clément Ducol – le due compositrici della colonna sonora – rivisitano la celebre “Le passanti” di Georges Brassens, in una trasposizione da brivido: «… è stata un’idea mia e del mio amico e co-sceneggiatore Thomas Bidegain, che mi ha fatto ascoltare una versione strumentale suonata da una band cubana», spiega Audiard. «Quindi abbiamo deciso di realizzare un adattamento messicano per l’unica scena girata davvero in Messico». In definitiva, “Emilia Pérez” è anche un film sul rimpianto malinconico della felicità sfiorata per un attimo e mai afferrata, della tristezza per le occasioni perdute che uomini e donne, senza distinzione alcuna, sperimentano nella vita.
“Allora le sere di stanchezza,
Non sapendo come vincer l’amarezza
Di tanti inutili rimpianti,
Si piangono le labbra assenti
Di tutte le belle passanti,
Che non si rivedranno mai”.
(“Les Passantes”, G. Brassens – A. Pol; trad. italiana di Giuseppe Setaro)
Rita Moro Castro (Zoe Saldaña) in un’iconica scena di ballo
“Emilia Pérez” (id.)
Origine: Francia, Messico, USA, 2024, 132′
Regia: Jacques Audiard
Sceneggiatura: Jacques Audiard, Thomas Bidegain, Léa Mysius, Nicolas Livecchi
Fotografia: Paul Guilhaume
Montaggio: Juliette Welfling
Musica: Camille, Clément Ducol
Cast: Zoë Saldaña, Karla Sofía Gascón, Selena Gomez, Adriana Paz, Édgar Ramírez, Mark Ivanir, Eduardo Aladro, Emiliano Hasan, Gaël Murguia-Fur, Tirso Pietriga
Produzione: Why Not Productions, Page 114, Pathé, France 2 Cinéma, Saint Laurent
Distribuzione: Lucky Red