La nascita dell’Associazione Orafa Valenzana
L'approfondimento del professor Maggiora
VALENZA – Siamo nei giorni che precedevano la resa tedesca di fine aprile 1945; finalmente, la terribile guerra che aveva sconvolto l’Europa stava giungendo al termine. Negli ultimi tempi, la popolazione di Valenza si era votata alla lotta per la libertà e all’antifascismo, anche se una buona parte di essa aveva, solo pochi anni prima, manifestato largo consenso al regime fascista.
Questa città, che era rinomata in tutto il paese per la sua fiorente attività orafa, contava circa 12.000 abitanti. Le condizioni di vita di molti erano, però, ancora molto modeste: poche abitazioni disponevano di acqua corrente e di elettricità, e il mezzo di trasporto più diffuso era ancora la bicicletta, mentre le auto private non erano tante. Il riscaldamento delle case avveniva mediante l’utilizzo di semplici stufe a legna o a carbone, e la maggior parte delle famiglie viveva in alloggi composti di sole due stanze.
Il livello d’istruzione era piuttosto basso: quasi 600 abitanti erano ancora analfabeti, mentre più di 2.200 persone, pur sapendo leggere e scrivere, non avevano conseguito alcun titolo di studio. Meno di un migliaio di valenzani possedeva la licenza di scuola media, mentre solo poco più di 300 avevano ottenuto un diploma di scuola superiore. I laureati, infine, erano davvero pochi.
In quegli anni difficili, in Italia scarseggiavano tutti i beni di prima necessità e l’economia valenzana rispecchiava fedelmente la grave crisi che colpiva l’intero sistema economico nazionale. Nonostante le ristrettezze, però, bisognava comunque trovare il modo di sopravvivere: così i viaggiatori orafi, che da anni erano costretti a recarsi dai loro clienti in sella a una bicicletta, si spingevano addirittura oltre la Linea Gotica, raggiungendo i territori occupati dalle truppe alleate.
Durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, l’oreficeria valenzana si trovò ad affrontare una vera e propria epopea, costellata di pericoli e difficoltà di ogni genere. Tra bombardamenti aerei, scontri con le truppe tedesche e la carenza di materie prime essenziali, gli orafi di Valenza si trovarono a lottare quotidianamente per la sopravvivenza della loro attività artigianale. Nonostante le avversità, questa fase della storia dell’oreficeria valenzana può essere considerata pionieristica, poiché dimostrò l’incrollabile tenacia e la resilienza di questa comunità.
Furono anni in cui, si riuscì a mantenere una certa tradizione artigianale, le cui origini risalivano ai primi decenni dell’Ottocento. Le poche aziende di oreficeria rimaste procedevano con grande fatica, dovendo fronteggiare problemi enormi legati alla scarsità di materie prime, persino del carbone necessario per la fusione dei metalli. A ciò si aggiungevano le gravi conseguenze economiche derivanti dal divieto d’importazione e lavorazione dell’oro, imposto in Italia dal 1941.
La produzione di gioielli in Italia era perciò caratterizzata dall’utilizzo di metalli meno preziosi e dalla mano d’opera relativamente economica. Questo ha rappresentato un importante incentivo per gli imprenditori e i piccoli artigiani a creare oggetti estremamente elaborati e dal notevole valore artistico, richiedendo molte ore di lavorazione minuziosa per garantire la redditività delle loro attività. Questa spinta verso la creatività e la fantasia hanno favorito lo sviluppo di un nuovo gusto artistico artigianale, che s’ispirava principalmente ai modelli di gioielleria tedesca e alle “gem creations” americane. Tuttavia, dal 1942, si è assistito a un cambiamento significativo di rotta, con l’affermarsi dello stile francese e del liberty floreale, diffuso grazie all’azione di alcune aziende leader e di abili artigiani.
Nonostante le avversità, gli orafi di Valenza non si arresero. Anzi, si dedicarono in massa alla lavorazione di un metallo meno nobile, l’argento. Questo fatto ebbe un’importanza cruciale per lo sviluppo del gusto creativo degli orefici valenzani, fino allora appannaggio di poche aziende. Furono anni di profonda trasformazione, in cui l’ingegno e la determinazione delle maestranze locali permisero di superare le sfide e gettare le basi per il futuro successo della produzione valenzana.
In seguito, la liberalizzazione dell’oro ha permesso a questi stessi raffinatissimi manufatti di essere realizzati in metallo nobile, consentendo alla pregiata lavorazione orafa di Valenza di distinguersi sempre più rispetto ad altri centri produttivi italiani.
Questo periodo di transizione e di evoluzione dello stile e della tecnica orafa ha rappresentato un momento cruciale per l’affermazione dell’eccellenza e della creatività del made in Italy nel campo della gioielleria, gettando le basi per il successivo sviluppo e il riconoscimento internazionale di questa preziosa tradizione artigianale. Terminato il conflitto, il settore orafo locale contava circa 300 imprese, cui si aggiungeva un numero imprecisato di lavoratori a cottimo.
Era la sera del 20 giugno 1945 quando si svolse la riunione decisiva che determinò le cariche sociali dell’Associazione Orafa Valenzana. Il neonato Consiglio direttivo, assortito non si sa come, risultò così composto: Dante Fontani, presidente; Luigi Venanzio Vaggi, vicepresidente; Mario Genovese, segretario; Pasquale Marchese, vicesegretario; consiglieri Mario Ottone, Ettore Angelini, Mario Aviotti, Aldo Pasero, Pietro Staurino, Carlo Rota e Giovanni Varona.
In realtà, un’associazione degli orafi a Valenza esisteva già da molti anni, finalizzata a promuovere in modo settoriale e corporativo la realtà produttiva locale, oscillante tra elementi di tradizione e d’innovazione. Una realtà non del tutto pacifica, mal sopportata da alcuni, ma che col tempo aveva imparato, anche simbolicamente, a “credere, obbedire e combattere”, come si suol dire.
Questa nuova istituzione associativa nasceva da una prima riunione esplorativa, promossa dal dinamico orafo Vaggi, a cui avevano partecipato alcuni operatori del settore. Successivamente, fu esteso l’invito a tutti i titolari di aziende orafe di Valenza, i quali, riuniti in assemblea, procedettero alla nomina del primo Consiglio direttivo.
La presidenza fu affidata all’unanimità a Dante Fontani, ex operaio della ditta Illario, di origine fiorentina e di professione indoratore. La scelta di Fontani fu determinata non solo dalla sua appartenenza al CLN locale, ma anche dalla riconosciuta onestà e rettitudine, nonché dalla sua abilità come moderatore, qualità ritenute fondamentali per guidare l’associazione in quella delicata fase di ricomposizione post-bellica.
L’AOV si configurò subito come un’entità indipendente rispetto all’Associazione Piemontese e si federò con la Federazione Romana, che riuniva tutte le associazioni di categoria del settore orafo a livello nazionale. La Federazione Romana, in seguito denominata Confedorafi, si era già costituita (21 aprile 1945) quando fu fondata l’Associazione Orafa Piemontese con sede a Torino.
Questa scelta strategica rifletteva la volontà dell’AOV di affermare la propria autonomia e di allinearsi con una realtà federativa di respiro più ampio, in grado di meglio rappresentare gli interessi della categoria a livello centrale. L’adesione alla Federazione Romana consentiva, infatti, all’AOV di far sentire la propria voce in maniera più incisiva, di condividere esperienze e pratiche con altre associazioni similari e di beneficiare di una maggiore forza contrattuale nei confronti delle istituzioni. Inoltre, tale affiliazione permetteva all’AOV di ampliare il proprio raggio d’azione e di partecipare attivamente ai tavoli di confronto e alle iniziative promosse dalla Confedorafi, contribuendo così allo sviluppo e alla tutela dell’intero comparto orafo italiano.
Il primo consiglio si svolse in Palazzo Pellizzari. Il 14 luglio 1945, un primo censimento fatto dal consiglio annoverava 156 ditte iscritte all’associazione; era trascorso quasi un mese dalla sua nascita e il numero delle aziende associate, se rapportato alle circa trecento allora esistenti in Valenza, fu subito rilevante.
Pur con certe distanze ideologiche, i rapporti tra l’AOV e il Comune di Valenza (sindaco socialista Guido Marchese) divennero molto stretti, in relazione alla grave situazione di bisogno in cui la popolazione era stata gettata dal conflitto. Da un lato, il sindaco chiedeva il supporto dell’AOV per reperire i fondi necessari a finanziare urgenti lavori di ricostruzione della città, distrutta dai bombardamenti; dall’altro, l’Associazione Orafa sollecitava e otteneva l’assegnazione di una modesta quantità di carbone, bene raro e costoso, da destinare alle aziende orafe, al fine di permettere loro di fondere i metalli e di non interrompere l’attività produttiva.
In quel periodo difficile, segnato dalla scarsità di materie prime e di beni di prima necessità, il carbone era divenuto un bene prezioso, oggetto di speculazioni e di scambi nel mercato nero. Dopo un tiramolla reciproco, e grazie all’azione insistente e alla capacità di negoziazione dell’AOV, fu possibile garantire la fornitura di 31 chilogrammi di carbone a prezzo ridotto a 110 aziende orafe della città, evitando così l’interruzione dell’attività produttiva in un momento così cruciale per la ripresa economica del territorio. Questo episodio, con rassicurazione vicendevole, testimonia l’importanza del ruolo svolto dall’associazione nel sostenere e tutelare gli interessi del distretto orafo locale nel delicato contesto della ricostruzione post-bellica.
Il 15 settembre 1945 il consiglio deliberava di affittare una camera presso l’albergo Roma, dopo aver avuto la sede provvisoria all’albergo Croce di Malta. Per l’inaugurazione della sede fu organizzato, per la sera del 6 ottobre, un trattenimento musicale e vocale e nel frattempo fu allestito un ufficio di segreteria. Una prima presa di posizione ufficiale dell’AOV è del 14 novembre, data in cui venne prospettata l’intensificazione delle richieste per lo sblocco dei metalli preziosi e pietre e per la normalizzazione della tassa di scambio attraverso abbonamento al bollo. Ciò era necessario perché la situazione anomala causava problemi, come le severe ispezioni della Guardia di Finanza per far rispettare una legge ormai inadeguata a una società più giusta e previdente.
Valenza sarà in seguito un’area economicamente dinamica e capace di adattarsi ai cambiamenti del settore manifatturiero, con una produttività elevata, forse a volte in modo eccessivamente dogmatico e presuntuoso, esagerando più avanti anche con una qualche deriva operativa pop (in maniera contraddittoria). Negli anni del dopoguerra, la sua crescita sembrerà invece inarrestabile, caratterizzata da una diffusa e aggressiva imprenditorialità e dalla presenza di numerose piccole aziende altamente specializzate nel settore orafo.
Prima di evaporare, l’AOV avrà per lungo tempo una solidità interna stabile e inattaccabile, resistendo a tante variazioni di clima politico. Robe di un’altra stagione.
Il sogno del viaggiatore orafo di Valenza al punto vendita