Valenza, la pergamena del 1096 e i primi Signori
Uno sguardo al passato, a cura del professor Maggiora
VALENZA – La questione della localizzazione dell’antica Valenza e della sua relazione con la moderna città di Valenza è certamente molto complessa e dibattuta. Non intendo addentrarmi in una disquisizione approfondita su questo argomento, ma mi limito a evidenziare alcuni elementi significativi.
I ritrovamenti di antichità romane effettuati sul suolo dell’attuale Valenza rappresentano senza dubbio un indizio piuttosto forte a favore dell’ipotesi che l’insediamento romano si trovasse proprio nell’area dell’odierna città. Qualora questa ipotesi fosse confermata, ne deriverebbe che in un periodo a noi sconosciuto l’antica Valenza romana sarebbe stata distrutta, e la popolazione si sarebbe ritirata sulle alture circostanti, dando vita a insediamenti come Astiliano, Monasso e Bedogno. Successivamente, dopo il Mille, questa popolazione si sarebbe nuovamente insediata presso il sito dell’antica Valenza romana, dando origine alla Valenza moderna.
Il documento più antico e inedito che tratta della città di Valenza è una pergamena risalente al 1096, ritrovata nell’archivio della curia vescovile di Pavia. In questo prezioso documento, un certo prete di nome Pietro dona al Vescovo di Pavia una cappella di sua proprietà, intitolata a Santa Maria “in fundo et loco Valencia”. Questo ritrovamento è stato di estrema importanza per gli studiosi, non solo per l’autenticità del documento, che sembra fuori discussione, ma soprattutto per le informazioni che esso può fornire sulla storia e sull’origine di Valenza. Infatti, se questa menzione di “Valenza” si riferisce effettivamente all’attuale centro abitato, ciò implicherebbe che già a quel tempo, nella seconda metà dell’XI secolo, in quell’area geografica stavano iniziando a formarsi i primi nuclei abitativi che sarebbero poi andati a costituire l’embrione dell’odierna città.
Questo fenomeno di aggregazione di piccoli borghi e insediamenti intorno a un centro comune, spesso per esigenze di difesa e di mutua protezione, è stato ampiamente riscontrato anche in altre realtà del territorio, come ad esempio nel caso della vicina Alessandria.
In altri termini, la pergamena di cui disponiamo testimonierebbe una discontinuità temporale tra le due Valenze, rimanendo aperto il quesito circa una possibile discontinuità anche a livello spaziale.
L’appartenenza del documento all’attuale territorio di Valenza sembra confermata dal riferimento, tra i due consorzi citati, alla cappella di Santa Maria e alla chiesa di San Giovanni, sapendo che in epoca medievale gli antichi possedimenti dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme si trovavano proprio fuori dalle mura di Porta Alessandria, costituendo una sorta di grangia dipendente dalla locale precettoria. Questo quadro, seppur ricco di spunti interessanti, presenta ancora numerosi elementi di incertezza e ambiguità sulla stratificazione insediativa.
Il luogo di culto di S. Maria si trovava nei pressi del vicino borgo di Montecastello. La cappella valenzana aveva annesso un cimitero, il che indica che non si trattava di una semplice cappella di campagna di proprietà privata, ma di una vera e propria cappella di pieve, ovvero una chiesa parrocchiale che serviva un intero distretto rurale. Questa tipologia di edificio religioso era molto comune nell’Italia medievale, quando le parrocchie rurali svolgevano un ruolo fondamentale nell’organizzazione della vita delle comunità contadine. La presenza del cimitero adiacente alla cappella ne sottolinea l’importanza nella vita sociale e spirituale degli abitanti della zona. Il cimitero era, infatti, parte integrante della chiesa parrocchiale, luogo di sepoltura per i fedeli e centro di riti e cerimonie legate ai cicli di vita e di morte all’interno della comunità. La cappella di S. Maria, che poi sarà la chiesa principale e quindi il duomo, non era solo un luogo di culto, ma un vero e proprio fulcro attorno a cui ruotava l’intera esistenza della popolazione locale, un elemento essenziale dell’organizzazione sociale ed ecclesiastica del territorio. Sulla popolazione Incombeva il pensiero ossessionante della morte usato per generare paura di Dio e dei suoi castighi. Oggi, invece, senza cantori del vangelo, siamo in presenza dell’eccesso opposto.
Il comune di Valenza ebbe origine grazie all’impegno e all’intraprendenza di alcune illustri e superbie famiglie di milites, che erano state ricompensate e avvantaggiate dall’imperatore. Questi nobili feudatari governarono il territorio del Comune per un certo periodo di tempo, fino a quando il Marchese di Monferrato non riuscì ad acquisirne il controllo. Il Marchese di Monferrato mantenne il dominio su Valenza quasi ininterrottamente fino alla seconda metà del Trecento, quando subentrarono i Visconti. In effetti, si ritiene che Valenza non sia mai stata un vero e proprio comune libero nel senso moderno del termine. I documenti a nostra disposizione, sebbene in numero limitato e caratterizzati da alcune incertezze dovute all’ignoranza di molti fatti politici di quel periodo frammentato in tante piccole signorie, ci forniscono l’immagine di un comune governato dai milites o, più precisamente, dai capitanei, fino all’inizio del XII secolo. Successivamente, il dominio passò al Marchese di Monferrato, che lo detenne fino alla metà del XIV secolo, salvo alcune rare e non troppo gravi eccezioni. Secondo il dizionario feudale del Guasco, le famiglie nobili che costituivano il Comune di Valenza, situato nel comitato di Lomello, erano i Di Valenza, i Capitanei, i Visconti e i Ferrari, tutte ramificazioni della casata dei Visconti di Monferrato.
Il 30 dicembre 962, la terra di Astiliano divenne protagonista di un importante evento storico. Questa località, situata nella zona di Valenza, era all’epoca parte integrante del vasto dominio sotto il controllo dell’Impero Germanico. Secondo alcune teorie, le famiglie nobili che abitavano questa regione avrebbero potuto essere collegate a quelle menzionate nei documenti d’archivio valenzani. Tuttavia, occorre precisare che il termine “Capitanei”, utilizzato per identificare tali famiglie, poteva assumere un duplice significato nella documentazione medievale. Da un lato, poteva indicare l’alta aristocrazia dominante nel Comune, ovvero i milites maiores beneficiati dall’Imperatore. Dall’altro, poteva riferirsi a una specifica casata aristocratica. Pertanto, non è sempre agevole stabilire con certezza a quale accezione si riferisse il termine nei vari contesti.
Il Dizionario feudale degli antichi Stati Sardi e della Lombardia afferma che Astiliano corrisponderebbe all’attuale borgata di Monte. Tuttavia, tale ipotesi non convince pienamente. Astiliano, infatti, sembrava trovarsi molto più a est di Valenza, piuttosto nella direzione di Valmadonna che non verso ovest. Questa località costituì in seguito il nucleo principale della città di Valenza, attorno al quale si svilupparono altre due parti (Monasso e Bedogno). Nonostante Astiliano fosse diventato il centro di Valenza, la sua originaria ubicazione permase per un certo periodo.
All’inizio del nuovo millennio le terre di Valenza, che facevano parte del primo Monferrato, erano governate da Oberto d’Astiliano, derivante da Aimone, conte di Vercelli dal 950 al 966, discendente di Manfredo IX, un vassallo regio, conte di Lomello, della famiglia franca dei Manfredigi, che nel 962 le aveva avute in feudo dall’onnipotente imperatore Ottone I (il grande restauratore del Sacro Romano Impero) e nel 965 dal vescovo filo imperiale Ingone di Vercelli.
L’importanza della concessione della Signoria di Astiliano da parte di Ottone I nel 962 risiede nel fatto che essa spiega come i Visconti abbiano poi potuto esercitare il dominio su Valenza e sulle terre circostanti. In alcune di queste, come a Lazzarone, il loro potere si prolungò per diversi secoli, superando persino la durata del loro controllo sulla stessa Valenza. Questo episodio evidenzia l’intreccio di dinamiche storiche, politiche e sociali che caratterizzavano l’assetto del territorio nell’Alto Medioevo, con la progressiva affermazione di poteri signorili e l’evoluzione delle strutture insediative. Lo studio approfondito di tali contesti permette di gettare luce sulle complesse trasformazioni che interessarono vaste aree dell’Europa in quel periodo.