I “Diamanti” di Ferzan Özpetek
Al suo quindicesimo lungometraggio - dopo "La dea fortuna" e "Nuovo Olimpo", girati tra il 2019 e il 2023, e la serie tv ispirata a "Le fate ignoranti" (2022) - il regista turco Ferzan Özpetek torna in sala con i suoi splendidi "Diamanti"
Così Ferzan Özpetek racconta, nel corso di un’intervista a “Best Movie”, lo scorso dicembre, la genesi del suo ultimo film: «Volevo fare un film con tante donne, con tante attrici con cui avevo già lavorato in passato, e con altre con cui sognavo di lavorare da tempo. All’inizio della mia carriera sono stato aiuto regista, e per anni ho frequentato, tra le altre, la sartoria Tirelli, vari costumisti… è stato quel ricordo a ispirarmi, mi è venuta l’idea di un luogo in cui si confezionano vestiti per il teatro, per il cinema, in cui si incontrano attori e registi…poi ho sviluppato la cosa e ne è nato “Diamanti”».
Cinema di ricordi e di attrici
La pellicola di Özpetek è, non a caso, dedicata a tre grandi interpreti, con le quali il regista ha sempre sognato di lavorare, senza riuscirci: Mariangela Melato, Virna Lisi e Monica Vitti («Sono tre donne e attrici straordinarie con le quali avrei voluto lavorare, ma per un motivo o per l’altro le cose non sono andate come avrei voluto»). Tre dive che evocano un periodo del nostro cinema ormai trascorso e ben incarnato nel film dai diciotto personaggi femminili messi in scena (un po’ alla Almodovar: tra colori accesi di costumi e sfondo e ripetute occasioni conviviali, dove cibo e chiacchiere si intersecano entro un mosaico variopinto, leggermente kitsch).
Attrici (Alida Borghese e Sofia Volpi, rispettivamente interpretate da Carla Signoris e Kasia Smutniak, che incarnano l’una l’anima del teatro, l’altra quella del cinema), ma anche grandi costumiste (Vanessa Scalera nei panni del premio Oscar in crisi Bianca Vega) e sarte (le due sorelle Alberta e Gabriella Canova, a cui prestano corpo e voce Luisa Ranieri, dallo sguardo forse un po’ troppo sgranato, e Jasmine Trinca, titolari di una assai prestigiosa sartoria teatrale romana degli anni Settanta).
E non ci dimentichiamo che, a sua volta, Pedro Almodovar – che Özpetek sembra prendere a parziale modello – nel 1999 aveva dedicato “Tutto su mia madre” a Bette Davis, Gena Rowlands e Romy Schneider.
Poi ci sono le tante altre, le sarte al servizio delle sorelle imprenditrici, Fausta, Paolina, Eleonora, Giuseppina, Nina e Nicoletta, con un più la tintora Carlotta–Nicole Grimaudo e Silvana (Mara Venier, autentica rivelazione del film)), che cucina e si prende cura di tutte queste donne. In aggiunta al nutrito gineceo, troviamo anche Beatrice (Aurora Giovinazzo), nipote ribelle e talentuosa di Eleonora, e zia Olga (Milena Vukotic), sorella di Elena (Elena Sofia Ricci) la madre delle due Canova, “fantasma” nel senso etimologico del termine.
Una formula “ruffiana” ma di successo
Il gineceo, la trasmissione dell’atto di ricordare per linea femminile, sembra appartenere molto di più al vissuto come all’arte di Özpetek, che riunisce su due piani temporali e livelli di racconto alcune tra le attrici frequentanti abitualmente i suoi film, collegando storie e vite apparentemente lontane. In questo discorso metacinematografico, l’elemento maschile pare rimanere defilato, meno rilevante (vedi i personaggi di Ennio, il segretario delle Canova, interpretato da Edoardo Purgatori, quello di Lucio, il marito di Gabriella, di Luca Barbarossa, e di Bruno, il violento marito di Nicoletta, impersonato da Vinicio Marchioni) o puramente decorativo, come ben sintetizzano i corpi ammiccanti e scultorei dei giovani operai che frequentano occasionalmente la sartoria. E c’è anche il personaggio di Stefano Accorsi, il pretenzioso e assillato regista da Oscar in cui forse Özpetek rivede sé stesso adulto, mentre l’alter ego bambino sembra essere assimilato dal personaggio del piccolo Simone, il figlio della modista Paolina (Anna Ferzetti), costretta a crescerlo da sola.
Nel costante rimando finzione-realtà, che sin dall’inizio definisce la cifra stilistica del film (che oscilla perenne tra il tavolo attorno al quale si riuniscono al presente le diverse attrici e il regista stesso, per un film da farsi, e quelli che vedono il lavoro comune delle sarte degli anni 70′, per i costumi di scena di un film in lavorazione), rientra anche il fantasmatico finale, in cui come una figura eterea ed evanescente aleggia Elena Sofia Ricci, l’unica fra le colleghe attrici a non avere potuto prendere parte alla messinscena nei panni della madre delle sorelle Canova, a causa della malattia di un’amica.
«La magia del Cinema non sta in quello che si vede, ma in quello che si sente», ammonisce leggiadra la Ricci, e questa battuta la dice lunga su di un’opera in cui, invece, molto si vede (a partire dallo splendore dei costumi di Stefano Ciammitti e di quelli originali di Claudia Cardinale ne “Il Gattopardo”e di Romy Schneider in “Ludwig”, entrambi di Visconti), ma che si affida anche a una colonna sonora intessuta delle canzoni di Mina, Patty Pravo e Giorgia. Un’opera che scade, a tratti, in un ammiccante mélo sulla bellezza, i drammi (la violenza domestica, la difficoltà di crescere figli e famiglie da sole, di elaborare i lutti che la vita ci riserva), la solidarietà del femminile tanto amato dal regista: con qualche banalità di troppo in situazioni o dialoghi.
Cast: Jasmine Trinca, Luisa Ranieri, Sara Bosi, Loredana Cannata, Geppi Cucciari, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Nicole Grimaudo, Milena Mancini, Paola Minaccioni, Elena Sofia Ricci, Lunetta Savino, Vanessa Scalera, Carla Signoris, Kasia Smutniak, Mara Venier, Giselda Volodi, Milena Vukotic, Stefano Accorsi, Luca Barbarossa, Vinicio Marchioni, Valerio Morigi, Edoardo Purgatori, Carmine Recano
Sceneggiatura: Ferzan Özpetek, Carlotta Corradi, Elisa Casseri
Fotografia: Gian Filippo Corticelli
Musiche: Giuliano Taviani, Carmelo Travia
Montaggio: Pietro Morana
Scenografia: Deniz Göktürk Kobanbay
Produzione: MARCO Belardi per GREENBOO PRODUCTION, in collaborazione con VISION DISTRIBUTION