Eternit Bis, la difesa: “Schmidheiny non voleva questo disastro”
Il legale dello svizzero, Guido Carlo Alleva, ha respinto così la richiesta di ergastolo della Procura. Si tornerà in aula a gennaio per le repliche
TORINO – La storia dell’amianto a Casale è stata una tragedia di proporzioni colossali, ma è stata “voluta” da Schmidheiny?
Perché poi la questione sta tutta lì, quando parliamo di dolo eventuale all’Eternit Bis. In aula, sia in primo grado che di fronte alla Corte d’Assise d’Appello di Torino dove attualmente è in corso il procedimento penale in cui lui, lo svizzero, è imputato per omicidio volontario di 392 vittime dell’amianto, si parla in questi termini del cosiddetto “elemento soggettivo”.
A sollevare il tema durante l’udienza di mercoledì scorso è stato il difensore Guido Carlo Alleva, proprio in relazione all’aggravante di dolo eventuale richiesta dalla Procura. È plausibile che un giovane imprenditore di 28 anni (l’età di Schmidheiny nel 1976, quando divenne CEO della Eternit Spa) abbia deciso volontariamente di causare centinaia di morti? Ha chiesto Alleva, proponendo invece un’alternativa: lo svizzero potrebbe aver agito nella convinzione errata che si potesse produrre in sicurezza, senza prevedere le conseguenze catastrofiche.
Alleva ha infatti dichiarato che “c’è stata una sottovalutazione generale (in Italia e nel mondo), ma in questo scenario ascrivere a Schmidheiny la volontà che si verificasse questo evento è contrario alla logica. Non solo non c’è dolo, ma neppure una responsabilità colposa”, respingendo così la richiesta di ergastolo da parte dell’accusa.
Il difensore ha evidenziato inoltre che negli anni tra il 1976 e il 1980 non esistevano normative standardizzate che imponessero limiti stringenti nell’uso dell’amianto. Secondo Alleva, questa lacuna normativa riflette una responsabilità politica e una generale sottovalutazione del rischio, condivisa anche dagli enti tecnico-scientifici dell’epoca.
Il nesso di causalità
L’intervento del difensore si è poi articolato anche intorno ad altri due temi: le diagnosi del mesotelioma e il nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e i fatti contestati.
In questo senso, la premessa è che deve essere dimostrato con certezza processuale che gli eventi, cioè i decessi, sono la conseguenza diretta delle azioni dell’imputato. Per Alleva, però, questo non è possibile: non si può determinare con esattezza quando il tumore ha iniziato a svilupparsi, momento dal quale le esposizioni successive all’amianto sarebbero irrilevanti sulla malattia.
Un altro punto fondamentale del ragionamento di Alleva riguarda il concetto di latenza: secondo il Pubblico Ministero, la latenza tra esposizione e diagnosi può variare dai 4 agli 85 anni, con una mediana di 48 anni. Tuttavia, Alleva sottolinea che non esiste una certezza su quando termina il cosiddetto “periodo di induzione” e inizia il processo tumorale vero e proprio, rendendo impossibile attribuire con precisione la responsabilità delle esposizioni all’imputato.
La fabbrica Eternit, infatti, ha operato a Casale Monferrato per oltre settant’anni, ben prima dell’arrivo di Schmidheiny, il cui periodo di gestione copre solo un decennio (1976-1986). Secondo il difensore, attribuire all’imputato la responsabilità esclusiva di tutti i decessi significa ignorare il contesto storico, produttivo e normativo dell’epoca.
Il commento di Crisafulli
“Ho sentito il dovere morale di essere presente al processo Eternit, nel palazzo di giustizia di Torino, perché lì si discute della tragedia dell’amianto che ha marchiato la nostra terra e che ci riguarda – ancora! – tutti. È un impegno morale che sento forte sia come casalese, orfano dell’amianto (il mio papà è una delle migliaia di vittime di mesotelioma senza aver mai lavorato all’Eternit), sia come amministratore pubblico che, dai banchi della minoranza, vuole essere presenza e dare voce, – in modo responsabile, convinto e a mio parere imprescindibile – a tutta la collettività casalese ferita, che attende con fiducoa e dignità una risposta di giustizia” ha commentato Gianni Crisafulli, capogruppo pd in Consiglio Comunale a Casale, presente all’ultima udienza.
Si tornerà in aula mercoledì 8 gennaio, per le eventuali repliche.