Premio Liedholm, Marotta: «Dal Barone ho imparato come si gestisce il gruppo»
A Villa Boemia l'edizione 2024. L'emozione di Belmondo: «Mi tiro su le maniche per la forza della mia pelle». Cerella: «Accorciare le distanze culturali con una palla»
CUCCARO – Tanti primati in una persona, Giuseppe Marotta. E non si tratta di scudetti: come bene sottolinea Alberto Cerruti, giornalista e fra i motori del Premio Liedholm, «è il primo rappresentante nell’albo d’oro. E, anche, il primo presidente».
Soprattutto è uomo di sport, partito da quella Varese, miracolo sportivo italiano grazie al commendator Borghi, alla sua Ignis, a una cultura che ha fatto di una città di provincia una capitale mondiale. «Un vincitore seriale», come lo definisce Nicola Roggero, voce narrante. E “vincitrice seriale”, nello sci da fondo, è Stefania Belmondo, a cui va il riconoscimento nella sezione “woman”.
Marotta e Liedholm si sono incontrati. «Non credo che il ‘Barone’ ricordasse quel momento: io sì, perché da lui ho imparato una qualità che è indispensabile per una squadra vincente, la gestione del gruppo». Ha 12 anni il bambino Beppe, che baratta con un aiuto al magazziniere del Varese la possibilità di seguire gli allenamenti del Varese di Nils.
«Mi colpiva la sua capacità di parlare ai giocatori, di gestirli. Oggi i contenuti tecnici sono cambiati, sono in continua evoluzione. La leadership no: mi aveva colpito come comunicava con la squadra, è stato il mio primo maestro a gestire le risorse umane».
Cosa dovrebbe avere Simone Inzaghi di Liedholm? «Inzaghi è un ottimo tecnico e lo sta dimostrando. Mi piacerebbe che avesse la pacatezza e la tranquillità di Liedholm, anche se oggi il calcio vive in un clima di pressioni altissime».
Una risposta a Scaroni, presidente del Milan, che ieri ha sostenuto che a Milano c’è una sola squadra, quella in maglia rossonera? «Gli auguro di arrivare alla seconda stella, che l’Inter ha e ha dato a Milano».
Due squadre, Inter e Milan, di proprietà di fondi stranieri. «Oggi il mecenatesimo non c’è più, i ricavi dei diritti tv rappresentano il 60,70 per cento e i club devono proporre un prodotto coinvolgente, soprattutto per i più giovani, che non restano incollati alla tv per 90 minuti».
Le maniche arrotolate di Stefania
Ha ragione Nicola Roggero, «Stefania Belmondo è fra i dieci sportivi, uomini e donne, in assoluto più forti in Italia». Lei che, confessa, di essere onorata e di avere tanto da imparare da due ‘giganti’ come Marotta e Bruno Cerella.
Lei che, nella piccola frazione di Pietraporzio, sceglie lo sci da fondo. Come Liedholm, che, ragazzo, nella sua Svezia, aveva quell’unico mezzo per raggiungere la scuola. «Arrivo da una famiglia umile, tre figli, lo sci da discesa non era alla nostra portata. E poi a me il fondo piaceva tantissimo. Anche se nella prima gara sono arrivata ultima. Avevo solo sette anni».
Una perseverante, «sono capricorno», più silenzi e gesti, che spettacolo e dichiarazioni roboanti. «In nazionale sono arrivata ancora giovane, è stata una fortuna poter imparare dalle più grandi». Quel gesto di arrotolarsi le maniche lo fa ancora adesso. «Nei momenti importanti la forza che arrivava dal contatto con la mia pelle mi è servita, eccome».
La rivalità con Manuela Di Centa? C’è stata, eccome, due atlete opposte, Si scopre che, tolto il pettorale, sono diventate amiche.
Questione di palla (a spicchi)
A Bruno Cerella, che è a Villa Boemia, e a Tommaso Marino il riconoscimento speciale basket intitolato a Fabio Bellinaso. Uno da Bahia Blanca, l’altro da Siena, quando sono compagni nasce l’idea di restituire allo sport quanto hanno ricevuto.
Partendo da una baraccopoli di Nairobi. «Tutti e due convinti che una carriera, nello sport, qualunque sport, deve partire dai rapporti umani». E determinati a creare opportunità e inclusione, spazi di gioco e di divertimento. «Accorciare le distanze culturali attraverso una palla».
Undici anni dopo, come racconta Mario Castelli, l’associazione opera in tutti i continenti, e molti dei ragazzi seguiti oggi hanno un percorso nello sport e nella vita.
Una storia che sarebbe piaciuta anche a Liedholm. E a Fabio Bellinaso, perché se questi grandi interpreti oggi sono saliti a Cuccaro il merito è prima di tutto suo. E un applauso non basta: è un grazie senza tempo che tutte e tutti gli devono.