«Affronto il tumore senza avere paura e con un amico in più»
Ad Alessandro vennero prospettati 6 mesi di vita. Era il 2020. «La testa può molto» dice. Ma serve anche trovare persone speciali, come Edo e Titta
Raccontiamo questa storia perché infonde speranza facendoci capire quanto il fattore umano sia ancora (troppo) importante in un mondo ormai imperniato su altro.
Quattro anni e mezzo fa, dissero alla moglie di Alessandro Buffa che suo marito avrebbe avuto sei mesi di vita. Se siamo qui con lui è perché le previsioni non le sbagliano solo i meteorologi, per fortuna. Ma anche perché il nostro, impiegato alessandrino di 61 anni, quotidianamente ci mette del suo per affrontare il tumore. Lo fa con una clamorosa forza d’animo, senza paura di esternare, e con il supporto, oltre che dei famigliari, di un nuovo amico trovato sulla sua strada.
Si chiama Edo, è di Novi, è un poco più giovane di lui, ma ha una patologia analoga e le medesime apprensioni. Si confrontano, si supportano. Sono l’uno la spalla dell’altro, vicendevolmente. Quest’amicizia, diventata sempre più solida settimana dopo settimana, è nata in una stanza dell’ospedale di Alessandria, dove i due hanno condiviso destini e speranze.
Cosa fa l’inquilino
Ora, una volta al mese, devono tornare al Day hospital onco-ematologico per capire «come si comporta l’inquilino», perché così Alessandro ha battezzato il tumore. «Io e Edo abbiamo chiesto di poter andare lo stesso giorno, così ci vediamo, chiacchieriamo, mettiamo le esperienze a confronto». Fino a venerdì scorso hanno trovato ad accoglierli Titta, infermiera veterana, a fine agosto, è andata in pensione.
«Per tutti i pazienti del day hospital è stata una figura fondamentale – spiega Alessandro – Empatica, comprensiva e competente, era il nostro punto di riferimento, una persona di cuore che, per fortuna, non si allontanerà del tutto dall’ospedale, perché collaborerà con le volontarie dell’associazione Bios che, ogni mattina, preparano la colazione ai pazienti che sono in attesa di trasfusioni». È un’iniziativa semplice ma fondamentale, come lo possono essere gesti e parole che alleviano le sofferenze e l’attesa di chi è lì per affrontare quell’«inquilino» tanto indesiderato quanto inatteso.
«Titta (all’anagrafe Potita Fisichella, ndr) è un esempio di profonda umanità, in un reparto dove noi malati riceviamo sempre attenzione e sostegno» aggiunge Buffa. Che poi torna con la mente a quando gli venne diagnosticato il mieloma: «Una deflagrazione, sia per me che per la mia famiglia. È da allora che ne parlo e ne scrivo sui social, forse anche troppo, ma ho capito che, così facendo, mi aiuto molto. D’altronde, tutto sta nella testa, nella determinazione, nella voglia di non darsi per vinti».
Le cose importanti
Alessandro ha anche ripreso a lavorare, «e meno male, perché tengo la mente impegnata». E, complice la malattia, ha riconsiderato molto della propria esistenza: «Il tumore mi ha aperto gli occhi, facendomi scoprire quanto sono importanti piccole e grandi cose che davo per scontate. Ho anche potuto apprezzare un ospedale efficiente a due passi da casa. Non è una cosa di poco conto se si pensa che, fino a non troppo tempo fa, molti pazienti oncologici si facevano curare a Lione».
Raccontiamo questa storia augurandoci che possa servire a infondere coraggio e speranza, anche di fronte a una diagnosi complessa. «D’altronde – chiosa Buffa – io, malgrado tutto, comprese le trasfusioni di midollo, fino a qui sono arrivato». E ora confidiamo nello sfratto.