Il grandioso Palazzo Pellizzari di Valenza
Dentro uno degli edifici simbolo della città
VALENZA – È una maestosa costruzione ben conosciuta da tutti i valenzani, per lo meno in relazione alla sua attuale importante funzione di sede principale del Comune, che ospita, oltre a diversi uffici e servizi, l’ufficio del sindaco e il salone consiliare. Il monumentale palazzo Pellizzari evoca un mondo lontano, prezioso scampolo per nostalgici, ed è fra i più belli di Valenza, situato nell’omonima via che fiancheggia la piazza del Duomo, antico cuore e salotto elegante della città; la sua grandiosità, non solo estetica, testimoniava all’epoca l’esistenza a Valenza di famiglie potenti e blasonate, un’élite che stabiliva l’interesse comune e non certo il popolo, sostantivo quasi sempre dimenticato.
Questo edificio è di proprietà dell’Opera Pia Pellizzari, istituzione nata nel 1834 per iniziativa di don Massimo Cordara Pellizzari. Il canonico Carlo Andrea Pellizzari, zio di don Massimo, proprietario di una cospicua fortuna di famiglia che comprendeva anche il terreno e le costruzioni dove, dopo una mescolanza di voci e intenzioni, fece sorgere il nuovo palazzo nella sua fase primordiale, muore nel 1781 e lascia la proprietà in usufrutto alla sorella Teresa Caterina, vedova del notaio Giambattista Cordara, e a suo figlio Angelo Simone. Questo nipote prediletto per attività meritevole diverrà, da usufruttuario, erede universale, disponendo dei beni che, nel 1825, alla sua morte, passeranno ai fratelli, prima quasi bistrattati, e, infine, a don Massimo Cordara Pellizzari.
Don Massimo si spegnerà l’11 marzo del 1836 e, come sua volontà, sarà tumulato nella chiesetta di San Pietro, di sua proprietà, luogo simbolico adiacente al cortile rustico del palazzo, terreno che, fino al 1806, è stato cimitero del duomo, poi soppresso nel periodo napoleonico. Prima di spiccare il volo, però, don Massimo, anima santa e premurosa, donerà l’elegante e prestigiosa struttura all’Opera Pia da lui fondata da poco e in usufrutto di residenza alla cognata contessa Carolina Cavalchini, vedova del perspicace fratello Angelo Simone. È questo lo spirito prelatizio dei tempi, in contrasto con quello giacobino di voler distruggere ogni simbolo del passato.
È quindi Angelo Simone Cordara Pellizzari che, alla fine del Settecento, un periodo violento di sconvolgimenti sociale, politici e culturali, fa completare l’edificazione di questo imponente e affascinante palazzo di valore storico-artistico e ambientale, progettato con solerzia dall’architetto di Alessandria Giuseppe Zani (Zanzi?) e destinato a lasciare il segno sulla città. Ospiterà nientemeno che Napoleone Bonaparte e, a perenne ricordo dell’imperatore, un suo busto, opera del famoso scultore valenzano Comolli, è ancora collocato nel salone del consiglio.
Verso la fine del Settecento, in reazione al linguaggio tronfio ed elaborato del barocco, si assiste alla creazione di forme più semplici e armoniche e si tende sempre più a un equilibrio di bellezza classica. Attento al nuovo linguaggio e con sagacia imprenditoriale, perché lo stile conta ma il portafoglio ancora di più, l’architetto alessandrino, riducendo al silenzio chi la pensa diversamente, tratteggia una facciata imponente dalle linee semplici e omogenee, dove lo spazio è tripartito orizzontalmente delineando due piani e un mezzanino.
L’ingresso richiama quello di palazzo Ceriana, anche se è molto più imponente. Si accede al palazzo attraverso un ampio arco affiancato da due colonne doriche poggianti su stilobati e sorreggenti un’ampia e suggestiva balconata.
All’origine, ai lati dell’ingresso vi erano due nicchie contenenti delle statue. L’architetto pensò di conferire maggior movimento alla struttura facendo avanzare leggermente il corpo centrale e quelli laterali. Le parti aggettanti, inoltre, sono evidenziate sia architettonicamente, con lesene in stile corinzio, sia cromaticamente, con pittura grigia. Le alte finestre del primo livello sono chiuse da grate in metallo; quelle del piano nobile sono sormontate da timpani rettangolari; e, infine, le aperture del mezzanino sono decorate con modanature semplici simili a quelle del piano terra.
Purtroppo, l’intera facciata, è visibile solo di scorcio: la parete laterale del vicino duomo impedisce la visione totale del lato frontale. Attraverso l’imponente ingresso, si entra nell’atrio, che immette nel cortile principale: pilastri fiancheggiati da colonne sostengono le volte decorate da motivi circolari e ovali dipinti con colori delicati. Nel frontespizio del cortile, c’è un telamone, molto popolare nella città, (“il caganisoli”), rappresentante un ciclope che, con la sua prestanza, sostiene il balcone e fa ciò con un gesto di sforzo così manifesto da provocare l’ilarità di generazioni di valenzani.
A sinistra, si può scorgere una grande scalinata che conduce al piano nobile. Salendo i gradini, incontriamo una significativa lapide di bronzo, opera di Giacomo Manzù, che commemora, attraverso i versi di Salvatore Quasimodo in epigrafe, i partigiani caduti a Valenza durante la Resistenza.
La lapide è sormontata da una stele commemorativa che ricorda la generosità benemerita del canonico Massimo Cordara (Can. Maximo Cordara Pellizzari/E quiti m auritia-iCiu: no/qui/Valentinis pauperibus/rem familiarem omnem/mira liberalitate donavit/anno MDCCCXXXIV). Al di sopra delle lapidi, si trova una nicchia contenente un busto marmoreo del canonico con la scritta “Charitas”, opera di Luigi Melchiorre.
Da notare i vasi in marmo, di gusto neo-cinquecentesco, che decorano gli angoli o i punti terminali della balaustra della scalinata. Vasi simili, ricchi di festoni, fiori e nastri, decorano l’interno di due nicchie collocate sulle pareti dell’atrio dello scalone in pietra. La scalinata simbolo del potere e dei fasti della famiglia aristocratica si sdoppia a livello del piano di sosta, conducendo al piano nobile ove si aprono tre porte incorniciate e sormontate da timpani rettangolari sotto i quali ci sono motivi decorati in stucco. Il soffitto è voltato a botte con finti archi e rilievi a lunetta.
Il gusto per la decorazione antropomorfa vegetale appare in tutto il suo splendore nell’ampia sala del consiglio comunale, dove predominano gli stucchi e i marmi reali o simulati, un prestigioso apparato decorativo che ne fa l’ambiente più rappresentativo dell’intera struttura. L’autore degli stucchi e degli affreschi storici mitologici datati 1810 (“Enea fugge da Troia” a sinistra, “L’Olimpo” al centro della volta) è il pittore Luigi Vacca (Torino 1777/1778-1854).
Presumibilmente, le decorazioni dipinte al pian terreno sono state iniziate da Angelo Vacca (1746-1814) intorno ai primi anni dell’Ottocento, su committenza di Angelo Simone Cordara Pellizzari, impresa protratta e attribuita poi al figlio Luigi, pregevole pittore di decorazioni di ambienti ad affresco e scenografo teatrale, il vero protagonista delle opere del raffinato salone dove gli affreschi incontrano il platonico e la religione con una narrazione figurativa eccezionale, il cui esito complessivo rende vivacità e bellezza al posto.
Più difficile, invece, è l’attribuzione delle figurazioni a stucco con coppie di putti, allegorie delle quattro stagioni, in funzione delle sovrapporte, dei telamoni e delle cariatidi sulla volta, delle fasce verticali con motivi mitologici e degli strumenti musicali, allegorie delle arti e delle scienze, dove si fatica a districarsi e l’abbondanza svilisce parte del valore.
Affreschi e quadri di interesse e di esibizione tronfia si trovano un po’ ovunque nei saloni e nelle stanze utilizzate dal dopoguerra come uffici. Sono dettagli, ma non di poco conto, opere di Pietro Perosi e Giacomo Bobba. Si segnalano anche il ritratto della signora Carolina Quaranta vedova Pellizzari, opera dell’alessandrino Franco Mensi (1859), e il busto marmoreo raffigurante Napoleone.
Nell’ufficio del sindaco, è esposta un’appariscente riproduzione fotografica di un quadro attribuito a un pittore fiammingo che rappresenta l’assedio di Valenza del 1635. Negli ultimi anni del Novecento, si sono effettuati lavori alle coperture e alle facciate e si è restaurata la volta del grande salone, l’ufficio del sindaco e alcune sale al pian terreno del prestigioso palazzo.
Più di due secoli sono passati, ma questo luogo è rimasto un pregiato e possente simbolo artistico e storico di questa città, un tesoro sul quale siamo seduti.