Piemonte: la politica scopre (solo ora) la contaminazione Pfas delle acque
ALESSANDRIA - Acque inquinate da Pfas: la situazione è seria soprattutto in molti paesi della Valle Scrivia. Il report pubblicato…
ROMA – La voce dei territori a Montecitorio, durante l’incontro “Pfas, stop ai veleni” organizzato da Greenpeace (ospite del M5S), che ha visto aprire i lavori dal vice presidente della Camera dei Deputati (ed ex ministro dell’Ambiente) Sergio Costa, si è sentita forte e chiara.
Mirella Benazzo e Riccardo Ferri, del Gruppo Ànemos, hanno portato le testimonianze delle zone più colpite dall’inquinamento della Fraschetta e di Spinetta. Testimonianze toccanti, che hanno ricordato anche i risultati dell’indagine epidemiologica: in queste zone il rischio di ammalarsi (anche di tumore) è più elevato che in altre. E i casi non si possono ricondurre solo a meri numeri, perché «la malattia colpisce le persone, che hanno un nome, un cognome e un vissuto».
Giuseppe Ungherese, insieme a Mirella Benazzo e Viola Cereda, mercoledì scorso hanno poi portato i risultati dell’esperienza romana ad Alessandria.
Uno spunto di riflessione arriva anche dalla ricerca e dal mondo accademico.
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«Sono state individuate alcune categorie per individuare l’aspetto sito specifico della contaminazione da Pfas – come spiega Vittorio Martone, dell’università di Torino – È un inquinante universale, ed è importante agire a livello nazionale».
Ma il problema è in quelle che sono state definite «zone di sacrificio, quando l’ingiustizia sociale e ambientale si concentra in quei territori».
E cosa accade nelle zone di sacrificio? «Le zone di sacrificio hanno delle esigenze traumatologiche di tipo sociale che sono specifiche rispetto a quanto accade altrove – continua Martone – Si può sopperire anche attraverso metodologie che utilizziamo a partire da queste esigenze che riscontriamo in Piemonte, ma che ci sono anche in casi analoghi».
Il primo punto che richiama all’attenzione della platea, è il «persistere dell’incertezza informativo-cognitiva».
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In sociologica la contaminazione lenta da Pfas «si chiamerebbe ‘violenza ambientale lenta’», ovvero una violenza sulle matrici ambientali «giustificata da un modello di sviluppo che è in qualche modo accettato anche da chi è inquinato». Secondo Martone, «tale violenza non è quasi mai, al meno fino ad un certo punto, riconosciuta come tale».
Il sapere esperto «spesso costruisce verità che giustificano la tossificazione dei corpi come danno inevitabile, come costo inevitabile del benessere materiale, e tendiamo ad accettarlo».
Che cosa succede quando la contaminazione è prolungata nel tempo? «Le comunità si corrodono – spiega l’universitario – c’è divisione interna». Proprio su questo punto, il professor Martone ha sottolineato l’importanza delle voci del territorio (Piemonte, Lombardia, Veneto e Toscana) all’incontro di Roma.
E allora ci si chiede come arginare l’incertezza informativo cognitiva? In sostanza, chi vive nelle cosiddette «zone di sacrificio» deve essere integrato. Ovvero, la politica deve integrare gli interessi e i gruppi sociali più vulnerabili (quelli esposti alla contaminazione), e lo può fare garantendo l’accesso ai dati. Garantendo la cultura della trasparenza, «che già c’è nelle Leggi».
Ma c’è anche un altro aspetto che non deve essere tralasciato. «La tossificazione, si associa, in letteratura, alla dismissione – continua Martone – I territori tossificati sono quelli desertificati dall’industria. Prima che ciò accada la politica intervenga con l’esperienza che abbiamo accumulato nella gestione delle aree di crisi. Prima che i siti vadano in crisi dobbiamo agire sull’occupazione, agiamo prima, per capire qual è la prospettiva di sviluppo – È possibile che nel 2024 ci sia il ricatto occupazionale? Se vuoi arrivare alla fine del mese non puoi arrivare a una vita lunga e di salute?».
Alla luce di tutto questo, la Fraschetta va considerata zona di sacrificio?