Personaggi valenzani: Giuseppe Gillio
Un "ritratto" a cura del professor Maggiora
VALENZA – Giuseppe Francesco Ernesto Gillio, artista dal talento formidabile, è stato un maestro del cesello e un artista orafo di levatura europea; autore di squisiti gioielli e raffinate opere d’oreficeria, ha dedicato la sua intera vita al servizio di quest’arte, continuando a ricercare e ad evolversi quasi incurante della pecunia.
Nato a Torino il 6 dicembre 1867, da giovanissimo si dedica all’attività di orefice e apprende le prime nozioni nella bottega del padre Giuseppe Gillio da Revigliasco, dando subito prova di una speciale passione per l’incisione e la cesellatura applicata all’oreficeria artistica. Ben presto Il genitore vedendo le spiccate attitudini del figlio, all’età di dodici anni lo affida all’abile incisore orefice Zaffagni, ma l’incontro fondamentale del giovanissimo artista avviene nel 1881, quando, all’età di 14 anni, passa alle dipendenze della ditta Tornotti di Torino, dove gli fa da maestro l’incisore ginevrino Fornet e dove si perfeziona nella tecnica dello sbalzo e dell’incisione. Molto ambizioso e talentuoso, in questi anni frequenta la scuola di disegno d’ornato e la scuola di disegno di figura dell’Accademia Albertina.
La sua sete di novità e il suo spirito irrequieto lo conducono prima a Parigi nel 1890, dove lavora presso diversi esercizi, e poi a Londra, dove per un anno, dal marzo del 1893 al febbraio del 1894, esercita alle dipendenze della ditta “Carlo ed Arthur Giuliano”, specializzandosi in gioielli storicistici a imitazione dell’antico; qui esegue una delle sue opere più importanti, uno specchio in ferro sbalzato e cesellato in stile rococò, che ottiene il secondo premio alla nota Mostra Artigiana.
Rientra a Torino alla fine del 1894, dove, esercitando in proprio, si accosta al nuovo stile liberty e dove, nel 1898, realizza la famosa medaglia celebrativa del tenore Tamagno. Rimane a Torino fino al 1900, per poi tornare a Parigi, dove si fermerà per quattordici anni. In questa straordinaria e artistica capitale europea, lavorando per la ditta Cartier, esegue la medaglia commemorativa della Pace Anglo-Boera, di cui furono prodotti 80 esemplari in oro per la Corte d’Inghilterra. Nel 1914, quando in Francia l’aria è ormai parecchio minacciosa, ritorna a Torino, un va e vieni senza fine con umiltà e lusinga, ma il richiamo della Ville Lumière è fortissimo e, nel 1922, torna nuovamente a Parigi, ed è qui che esegue il bellissimo disegno del cofanetto che verrà donato dall’A.O.V. al Presidente della Repubblica Gronchi nel 1959. Nel 1931 lascia definitivamente la Francia e, dopo una breve esperienza a Torino, dove lavora con il fratello Carlo, accetta l’offerta della ditta Illario e si trasferisce a Valenza. Qui risulta alle dipendenze della famosa ditta valenzana, fornitrice delle più importanti maison mondiali, dal 29 febbraio 1932, con la qualifica di incisore.
Nel 1936 è nuovamente risiedente a Torino, ma il legame e il lavoro con le aziende valenzane continua con molti punti di riferimento (Novarese, Villa, Baggio, Zeme, Repossi, Stradella, Peroso e altre). Nel 1954 abita e lavora nuovamente a Valenza, una città che sta dando a molti bisognosi gli strumenti per arricchirsi; poi, nel 1960, torna a Torino, presso la nipote, ma, alla fine del 1963, esausto, si ritira presso la casa di riposo di Valenza. Qui, ormai in un inesorabile destino di marginalità, la sua salute peggiora e, il 5 febbraio 1964, all’età di 96 anni, si spegne.
L’opera di Gillio rappresenta uno dei pochi esempi moderni di artifex rinascimentale. Egli è stato in grado di compiere ogni fase dell’esecuzione del gioiello, dall’idea al disegno e alla creazione manuale, avendo la padronanza delle tecniche di sbalzo, cesello, incisione, incastonatura e finitura; le sue creazioni vanno dai gioielli alle medaglie, dai cofanetti alle cornici e ai trofei.
Lontano dagli strombazzamenti di coloro che si autodefinivano artisti, Gillio ha sempre continuato la sua opera eccelsa con umiltà e frenesia di cambiamento, consapevole che la vera grande arte fosse patrimonio di pochi. Egli non si considerava un artista, ma uno di quelli che si ponevano al servizio dell’Arte con purezza di intenti.
Quando era ultranovantenne possedeva ancora una lucidità e una maestria non comuni e la sua mano ferma e sicura traduceva ancora, nella più fedele esecuzione, tutto ciò che desiderava raffigurare.