«Io, Primario Emerito, dico grazie alla ‘squadra’ Ai giovani consiglio di imparare dai più esperti»
Di recente Marco Manganaro – insieme al collega dottor Ivo Casagranda – è stato nominato Primario Emerito dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Alessandria, dove è stato direttore della Nefrologia e Dialisi dal 2009 al 2021.
Dottor Manganaro, quali sono le sue sensazioni per un riconoscimento così importante?
Essere nominato Primario Emerito è stata una soddisfazione enorme e anche inaspettata, a due anni dalla pensione. Significa che evidentemente sono ricordato per qualcosa di buono e questo aspetto non può che farmi piacere. Quando sono stato contattato dall’Azienda, a fine novembre, ho accettato con entusiasmo.
Lei, torinese, ad Alessandria ha trascorso 12 anni: quali sono state le tappe più significative?
Sono stato nominato Primario a giugno del 2009, è stata la mia prima esperienza da direttore, perché fino a quell’epoca avevo lavorato come nefrologo al Mauriziano di Torino. Ho studiato e mi sono preparato molto per affrontare al meglio un percorso che è stato ricco di soddisfazioni, personali e per l’azienda ospedaliera stessa. In modo graduale, con una buona programmazione, abbiamo raggiunto traguardi importanti, concretizzando una crescita di rilievo.
Un percorso all’insegna del rinnovamento, dunque…
Esattamente, ho sempre cercato di innovare là dove vedevo spazi e margini di intervento. Mi rende orgoglioso il fatto di essere riuscito a completare il 100% del parco apparecchiature per la dialisi, così come sono state soddisfacenti le varie collaborazioni instaurate con altre specialità. In questo senso, devo ammettere che la mia esperienza nell’ambito delle ‘Malattie rare’ mi ha aiutato molto.
Con riscontri tangibili…
Ho coordinato le attività aziendali quale referente per l’Azienda di Alessandria presso il tavolo tecnico-scientifico della Rete per le Malattie Rare del Piemonte e della Valle d’Aosta. Ma anche avere portato ad Alessandria, in due circostanze, il congresso regionale di Nefrologia è motivo d’orgoglio e di soddisfazione.
Quanto è importante il ruolo della ‘squadra’ per raggiungere traguardi prestigiosi?
Determinante, e ad Alessandria ho avuto la fortuna di lavorare con un gruppo affiatato, composto da persone che hanno sempre remato dalla stessa parte, pronte a spendersi per il raggiungimento di un obiettivo comune. Ho diretto un’equipe molto numerosa, composta da una decina di medici e da personale infermieristico della degenza nefrologica e del centro dialisi: in tutto una cinquantina di persone, alle quali dico grazie di cuore.
C’è un ricordo al quale è particolarmente legato? O un momento che difficilmente dimenticherà?
Di ricordi belli ne ho molti, sono stati 12 anni ricchi di soddisfazioni. Ma se penso a una fase che resterà per sempre nella mia mente, cito il periodo della pandemia. Un momento difficilissimo anche per il reparto che ho diretto, siamo stati costretti a riorganizzarci in tempi rapidissimi per contrastare un qualcosa del quale si avevano conoscenze molto limitate.
Nefrologia accoglie pazienti bisognosi di dialisi tre volte alla settimana, circa 50 persone al giorno per le quali abbiamo dovuto istituire trasporti individualizzati, triage ad ogni accesso, ambienti di dialisi separati per positivi, negativi e sospetti. Senza considerare che si sono triplicate le richieste per pazienti dialitici in terapia intensiva. Insomma, un grande lavoro.
Si è appena svolta la tradizionale cerimonia dei ‘Camici bianchi’, con 79 studenti a iniziare i tirocini formativi nelle corsie ospedaliere. Che consiglio darebbe a un giovane che oggi inizia un percorso del genere?Semplicemente di imparare dagli ‘anziani’, perché un ragazzo giovane può essere preparatissimo sulle nozioni di tipo teorico, ma poi la pratica clinica è diversa e si apprende ‘sul campo’. Io consiglio di osservare con attenzione il metodo dei colleghi più esperti, cercando di carpirne segreti e sfaccettature: come deve essere l’approccio al paziente, come si organizza il lavoro, come ci si rapporta con i colleghi e con le altre professionalità che operano all’interno dell’ospedale. Solo con un ambiente sereno, si possono raggiungere risultati di rilievo.
Che futuro immagina per l’ospedale di Alessandria?
Leggo, con piacere, dell’ipotesi di costruire un nuovo nosocomio. Credo che sarebbe un passaggio decisivo per completare il definitivo salto di qualità. Se ho un rammarico, nella mia carriera, è quello di non essere riuscito a far realizzare un nuovo Centro Dialisi: l’attività dialitica, ad Alessandria, è iniziata nel 1971 e l’ultima ristrutturazione del Centro risale al 1989. Le strutture obsolete, alla lunga, rischiano di pagare dazio.