Sergio Favretto: l’orazione per il partigiano Arduino Bizzarro
Ieri, domenica, a Madonnina di Serralunga la cerimonia
MADONNINA DI CREA – Ieri a Madonnina di Serralunga di Crea si è tenuta la cerimonia di commemorazione del partigiano Arduino Bizzarro, torturato e ucciso dalle Brigate Nere fasciste.
L’orazione completa dello storico e saggista Sergio Favretto
Oggi ricordiamo un fatto grave di violenza, un fatto di coraggio, una testimonianza per la nostra libertà di oggi.
Bizzarro era un giovane, come tanti giovani che fra le nostre colline vennero uccisi dai fascisti locali o da squadre delle Brigate Nere giunte dall’esterno. Nel ‘44 e nel ‘45 chi uccideva i partigiani e antifascisti erano fascisti non più giovani, accecati dall’ideologia ormai perdente, ma sempre e ancor più violenta. Il regime, il vecchio sistema non permetteva al nuovo di emergere e affermarsi, alla libertà di vincere.
Arduino venne ucciso a 22 anni a Madonnina di Crea, dalle Brigate Nere di Casale Monferrato, in modo crudele e dopo un attacco impari.
Era partigiano della “squadra volante” della Brigata Piacibello, appartenente alla X Divisione Garibaldi.
Era il figlio secondogenito di una famiglia numerosa di braccianti agricoli, trasferitasi nel 1927 dalla provincia di Rovigo nel Monferrato. I genitori sinceri antifascisti.
Fece il giovane garzone presso l’Ortofrutticola Sassone di Casale, si arruolò nell’Aeronautica e rimase alla caserma-deposito di Castel d’Annone fino all’8 settembre.
Per fronteggiare l’occupazione tedesca, si unisce e forma le prime bande partigiane a Casale e poi ad Arcesa di Brusson.
Durante i funerali di Giuseppe Carrera, primo partigiano ucciso ad Arcesa, funerali svoltisi a Casale, Bizzarro viene arrestato con altri partigiani ed antifascisti; per otto mesi venne incarcerato, prima ad Alessandria, poi ad Aosta ed infine a Torino. La mamma ed il fratello Andino si recarono più volte a visitare Arduino alle Nuove di Torino.
Liberato a giugno 1944, venne costretto dalla RSI ad inserirsi nel Genio Pontieri a Mede in Lomellina; scappò immediatamente e si unì alla X Divisione Partigiana Garibaldi.
Operò fra le colline del Monferrato, con la guida di Rinaldo Ronco e Almerino Trombin.
Il 16 febbraio 1945 venne attaccato dai fascisti, morì in un coraggioso gesto per salvare i compagni Pietro Zanzottera, Musco Marcello e Giuseppe Deambrogio.
Gli venne attribuita la medaglia d’oro al valore militare ed intitolato un corso di allievi ufficiali dell’Aeronautica.
Da un recente documento, ad oggi inedito, emerge quanto confessato e ricostruito dal fascista Mario Iannuzzi. Era tenente della Brigata Nera dal settembre 1944 all’aprile 1945. Nel verbale dell’interrogatorio del 19 giugno 1945 espose come partecipò ad alcune operazioni e rastrellamenti:
“…il 28 ottobre del 1944 siamo partiti da Casale alla volta della Val Cerrina, premetto che la colonna era comandata dal tenente Danè Giuseppe capo dell’Ufficio politico della B.N. e dal tenente Asinari quale comandante della G.N.R.. Giunti nei pressi della località denominata Quattro Casotti, la colonna venne attaccata dai partigiani e dopo 15 minuti di fuoco si addiveniva alla cattura del partigiano Piacibello ferito, dopo molta discussione sostenuta da me e dall’Asinari e da altri, il Danè volle eseguire la fucilazione, asserendo che facendo così si atteneva agli ordini ricevuti dal comando tedesco. Il plotone di esecuzione venne comandato dal Danè ed era composto dal tenente Vivian, dal sergente Del Rosso e da altro di cui non ricordo il nome….Puntata su Ticineto – cattura di sei individui che venivano successivamente fucilati dai tedeschi…Puntata a Madonnina di Crea, scontro con elementi partigiani e certo Arduino (partigiano) trovava la morte, premetto che tale servizio venne espletato dietro ordine dell’avv. Sardi comandante della Brigata Nera…Puntata su Vignale da me comandata addivenendo alla cattura di tre partigiani ed un ufficiale che in seguito venivano indotti a far parte della B.N. e in seguito disertarono, anche tale servizio venne eseguito dietro ordine del Sardi, premetto che i tre partigiani e l’ufficiale venivano picchiati a sangue sia dal maresciallo Barbano Lorenzo della G.N.R. e dal tenente Baldinelli anch’egli della G.N.R…Nel servizio di pattuglia eseguito nella zona di Pozzo S. Evasio trovava morte il partigiano Sanlorenzo… a tale azione vi parteciparono il Sardi, il ten. Leporati, il milite Ansaldi, Del Rosso, Spalla e il milite Rivella…mi trovavo alla Cittadella quando avvenne la fucilazione della Banda Tom…confermo di aver dato qualche schiaffo e qualche pugno ad un partigiano”.
Poche righe per ricordarci come Bizzarro fu uno dei tanti giovani uccisi dal fascismo fra queste colline, come fosse un giovane di famiglia contadina e operaia, come avesse già lavorato in città quale garzone, come non fosse un privilegiato, ma solo antifascista con molte speranze. Bizzarro conobbe l’arresto e il carcere alle Nuove di Torino.
Di contro, lo catturarono e lo uccisero i fascisti locali, privilegiati, arroganti e violenti, non più giovani, ma già consueti e approdati al nuovo fascismo della RSI.
Il verbale dell’interrogatorio a Mario Iannuzzi ci rivela una violenta sequenza di fatti e protagonisti che uccisero, mentre mezza Italia era già libera e vi era attesa per la soluzione finale.
Il sacrificio di Arduino Bizzarro appare subito come un caso sintomatico e rappresentativo dell’esperienza resistenziale monferrina.
Nel biennio 43-45 in molte parti della nostra Italia si è ricreata, pur nella gradualità e fra mille incertezze, una rinnovata identità di Stato, di comunità sociale e politica, di condivisione di culture e di speranze. Dopo il regime fascista, la nebbia dell’ottundimento culturale e delle violenze razziali, con la Resistenza si aprì una fase nuova di convivenza sociale.
A questo momento, topico e rigenerativo, contribuì in modo significativo tutto il Monferrato. Anche la testimonianza di Bizzarro.
Accanto alla sommatoria di tanti e significativi singoli eventi, tante piccole e drammatiche storie locali, è utile proporre una considerazione più complessiva e sostanziale su cos’è stata la Resistenza nel Monferrato, quali furono i caratteri distintivi della medesima, come può essere declinata.
La Resistenza fu:
Difficile e originale
Il Monferrato casalese era già allora geograficamente collocato al centro di un quadrilatero delimitato da grandi vie di comunicazione, viarie e ferroviarie, da città come Alessandria, Casale, Asti, Valenza, Chivasso, Torino, Vercelli.
Le truppe tedesche occuparono con molti presidi e postazioni tutta la zona, controllando tutte le vie d’accesso (strade, ponti, ferrovie). I fascisti durante il Regime, i repubblichini dopo l’8 settembre, assicurarono sempre una presenza organizzata in tutta l’area, con strutture e dirigenti operativi.
Su queste premesse geografiche e militari, si coglie come fu particolarmente difficile l’esordio della Resistenza. Senza alcun dubbio fu più semplice organizzare le formazioni partigiane nelle valli delle Prealpi o degli Appennini.
Nel Monferrato casalese, invece, le prime formazioni partigiane ed il primo dissenso esplicito contro l’occupazione tedesca dovettero affrontare rischi significativi. Dovettero contrastare una presenza pervasiva delle forze militari tedesche ed un sostegno sinergico e capillare della RSI.
Fin dal primo avvio, fu una Resistenza originale, perchè sorse dall’integrazione fra il mondo contadino della collina e le realtà operaie e borghesi della città, con immediata spontaneità.
Anche Bizzarro proveniva da una famiglia semplice, originariamente di braccianti agricoli e poi di operai.
Così nacquero la banda di Guaschino-Venier a Gabiano, la banda Fox di Ronco a Mombello, la banda Lenti a Camagna, la banda Tom fra Ottiglio e la Valle Ghenza, le bande autonome dei fratelli Cotta fra Robella, Brusasco e Cavagnolo; la banda del Tek Tek a Grana, la banda di Beccuti a Calliano.
Fra le colline, la Resistenza si affermò spontaneamente e solo più tardi, a fine ’44 ed inizio’ 45, conobbe un’ organizzazione strutturata.
Il dissenso, il contrasto alla rinascita del fascismo nella RSI e la chiara lotta di liberazione nei confronti dei tedeschi occupanti dovettero subito fare i conti con un nemico tangibile e determinato, la cui presenza sul territorio era diffusa e ramificata.
I recenti fonogrammi tedeschi (alcuni con la firma autografa del maggiore Meyer, responsabile della fucilazione della banda Lenti, dell’eccidio di Villadeati, della fucilazione della banda Tom) trovati in una soffitta ad Alfiano Natta documentano come la truppe tedesche controllassero ogni movimento, con l’ausilio sistematico dei fascisti.
Le prime formazioni partigiane sorsero per autogenesi, grazie ad un forte radicamento e sostegno della popolazione locale, con caratterizzazioni e dinamiche differenti.
Furono aiutate fin dal sorgere dalla presenza di ex militari, ex alpini, ex carabinieri, ex avieri come Bizzarro. Dalla caserma e deposito dell’Aeronautica di Asti e Castel d’Annone provengono diversi partigiani della prima ora; alcuni costituirono le bande partigiane astigiane al comando di Amelio Novello detto Marini, altri si inserirono nelle formazioni del Monferrato casalese.
Corale e pluralista
Fin dal suo esordio, la Resistenza si caratterizzò per un’evidente coralità delle matrici ideali-culturali che l’ispirarono. Vi fu la componente comunista, radicata già nel territorio e interpretata da episodi di chiaro antifascismo durante il ventennio di Regime, ora rappresentata all’interno del mondo operaio; vi fu la componente cattolica, espressa nelle figure di Monsignor Giuseppe Angrisani e di molti parroci, dei quadri dell’Azione Cattolica e di molti volontari già operanti nelle organizzazioni sociali cattoliche, delle staffette partigiane coraggiose come Ernestina Valterza; vi fu la componente socialista, legata alle esperienze operaie e cooperativistiche; vi fu la componente liberale ed azionista, ancorata alla storia culturale del Piemonte; vi fu la componente badogliana, ispirata da una visione patriottica di uno Stato unitario forte.
Tutte queste diverse matrici ideali-culturali si mescolarono, in un’alleanza ideale proiettata verso una nuova fase storica. Nel Monferrato operarono le Brigate Garibaldi, le Matteotti; la Divisione Patria, la Divisione Autonoma Monferrato, alcune formazioni di Giustizia e Libertà.
La Resistenza fu corale e pluralista anche per la partecipazione sociale che la caratterizzò. Al movimento partigiano ed alla lotta di Liberazione, nel suo insieme, diedero contributi significativi tutte le componenti sociali di allora: dai giovani studenti liceali ed universitari ai militari, avieri ed alpini, carabinieri; dalle famiglie contadine agli operai ed artigiani della città, alle popolazioni rurali della collina; dagli insegnanti delle scuole superiori ad alcuni professionisti ed imprenditori; dal clero alle organizzazioni sociali cattoliche.
Questa coralità, anche sociale, di impegno contro l’occupante tedesco ha necessariamente interagito con la presenza a Casale e Moncalvo della comunità ebraica; la comunità era parte attiva da secoli della vita economica e pubblica del Monferrato. Le leggi razziali, la violenza della RSI distrussero la comunità, ma a pari tempo fecero emergere una solidarietà nascosta e diffusa della gente comune, dei parroci verso gli ebrei. Alcuni ebrei militarono nelle formazioni partigiane ed antifasciste, come Dario Carmi e Sergio Morello.
Fra le colline si scrissero pagine singolari di soccorso vicendevole, di grande rispetto per l’autentica libertà di fede e di opzione ideologica.
Un ruolo significativo, in parte ancora da esplorare completamente, venne svolto da alcune missioni anglo-americane o inglesi paracadutate nel Monferrato. Le missioni, al comando del maggiore inglese Leach, nei mesi precedenti la Liberazione assicurarono armi, munizioni, mezzi ed istruttori per sabotaggi, alimenti, vestiario, radio trasmittenti.
Le formazioni partigiane percepirono, quindi, come la lotta di Resistenza ai tedeschi occupanti fosse condivisa anche da altri popoli, da sempre liberi.
Si ricordano le missioni Morristown, Joungstown, Bet, Edison, Lana 2; le missioni erano correlate con il SIM italiano, con il SOE inglese e con il OSS americano.
Aperta e collaborativa
La Resistenza non fu espressione chiusa di gruppi militari o di cerchie ristrette di ribelli. Alcuni antifascisti casalesi operarono in formazioni partigiane nel Canavese e in Val di Susa, nel Varesotto e nel Pavese. Comandarono bande locali, con gesti di eroismo e furono vittime dei tedeschi.
Nelle formazioni partigiane, di contro, operarono giovani ed ex militari provenienti dalla Val di Lanzo, dalla Val Susa, dal paese di Mathi e dalla Val D’Ossola . Ci fu una mutualità tra le formazioni partigiane e il resto della Resistenza in Piemonte. Ne sono testimonianza le figure di Italo Rossi e Sergio Morello, comandanti partigiani uccisi in Val di Lanzo e nel Canavese; la figura di Francesco Alfieri Greppi ucciso ad Usseglio nel settembre ’44; in Monferrato, sono testimonianza le figure di Angelo Bordino e Nicola Marchis, di origine canevesana e componenti della banda Lenti, uccisi a Valenza e a Vignale, di Miracapillo Bruno Savino, ucciso a Cantavenna; di Maugeri Giuseppe, ucciso con la banda Tom a Casale.
Bizzarro partì con una sessantina di altri giovani, in una domenica di fine ottobre ’44 dalla piazza dell’Addolorata di Casale, alla volta di Arcesa in Valle d’Aosta. Qui organizzarono le prime formazioni partigiane locali; dopo la morte del compagno Carrera, ucciso dai tedeschi e fascisti di Aosta, Bizzarro ritornò a Casale per le esequie, ma venne catturato.
Identitaria e fondativa
La Resistenza consolidò, proprio per la sua caratterizzazione e poi per il suo manifestarsi organizzato, l’identità di area forte da sempre assunta dal Monferrato.
Fu proprio così. Anche la Resistenza confermò il ruolo protagonista del Monferrato nella storia di questo pezzo di Piemonte.
Già a fine ‘800 e nell’avvio del ‘900, il Monferrato visse una storia protagonista, esprimendo figure decisive nella politica, nella cultura, nell’economia, nell’arte, nell’agricoltura e nella socialità.
Il Monferrato non visse mai la propria storia in maniera residuale e marginale, ma seppe guidare i processi di cambiamento. Anche nella Resistenza non mancò questo ruolo protagonista. Si pensi, ad esempio, alla figura di Giuseppe Brusasca, militante nel Partito Popolare di Sturzo e sostenitore delle prime formazioni partigiane, amico di alcune famiglie ebree casalesi, divenne vice-presidente del CLNAI , primo Presidente della Provincia dopo la Liberazione, poi sottosegretario di Stato.
L’esperienza resistenziale fortemente partecipata da apporti diretti, autorevoli e convinti, contribuì a consolidare una precisa identità di area, distintiva rispetto al resto del Piemonte.
Fu una Resistenza coraggiosa, originale, identitaria, ma soprattutto fondativa della nuova coscienza civile che, mese dopo mese, stava sorgendo fra le colline.
La Resistenza non fu la sommatoria casuale di eventi, ma costruì, goccia dopo goccia, una nuova sensibilità democratica condivisa.
Crudele e violenta
L’esperienza resistenziale vissuta fra queste colline fu pesante, in termini di prezzo pagato alla vita. La vicenda della banda Lenti, formazione partigiana simbolo della lotta coraggiosa per la libertà, arrestata al completo e immediatamente fucilata a Valenza; la vicenda della banda Tom, anche qui catturata ed eliminata a Casale nel gennaio ’45, mentre mezza Italia era già libera; l’eccidio di Villadeati, con il parroco don Camurati e nove capifamiglia uccisi in piazza; Arduino Bizzarro, per ben otto mesi in carcere, poi ucciso in uno scontro a fuoco con i fascisti, senza pietà; molti altri partigiani uccisi o feriti fra le colline e sulle rive del Po, catturati con delazioni ripetute, come Lino Cover, Lazzaro Neno Lazzarini, Alfredo Piacibello, Pietro Pagliolico, come Stefano Grandi; come Innocenzo, Bruno, Francesco e Italo Rossi; i partigiani fucilati a Ticineto Angelino Carlo, Rotelli Augusto, Rossino Aimo, Rota Silvio, Scagliotti Edoardo, Zemide Giovanni, Grassi Pierino (Carlo Angelino riuscì a fuggire, venne catturato e poi ucciso al Castello di tortona); i partigiani Giuseppe Sogno e Alfio Zanello, fucilati il 27 febbraio al Castello di Ortona; le violenze subite dalla popolazione civile, come gli attacchi e rastrellamenti, la battaglia di Cantavenna, gli scontri di Gabiano; le vittime inconsapevoli e molte volte ingenue registrate tra le file della nuova Repubblica di Salò o fra le formazioni collaboranti; ebbene, tutte queste vite sacrificate segnano ancora oggi la Resistenza nel Monferrato come un’esperienza crudele e violenta. Il Monferrato pagò un prezzo molto alto per voltare pagina, per superare un passato nefasto e creare condizioni nuove di libertà.
Questa è stata la Resistenza nel Monferrato. Coraggiosa e lungimirante, positiva; una Resistenza vissuta come riscatto sociale e culturale di una popolazione, non solo una battaglia con vincitori e vinti, ma un Paese distrutto con tanta voglia di risalire e riprendersi.
Come allora vi fu la tensione ideale che ispirò i giovani partigiani e la popolazione civile a sostegno di una nuova storia democratica, anche oggi si richiede una nuova tensione ideale per consolidare una società che non deve apparire apatica e neutra, ma ricca di progetto e di sviluppo.
Tensione e impegno, perché i rischi di involuzione vi sono e sono ben organizzati.
Il primo rischio: la distorsione storica e l’appropriazione strumentale irridente di valori e patrimoni culturali di altra matrice e provenienza. Oggi, la destra, priva di un passato democratico e innervato nella società, utilizza simboli e temi contrappositivi e polemici attribuendo agli stessi un valore vincente e meritevole deviato: si pensi al concetto di patriota, di identità italiana, di nazione, di orgoglio italico. Nei miei studi e ricerche, nei documenti originali, ho incontrato mille volte il termine patriota, nazione, italiani. Era documentazione partigiana, atti e rapporti delle varie formazioni, appunti e messaggi dei condannati a morte. I patrioti erano i partigiani, i fascisti erano le milizie e il potere aggressivo e disumano. Ed ancora, si esalta la cultura di D’Annunzio con il concetto del super uomo, quando oggi abbiamo bisogno di una società eguale e solidaristica; si esaltano motti e frasi come “Dio, patria e famiglia”, simboli come la fiaccola in varie forme grafiche con tricolore; si evocano strumentalmente riferimenti cattolici e di chiesa, tendenze di autosufficienza economica e autarchica; si rifugge da una visione europea, inneggiando al limite dei propri confini.
Il secondo rischio: la preminenza della propaganda sulla verità, sulla storia vissuta; l’utilizzo della tecnica dell’illusionismo sulla chiamata alla responsabilità.
Il cittadino è disorientato; crede che vi sia giustizia, vi sia offerta adeguata nella sanità, qualità nella scuola e nella formazione, qualità e pluralismo nella cultura e nell’informazione. Incontra, invece, sperequazioni a vantaggio di chi può economicamente e a svantaggio di chi deve lottare ogni giorno; incontra censure sollecitate o decise, appiattimento al ribasso e standarizzazione. Incontra difficoltà nel progettarsi un futuro, deve accontentarsi del precario e del provvisorio. La propaganda illude, mostra tutto facile e lusingante, tutto come fosse a portata di mano, ma invece molti servizi sono selettivi e per pochi.
Nel campo della cultura, si propongono dei surrogati culturali modesti e di parte; si usano eventi e festival della cultura e identità per fare consenso politico, per organizzare una lettura di parte della storia, per illudere alla partecipazione culturale, ma non si dà conoscenza e capacità di autonoma elaborazione di pensiero. La cultura e la storia non sono né di sinistra e né di destra, sono verità dei fatti e capacità delle conoscenze, non illusioni.
Si pensi alla contrapposizione fra la Resistenza e le foibe. Nulla di più falso e gretto. La Resistenza fu di tutti, laici, comunisti, socialisti, liberali, cattolici, esercito, carabinieri, ebrei, giovani, alpini, operai e studenti. Fu espressione di popolo. La tragedia delle foibe fu sempre riconosciuta e ricordata da storici e cittadini, da sempre. Il latinista e comunista Concetto Marchesi, rettore dell’Università di Padova antifascista e resistente esule in Svizzera, nel 1949 propose e diede la laurea honoris causa alla Norma Cossetto, esaltandone il sacrificio per la libertà. Molti storici svilupparono ricerche e studi. Le foibe furono un evento noto e mai ignorato. Oggi invece viene considerato per propaganda come vicenda contrappositiva alla Resistenza.
La Costituzione non è attuata. Non vi è libertà piena, libertà dai condizionamenti e dai luoghi comuni che ingessano una società ed impediscono ogni spontaneo sviluppo.
In questi settimane in Italia si stanno ripetendo troppi eventi e manifestazioni di ritorno alla simbologia e propaganda consueta al regime fascista. Da Milano, Roma, Verona, Acca Larentia, Varese, ci sono tornate immagini fuori dalla storia, ma molto preoccupanti. Sono delle vere e proprie parate paramilitari, organizzate con slogan evocativi, con animosità ed aggressività verbali, con parodie poco edificanti. Non sono adesioni spontanee, ma gruppi organizzati, non manifestazioni di pensiero, ma ostentazione di arroganza e supremazia.
Noi cittadini, antifascisti certamente vigileremo. Invitiamo, tuttavia, anche tutti gli organismi pubblici preposti a seguire e monitorare questi fenomeni, non sono affatto liberi e spontanei, ma ben organizzati e tendenziosi, rivolti al conflitto.
Ricordando la grande testimonianza di Bizzarro e dei giovani partigiani del Monferrato, riattiviamo la limpidezza e l’attualità della nostra Costituzione.
Vorrei qui ricordare come il sacrificio di un antifascista e di un partigiano non termina con la memoria che ne scaturisce, ma si perpetua nell’influenza che questo sacrificio ha nella società, nella famiglia, nella scuola, nella cultura, nel tessuto vitale di un’area, nelle istituzioni. Penso a quanto impegno la famiglia e il fratello Andino Bizzarro hanno assicurato per decenni nella divulgazione dei valori resistenziali e costituzionali.
Un paradosso: vi è lo Statuto di un partito al quale appartengono i vertici del potere oggi in Italia che in tutti i vari articoli non cita e menziona mai il termine Costituzione o valori costituzionali.
Spetta a noi, semplici cittadini, il compito di supplire al grave torto.