Politainment: quando la tv si fonda (sempre di più) con la politica
«La Rai, Radio Televisione Italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive […] Signore e signori, buon divertimento»
Con queste parole, pronunciate dall’annunciatrice Fulvia Colombo, il 3 gennaio 1954, nasceva ufficialmente la RAI, ovvero la televisione pubblica italiana. Così il “compleanno” della TV è da poco trascorso, attraverso varie celebrazioni che ne hanno ripercorso storia ed evoluzione.
In realtà, in Italia, erano già state fatte alcune sperimentazioni di trasmissioni durante la dittatura fascista, ma solamente dal gennaio di settant’anni fa ha preso avvio in maniera ufficiale il servizio televisivo di Stato, inizialmente basato su un unico canale, che sarà battezzato poi Rai1.
Certamente, l’avvento della tv pubblica ha accelerato un processo sociale dalle caratteristiche inedite: da simbolo di modernizzazione – “figlia” orgogliosa del boom economico – la tv si è da subito ritagliata il suo ruolo di esperienza collettiva, nonché educativa, e soltanto dopo ha iniziato ad assolvere a funzioni informative e di puro intrattenimento, per target sempre più differenziati.
Tra i programmi più noti resterà senza dubbio nella memoria Carosello (1957), un format pubblicitario concepito per “fare pubblicità senza fare pubblicità”, iniziando da subito un processo di ibridazione, che contraddistingue storicamente non solamente il mezzo televisivo, ma che attraverso l’intera storia dei canali di comunicazione, dalla carta stampata, fino al web.
A partire dagli anni Settanta, con l’avvento delle emittenti private (Fininvest nasce il 21 marzo 1975 – e diventa Mediaset il 15 dicembre del 1993, a poche settimane dalla “discesa in campo” di Silvio Berlusconi. Era il 26 gennaio del 1994), assistiamo a una serie di cambiamenti che produrranno una nuova configurazione dell’assetto televisivo italiano, per lungo tempo configurato come duopolio. E arriviamo, così, fin troppo velocemente, agli anni Duemila e al processo di digitalizzazione (la tv che diventa piattaforma) che è ancora in atto e che sta portando con sé cambiamenti inediti, e dalle conseguenze al momento non totalmente prevedibili.
Tra i vari generi televisivi, quello che più ha subito un’ibridazione è certamente quello del talk show politico, che è ormai un perfetto esempio del cosiddetto “politainment”. Coniato nei primi anni Duemila da David Schultz, professore di Scienza Politica alla Hamline University, il politainment – fusione dei termini politics e entertainment – rappresenta la completa saturazione della politica con i media e il marketing. Schultz detta alcuni codici per questo nuovo profilo politico, lo stesso che Giampietro Mazzoleni chiama “politico pop”.
Per esempio, definirsi come personaggio chiaro, distinto e appassionato, usare le migliori nuove tecnologie per le proprie campagne e soprattutto essere capace di raccontare una storia (saper fare storytelling, per usare un linguaggio ormai famigliare al mondo della comunicazione). Così molti politici oltre che ospiti fissi di talk show, diventano veri e propri “personaggi”, oggetto di scoop, satira e meme sui social. E il confine tra popolarità e potere politico va a sfumarsi sempre di più.
L’Italia non è ovviamente estranea a questo tipo di dinamiche, anzi, molti studiosi hanno parlato del nostro Paese proprio come un “laboratorio” inaugurato dall’uso politico delle reti Mediaset da parte di Berlusconi, ideale trampolino di lancio per la sua già citata “discesa in campo” del 1994. In Italia, inoltre, la spettacolarizzazione del discorso politico ha visto il suo culmine tra il 2009 e il 2013, quando il comico Beppe Grillo ha deciso di fondare un partito, il Movimento 5 Stelle. Lo stesso destino di Grillo era stato “profetizzato” proprio in diretta televisiva, su Rai1, da Piero Fassino che in occasione di un’intervista aveva affermato: «Se Grillo vuol fare politica, fondi un partito, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende». Ciò che è successo dopo è ormai storia, e non più solamente cronaca.
E se usciamo dal panorama italiano, e guardiamo di più all’avvento delle nuove tecnologie (la famosa ibridazione tra tv e web), un personaggio politico fortemente controverso resta Donald Trump che, oltre ad incarnare a tutti gli effetti il profilo del “personaggio” e del “politico pop”, è stato protagonista di numerose polemiche mediatiche, nonché oggetto di meme altrettanto discussi, che lo hanno visto diventare “Pepe the frog”. Vedremo, proprio in queste settimane, se l’ex Presidente Trump sarà effettivamente e nuovamente il candidato Repubblicano alla Casa Bianca, e soprattutto se si porrà ancora al centro della scena mediatica, oltre che strettamente politica.
Gli occhi resteranno sicuramente puntati sulle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, ma non dimentichiamoci che questo 2024, appena iniziato, sarà un anno di elezioni per moltissimi Paesi “cruciali” per l’ordine geopolitico mondiale: che cosa succederà, dunque, alla politica internazionale, come cambieranno gli scenari, ma soprattutto quali saranno le figure al centro della scena, e che ruolo avranno i media (“vecchi” e “nuovi”) in tutto ciò?