«Elio mi manchi in un modo semplice, adulto e umano»
Come possiamo trovare le parole giuste, le parole che salvano, comunicano e creano reazioni e relazioni vere, per fare in modo che nulla cada nel vuoto ma che servano davvero?
CASALE – All’indomani delle esequie di Elio Carmi, che hanno avuto luogo ieri, mercoledì 10 gennaio a Casale Monferrato, pubblichiamo il ricordo dell’amico Max Biglia.
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Prendi gli occhiali e appoggiali tra la tua barba, prendi i tuoi piedi, il tuo passo lungo, il tuo culo e appoggialo tra questo mare di colline o, da qualche parte nel mondo; dalla tasca sinistra prendi la tua matita per disegnare immaginazioni, pensieri verso il cielo e meraviglia. Prendi quel sorriso arguto, una manciata di parole che curano e poi, poi posa il tuo naso e affondalo tra le inquietudini e le fragilità umane. Una fragilità che presuppone il coraggio di mostrarsi come si è, senza finzioni. Non possiamo scappare da questa fragilità ma possiamo farne un’arte. Che ha la stessa bellezza, poesia, forza e vitalità di qualsiasi arte di cui abbiamo parlato tante volte e che mi hai insegnato con la tua ultima sberla di umanità.
Con lo stupore negli occhi, ancora una volta, in questo alternarsi imprevedibile prendi la materia e dai forma alla narrazione che osserva e modifica e che, nonostante tutto, è un inno alla vita e alla determinazione del “sentire” senza mai disconoscere la fatica che si è fatta dignità, dovere, silenzio che fa rumore, per lacerare l’abitudine, il torpore, l’indifferenza e la paura. Ancora una volta, prendi la fragilità, questa parola luminosa e oscura che ha volti e sguardi, l’immagine della debolezza inutile, acerba e malata, inconsistente e destituita di senso e trasformala, facciamolo insieme, con i valori del sapere e della gentilezza sfinita.
Come possiamo trovare le parole giuste, le parole che salvano, comunicano e creano reazioni e relazioni vere, per fare in modo che nulla cada nel vuoto ma che servano davvero?
Prendi la tua cultura, la spiritualità, la dedizione, prendi il tuo tempio tra le tempie che ha determinato il tuo ruolo nel mondo e non smettere di alitare sui vetri per disegnare visioni. Così, abbiamo incontrato il profumo dei colori, la terra è adornata, gli occhi affaticati. Per custodire pienamente la vita occorre avere chiaro quanto vale, in qualsiasi condizione e nonostante il limite.
Mentre ti aspetto conto con le dita e mi guardo intorno. Mi guardo dentro. Nel mio vestito fatto di piccole cose e, senza il bisogno di fingere, lotto con il tuo nome che voglio proteggere. È come volare, dopo un grande salto.
È l’anima, che non so esattamente cosa sia. Forse è un principio immateriale, un portamento, l’indole, un modo insolente e misterioso. Non so se ne posseggo una e nemmeno se quei graffi, quelle emozioni, il vuoto, quel vuoto che sento, sono un buco nella rete o anima. Nel mio vestito fatto di piccole cose ho bisogno di qualcuno che ti chiede come stai, di tua figlia o, ci vediamo domani? Perché esiste un tempo con dentro gli sbagli, gli abbracci, i silenzi. Esiste un tempo dentro al cuore. Perché oltre, è qualcosa che non si vede.
Mentre ti aspetto, gli elefanti mi sbattono addosso. Io immobile, li osservo prudente come se servisse. Loro alzano terra e polvere, non riesco a vedere a più di un palmo dal mio naso, ma da qui, dovrei farcela. Da qui, mentre il mondo si muove, il tempo non si ferma neanche un istante tutto è possibile, tutto è ancora possibile e abbiamo la responsabilità di farcela.
Appoggia gli occhiali nella tua folta barba, intanto che ti aspetto tra le parole e le tue gocce di miele distribuite, assegnate, in questo destino che ha un orologio molto particolare che non segna le ore, ma i momenti.
Non bisogna lasciare che la fatica entri nel cuore. Me lo ripeteva sempre mia madre intanto che accanto, mi raccontava della vita come il più bello dei sogni imprevedibili, del gioco dei poeti, del nonno che sognava la cioccolata e del palpitare di un’idea. Io ascoltavo e osservavo quelle traiettorie, e facevo fatica a credere che le guerre e le assenze fossero vere, possibili, così come le storie degli uomini. In questi giorni dove le carezze di sole tentano di affacciarsi tra le nubi e i nomi, passo tra le dita il filo della vecchia giacca nuova, perché un silenzio, non può durare troppo a lungo. Così, quando vado in un posto, in un posto qualunque, mi piace scrutare la precarietà delle persone, la gestualità delle mani, l’immobilità degli oggetti e le “metastasi” della società. Mi tranquillizza la porta che concede questo andirivieni di luci e ombre e poi, l’appendiabiti. Mi piace pensare che lì appeso c’è quell’abbraccio che profuma di buono, pronto per essere indossato.
Questa non è l’ultima volta.
Mi manchi in un modo semplice, adulto e umano.
No, non bisogna lasciare che la fatica entri nel cuore ma che si compia in modo istintivo, libero e straordinario, come quando soffia il vento, le foglie si rincorrono, si confondono, si piegano i fiori e sbanda la farfalla. Il cielo schiarisce come un gesto garbato.
Fai che farlo, rimani se vuoi, perché in questa notte, nulla finisce per davvero.
Ciao Elio.
M.