A Bologna arriva “l’assessore agli umarells”: ma se fossimo tutti un po’ umarells?
Da poche settimane il Comune di Bologna ha il suo “assessore agli umarells”: «A Massimo Bugani diamo il monitoraggio dei cantieri, diciamo che sarà un po’ l’assessore agli umarells, nel senso che va benissimo se parlerà anche con loro», commenta il primo cittadino Matteo Lepore, a Repubblica Bologna, intervistato in occasione del rimpasto di deleghe, avvenuto all’interno della giunta, a fine novembre.
E così, il nuovo ruolo di Bugani, ex 5 Stelle (ora approdato nel Pd, dopo aver appoggiato Elly Schlein alle primarie), fa scattare l’ironia dei social – con notizie riprese da diverse testate – sul ruolo e sulla “fenomenologia” degli umarells.
Chi sono gli Umarell?
Ma chi sono davvero questi personaggi e soprattutto da dove deriva la parola, ormai entrata nel linguaggio comune, soprattutto quello mediatico? Per tutti (o quasi), ormai, l’umarell è l’anziano che guarda i cantieri e talvolta interviene anche per dare consigli (spesso non richiesti a chi sta lavorando). Negli ultimi anni se n’è parlato talmente tanto (su Instagram, attualmente, l’hashtag #umarell conta oltre 29mila condivisioni) che il neologismo umarèll (sì, l’originale termine bolognese richiede l’accento!) è entrato nell’edizione 2021 del dizionario Zanichelli, proponendo la seguente definizione: « […] pensionato che si aggira, per lo più con le mani dietro alla schiena, presso i cantieri di lavoro, controllando, facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che vi si svolgono».
Lo stesso vocabolario riporta il 2007 come anno di prima attestazione, anche se l’invenzione del termine risale a due anni prima e il “colpevole” è il blogger, scrittore e consulente digitale bolognese Danilo Masotti che nel 2005 ha lanciato un blog proprio dal titolo “Umarells”, diventato presto un libro di successo con lo stesso titolo (seguito da altri con titoli simili). Lo stesso Masotti è stato, così, più volte definito come una sorta di “antropologo pop-urbano”, capace di raccontare, appunti, gli umarells in maniera ironica, ma allo stesso documentata, con gli occhi di un sociologo o persino di un antropologo, alla ricerca delle varie personalità in giro per la città.
Il “movimento” degli Umarells nasce, dunque, proprio a Bologna, e dal dialetto all’italiano, la traduzione letterale della parola è “ometto” (sarebbe la postura china ad abbassare la stazza da uomo “grande” a uomo “piccolo”). Il termine nasce dalla mutazione di una parola dialettale, usata originariamente in modo dispregiativo: umarèl (con una sola L), stando ad indicare un ometto dall’aria dimessa e anonima che vaga per la città; espressione nata all’inizio del Novecento (in precedenza esistevano termini simili come umêtt, umarêtt, umein, umarein e uminein). Umarèll si è poi trasformato – cambiando in buona parte la connotazione linguistica e semantica – in un “bolognesismo” usato quasi ovunque, a livello nazionale e ora conosciuto, grazie alla diffusione tramite i social, anche all’etero. La “S” è stata aggiunta da Masotti per indicare che queste persone sarebbero tante e potrebbero essere ovunque.
Il fenomeno ha preso talmente piede che già nel 2015 l’Associazione “Succede solo a Bologna” ha creato la “Umarells Card”, per invitare ufficialmente a supervisionare da molto vicino i lavori della Basilica di San Petronio. Con un’offerta minima di 5 euro era possibile ottenere il certificato “Official Umarèl” e l’ingresso gratuito alla terrazza panoramica del luogo-simbolo, così da contribuire anche al restauro, attraverso questa singolare raccolta fondi.
E come ogni fenomeno “pop” che si rispetti, anche quello degli umarells è stato ampiamente sfruttato, oltre che dai vari media, anche dal mondo della musica, da diversi brand e persino dalla politica. Primo fra tutti, Fabio Concato, nel 2021 ha dedicato una canzone a “L’umarell”, che descrive lo status del pensionato milanese “bloccato” alla finestra durante la pandemia. Perché sì, anche durante il lockdown, gli umarells sono riusciti a ritagliarsi il loro ruolo, essendo più volte descritti come quelli che prima sorvegliavano i cantieri e poi “a distanza” le città semideserte, alla ricerca dei comportamenti “devianti” delle persone di passaggio.
A diventare molto popolare (meno i prezzi!) – le vetrine sono piene anche questo Natale delle “statuette” degli umarells da tavolo – è il brand Superstuff, che ha realizzato un soprammobile pensato per le scrivanie di chi lavora nell’ambito della progettazione (inizialmente soprattutto architetti ed ingegneri): un anziano in miniatura che osserva cantieri digitali sui computer. La statuetta ha però ottenuto un tale successo da finire sulla scrivania un po’ di tutti noi – impiegati, scrittori, giornalisti, professori – lì, pronta a “sorvegliare” il nostro lavoro quotidiano.
L’efficacia del “brand” umarell è stata sfruttata anche da Burger King che nel 2016 ha creato una campagna pubblicitaria per raccontare la costruzione di futuri fast-food: «In centinaia ci chiedono di aprire nuovi ristoranti, abbiamo già iniziato e presto ne apriremo tanti altri. Per farlo bene ci volevano persone precise, con anni di esperienza, spirito di osservazione e pazienza», recita lo spot, che mostra i cinque vincitori della campagna #kingofumarells.
Ed infine, ecco la politica che è più volte riuscita a far entrare nel dibattito pubblico il termine, anche al di fuori del contesto originale e cioè quello degli anziani che guardano i cantieri, ed utilizzandolo per etichettare chi sta ai margini di qualche evento senza assumere un ruolo attivo. Per esempio, nell’archivio storico del Corriere della Sera troviamo una citazione attribuibile ad Aldo Grasso, che il 10 marzo 2017 se la prende con certi personaggi politici onnipresenti nei talk show televisivi, la cui «continua presenza genera l’effetto-umarell», facendo perdere loro credito (tornerà altre due volte su tale concetto, l’ultima volta nel 2021); anche Massimo Gramellini, alla fine del 2021, paragona le persone scettiche nei confronti dei vaccini anti-Covid agli «umarell […] che si liitano a guardare scuotendo la testa».
E ora, con quest’ultima notizia che ha come protagonista l’assessore bolognese, è un po’ come tornare alle origini, a dove il termine è nato e si è diffuso. Anche se, come ci ricorda il giornalista Marco Brando, autore di “Umarell, una parola in cantiere”, pubblicato su Treccani Magazine: «Di certo, a prescindere dall’età, tutti diamo a volte l’impressione di essere un po’ umarell». Non siete d’accordo?! Ah, se vi serve un’idea per un regalo di Natale last second, non dimenticatevi che esiste anche il calendario 2024 dedicato agli umarells. Il tema? “Qui una volta era tutta campagna!”.