La partita complicata dell’ex arbitro Gardiol rimesso in piedi grazie al centro Borsalino
Un ictus, le speranze quasi svanite, quattro mesi di riabilitazione. «Abbiamo trovato professionisti molto preparati». I progressi giorno dopo giorno
Carlo Gardiol è stato un arbitro di calcio, un organizzatore di tornei, un personaggio conosciutissimo tra chi, fino a qualche anno fa, da queste parti ha dato calci a un pallone.
Se l’è vista brutta, il nostro. Un ictus, di quelli che è difficile mettere in fuorigioco. Invece, per fortuna, siamo qui a raccontarla: palla al centro e si riparte. I meriti vanno ascritti al centro riabilitativo Borsalino di Alessandria, quella struttura che Enrica, la figlia di Carlo, celebra con parole al miele, confermando quel che più o meno è risaputo: alla periferia della città abbiamo una struttura d’eccellenza.
Naufraghi e terra ferma
Racconta Enrica: «Siamo reduci da un’esperienza ospedaliera veramente importante, impegnativa e che, soprattutto, da un lato ci ha fatto comprendere il senso della vita e dell’altro ci ha ridato speranza nella capacità di persone preparate e motivate».
Papà Carlo è stato ricoverato per circa quattro mesi, a seguito di un ictus che lo aveva colpito a giugno.
«La situazione clinica è apparsa subito grave e complessa – aggiunge Enrica – a cominciare dal problematico ricovero all’ospedale, dove ha vissuto una permanenza perlomeno tormentata. Avevamo pessime aspettative, pensavamo che un recupero del nostro caro sarebbe stato impossibile…».
Poi, però, il Borsalino. «Il presidio ci ha accolto come la terra ferma accoglie i naufraghi dopo giorni di battaglia in mare: con l’immediata, rassicurante operatività di un sistema fondato sulla centralità del paziente e sull’approccio orientato verso la cura della persona. Abbiamo subito percepito l’alta qualità dell’ambiente professionale e, senza indugio, ci siamo affidati alle loro cure».
Superare le criticità
Fatto sta che il personale del Borsalino ha preso in carico immediatamente Gardiol che, mostrando ancora un quadro clinico «non completamente stabilizzato», ha avuto necessità «di interventi con percorsi medici e assistenziali appropriati», utili per superare le ulteriori criticità che, nel frattempo, si erano manifestate.
«Devo ammettere – aggiunge la figlia – che il personale si è mostrato non solo competente ma, direi, meraviglioso». Cita il primario Marco Polverelli, la dottoressa Anna Scavia con la sua équipe, la coordinatrice Monica Barberis, e poi infermieri e oss, senza la cui professionalità, probabilmente, racconteremmo un’altra storia.
«Altrettanto importante e positiva è stata la fase della riabilitazione che si svolgeva quotidianamente in parallelo e in interconnessione con l’assistenza sanitaria – prosegue Enrica – Mio padre ha potuto beneficiare di una pianificazione riabilitativa specifica per pazienti con limitazioni funzionali e con riduzione dell’autosufficienza. Ogni giorno, papà raggiungeva traguardi funzionali sempre più evidenti e una sicurezza motoria impensabile fino a qualche tempo prima. Da una situazione di completa riduzione della mobilità, piano piano, si è passati a una iniziale mobilizzazione passiva e successivamente attiva, seppur assistita. Tutto ciò lo ha portato a raggiungere sempre più stabilmente una posizione eretta e a camminare. È un risultato straordinario, che ci permette di guardare con serenità al futuro».
Enrica, che è infermiera al Santi Antonio e Biagio, ha seguito giorno per giorno il genitore, constatandone progressi che, a giugno, erano impensabili.
A quei tempi, senza Var
Anche Carlo Gardiol, che ha 76 anni e abita a Bergamasco, lavorò all’Azienda ospedaliera (molti incarichi, l’ultimo dei quali all’ufficio prenotazioni dell’Infantile).
Il mondo del calcio alessandrino lo ricorda in giacchetta nera (all’epoca si usava così), con fischietto in bocca, pronto a esibirsi in campionati amatoriali, dove domare i calciatori non è sempre facile. Ci riusciva senza l’aiuto del Var ma con diplomazia, un po’ papà, un po’ consolatore («lo so che vi picchiano, ma state anche vincendo…»). È stato il mitico organizzatore di competizioni di livello discutibile, come il celebre ‘Torneo dei bar’, quando, in finale, miracolosamente, potevi ritrovare avversari già sconfitti nelle eliminatorie. Come fossero arrivati fin lì, forse, lo sapeva solo Gardiol, interprete supremo di un calcio che non c’è più e di cui – pazientate voi che leggete – abbiamo nostalgia.
Forza Carlo, che la vita è un campionato. E tu, signor arbitro, hai vinto una partita difficile.