«Cordone ombelicale donato alla Scienza. E forse a mia figlia…»
Venezuelana d’origine, abita al Cristo. La ragazza ha una malattia del sangue. Ma 4 mesi fa è nato Lorenzo. «È stata un’emozione indescrivibile»
«Se mai non dovesse servire per mia figlia, potrebbe comunque essere utile per curare un’altra persona ». Qualora cercaste qualcuno desideroso di mettersi a disposizione della scienza, fate un salto in via Gandolfi, al quartiere Cristo.
Qui, in una palazzina verde oliva, potreste imbattervi in una signora di 38 anni, originaria del Venezuela, il paese dove ha partorito i suoi primi tre figli.
Il quarto, che si chiama Lorenzo, è nato quattro mesi fa all’ospedale di Alessandria. Con questo lieto evento, Elena Trofa Fersula ha potuto, anzi voluto, donare il cordone ombelicale, un nobile e generoso gesto che, racconta, «non avrei potuto fare se non avessi trovato grande disponibilità e competenza, nel dirigente di Ostetricia e Ginecologia, Davide Dealberti, e in tutto il suo staff, compresa l’infermiera Patrizia che mi ha aiutato a sbrigare ogni pratica necessaria per poter procedere alla donazione».
Un’ansia benefica
Il sogno di Elena è far sì che le cellule del cordone ombelicale possano essere utili alla sua terzogenita, che si chiama Sharon. Ha 12 anni, studia alla media Vivaldi, suona il violoncello. Ad agosto, al reparto di Ematologia e Oncologia dell’ospedale Gaslini di Genova, ha subito l’asportazione della milza, un intervento necessario per consentirle di fronteggiare l’anemia falciforme, malattia genetica del sangue. La ragazza ora sta bene, ma il monitoraggio è continuo.
«Indipendentemente da chi ne avrà benefici – racconta Elena – donare il cordone ombelicale è stato emozionante. È difficile descrivere quello che ho provato. Avevo un po’ di ansia, ma anche la consapevolezza di poter contribuire alla ricerca scientifica».
Il colpo di fulmine
L’ultimo parto, dunque, è stato il più speciale, non solo perché il primo in Italia. «Ero anche al quarto cesareo, il più complicato, come mi hanno spiegato i medici per via di quel che, nei tre precedenti, hanno combinato in Venezuela… Comunque tutto è andato per il meglio».
Elena sorride, si concede un po’ di relax nei momenti in cui il bimbo dorme e prima che rincasi il resto della truppa. «Non mi annoio mai, capirete. Per fortuna ho molta collaborazione dai ragazzi più grandi e da mio marito Daniel, altrimenti sarebbe davvero dura».
L’amore tra i due sbocciò in Venezuela. «Fu un colpo di fulmine» dice lei, che all’epoca abitava a Bejuma, dove Daniel andò in vacanza da parenti. Successe 19 anni fa. L’uomo si trasferì in Sud America e lì nacquero Geremy, Aaron e Sharon.
Nel 2013, l’intera famiglia traslocò ad Alessandria. Primo e secondogenito, 18 e 16 anni, studiano al Cellini di Valenza. La signora, col suo bel daffare, è mamma a tempo pieno. Del Venezuela, dice, le manca il calore umano e l’estro: «Noi, laggiù, siamo un po’ come i napoletani, sempre propensi all’allegria. Qui al Nord non è esattamente così. Ma i parenti veneti di mio marito sono una piacevole eccezione».