Assassinio a Venezia di Kenneth Branagh
L’interesse di Branagh per le atmosfere giallo-noir della scrittrice inglese in quest’ultima prova si sposa con una palese attrazione per le storie gotiche e horror; anche se il luogo che fa da cornice agli eventi non è più una tranquilla dimora della campagna inglese, bensì Venezia nella sua bellezza lacustre e malinconica, autunnale
«Noi non possiamo nasconderci dai nostri fantasmi che siano veri oppure no. Dobbiamo cercare di non combatterli e continuare a vivere in qualche modo».
(Hercule Poirot, “Assassinio a Venezia”)
Terza dopo le precedenti trasposizioni dagli ormai classici romanzi di Agatha Christie “Assassinio sull’Orient Express” e “Assassinio sul Nilo”, arriva in sala l’ultima fatica cinematografica del prolifico attore e regista britannico Kenneth Branagh, erede della grande tradizione shakespeariana di Laurence Olivier e vincitore nel 2021 di un Oscar per la sceneggiatura originale di “Belfast”, in cui ha raccontato le lotte intestine che nei tardi anni Sessanta del secolo scorso hanno dilaniato la sua terra.
L’interesse di Branagh per le atmosfere giallo-noir della “regina del mistero” si sposa in quest’ultima prova (in un maggior distacco rispetto alle altre due dall’originale, quel “Poirot e la strage degli innocenti” pubblicato per la prima volta nel novembre 1969) con una palese attrazione per le storie gotiche e horror di matrice anglosassone; anche se il luogo che fa da cornice agli eventi non è più una in apparenza tranquilla dimora della campagna inglese, bensì Venezia nella sua bellezza lacustre e malinconica, ritratta in veste autunnale nella notte di Halloween .
L’antico palazzo veneziano dall’aspetto sinistro e decadente dell’ex cantante lirica Rowena Drake (Kelly Reilly), sospettato di occultare nelle sue viscere i poveri resti dei bambini ospiti di un orfanotrofio, lasciati soli in balia di una pestilenza, viene usato da Branagh all’interno del plot per evocare atmosfere da ghost story, giustificate a livello narrativo dall’evocazione dei morti tramite un’apposita seduta spiritica.
All’eccentrica riunione con obiettivi e manifestazioni ultraterreni partecipa controvoglia il detective belga Hercule Poirot (Kenneth Branagh), che la vecchia amica scrittrice di gialli Ariadne Oliver (Tina Fey) trascina con sé dal suo buen retiro veneziano, fatto di idiosincrasie e solitudine, per smascherare una sedicente medium (interpretata dal premio Oscar Michelle Yeoh, tanto convincente quanto non lo risulta affatto l’impacciato Riccardo Scamarcio, alias la guardia del corpo Vitale Portfolio).
Il film, con toni sempre più intimistici ogni volta che si avvicina al passato non del tutto rimosso di Poirot, riflette sul labile confine tra la verità e la finzione, la vita e la morte e tra l’istinto materno e il suo opposto, ovvero la ferocia castrante e autoreferenziale (vedi la figura della giovane sfortunata, Alicia, e il suo tormentato rapporto con la madre Rowena).
Alla fine, si approda alla conclusione che siano più spietati e minacciosi i fantasmi dell’anima e della mente, rispetto ai presunti spiriti dei trapassati; e che – come sottolinea Ariadne – «sono le storie spaventose che rendono la vita meno spaventosa», per cui è bene continuare a raccontarle.
Mentre il filo sul quale oscilla la sua indomita razionalità si fa sempre più teso e sfilacciato, il personaggio di Poirot ricostruito da Branagh accoglie per una volta il beneficio del dubbio, fermandosi sulla soglia della shakespeariana consapevolezza del fatto che «ci sono più cose in cielo e in terra…». L’istrionico attore e regista risulta sempre molto efficace sia dal punto di vista narrativo che stilistico, anche se la ricerca della perfezione e dell’eleganza formale spesso vanno a detrimento delle emozioni, suscitando una certa noia.
Anche il tentativo di rendere l’atmosfera cupa e orrorifica del plot tramite un abbondante uso di effetti luminosi e sonori, distorsioni delle immagini, inquadrature rovesciate risulta, in fin dei conti, un po’ forzato. Branagh sembra non trovarsi totalmente a suo agio nella dimensione gotica ispirata dal romanzo della Christie; anche se la pellicola mantiene un suo ritmo e fascino, quest’ ultimo acuito dalle panoramiche mozzafiato della città lagunare, brillante e nostalgica come in una cartolina animata.
La produttrice del film, Judy Hofflund, ha raccontato a “Il Gazzettino” le emozioni provate sul set veneziano: «Eravamo nervosi, ma alla fine non abbiamo avuto nessuna complicazione, perché c’era un’ottima troupe italiana che sapeva davvero cosa stava facendo. […] Credo che abbiamo cercato di trovare un equilibrio tra il far capire alla gente che eravamo davvero a Venezia e raccontarne una versione inedita di questa bellissima città, magica di notte, a volte inquietante, soprattutto in inverno. Volevamo dare loro qualcosa di un po’ unico e fresco. […] Raccontare questa storia spaventosa in questo periodo dell’anno, era importante per noi, e spero che gli spettatori siano interessati a sperimentare lo stesso al cinema».
Assassinio a Venezia (A Haunting in Venice)
Regia: Kenneth Branagh
Origine: Usa, 2023, 103’
Cast: Kenneth Branagh, Kelly Reilly, Michelle Yeoh, Jamie Dornan, Tina Fey, Kyle Allen, Camille Cottin, Riccardo Scamarcio, Jude Hill, Emma Laird, Ali Khan
Sceneggiatura: Michael Green, dal romanzo “Poirot e la strage degli innocenti” di Agatha Christie
Fotografia: Haris Zambarloukos
Musiche: Hildur Guðnadóttir
Montaggio: Lucy Donaldson
Produzione: Kenneth Branagh, Mark Gordon, Judy Hofflund per 20th Century Studios
Distribuzione: Walt Disney