Le vie di Valenza - prima parte
VALENZA - Ogni angolo di Valenza trasuda storia e noi, attraverso le sue vie dedicate a personaggi di interesse locale, sconosciuti…
VALENZA – Come ogni altra città, Valenza è piena di vie e di strade con riferimenti a date e a personaggi del passato, ritenute importanti per la storia locale o nazionale. I nomi delle vie sono uno strumento per fare quello che si può chiamare un “uso pubblico della storia”, come noi cerchiamo di raccontare a brevi capitoli.
Via Colombina. Racchiude il fascino di un tempo lontano, quando la cultura romana si era dissolta nel disordine regnante. Secondo la tradizione, San Massimo riunì i tre piccoli borghi di Artigliano (Astiliano), Monasso e Bedogno in occasione di una delle guerre tra Teodorico e Odoacre alla fine del V secolo e, con l’aiuto di una colomba, di un asino e di un bue con aratro, tracciò i nuovi confini di Valenza. Nello specifico, la tradizione popolare vuole che il santo avesse lanciato in volo una colomba e, dove questa si fosse posata, sarebbe sorta la città di Valenza. Il luogo prese il nome di “Colombina”, nell’arco di viale Padova, una delle zone più particolari della città, col suo incantevole panorama che domina il fiume e la Lomellina. Il culto, con il fermento di spiritualità, che si è sviluppato nell’ombra icastica e ultraterrena di San Massimo è rimasto sempre vivo tra i valenzani, anche oggi che prevale una cultura postcristiana sprovvista della trascendenza.
Le vie di Valenza - prima parte
VALENZA - Ogni angolo di Valenza trasuda storia e noi, attraverso le sue vie dedicate a personaggi di interesse locale, sconosciuti…
Via San Massimo. È intitolata al santo protettore e patrono della città. Il nome Massimo viene dal latino maximus, ricavato dal superlativo magnus (grande), quindi con il concetto di “maggiore”. Sono circa una quarantina i santi e le sante che portano questo nome. Il nostro San Massimo, nato da un’illustre famiglia valenzana intorno al 450, si dedica all’arte militare e forense, è un nobile di discendenza, un rigoroso osservante di Dio ma con i piedi piantati per terra, che, per merito di nascita, riceve la potestà temporale della città, all’epoca una specie di parroco della chiesa d’Astiliano e con lo status di vero protagonista in saecula saeculorum. Ma, si sa, gli oracoli vanno interpretati e i miti sono difficili a scomparire. In seguito, San Massimo intraprende la carriera ecclesiastica, evangelizzando Valenza e i luoghi circostanti. Dal 499 è vescovo di Pavia, dove muore l’8 o il 9 gennaio 514.Il nostro San Massimo fu ambasciatore di Teodorico e partecipò a diversi concili a Roma tra il V e il VI secolo. Le notizie sulla sua vita, però, sono molto scarse e poco attendibili, anche a causa del disordinato periodo in cui visse, tra la caduta dell’Impero Romano d’Occidente e il regno barbarico degli Ostrogoti. In base a un’attendibile trasmissione di memorie, Dictio in dedicatione missa Maximo episcopo, il santo è stato sepolto a Pavia nella chiesa di San Giovanni in Borgo, demolita nel 1818. La festa di San Massimo, fissata l’8 gennaio, data della morte, ha simboleggiato e richiamato alla memoria dei valenzani il suo patrono e l’amato santo protettore per secoli. E’ iniziata nel corso del Medioevo ed è durata fino all’inizio del XIX secolo, spostata alla prima domenica dopo l’8 gennaio quando questo giorno cascava durante la settimana. La ripresa di questa celebrazione è avvenuta solo di recente, nel 1985, quando il parroco mons. Frascarolo, per avvalorare un certo legame, ha voluto riportare in vita la venerabile tradizione. Nel Duomo di Valenza sono conservate delle reliquie del santo in un busto d’argento.
Via Giuseppe Deambrogi. Nasce a Valenza il 12 marzo 1891. È un militante socialista, combatte nella Prima guerra mondiale, è capogestore delle Ferrovie, svolge attività sindacale e di antifascista intransigente che gli procura il licenziamento, per “attività sovversiva”, foriero di pericolose implicazioni. Si trasferisce a Verona dove è designato dalla Federazione comunista di Verona a far parte del CLN provinciale. È arrestato nel giugno del 1944 con altri membri del CLN veronese ed è deportato per motivi politici nei lager. Muore a Hersbruck il 17 novembre 1944.
Via Faiteria. Nel Seicento, nella zona sorgevano due concerie per il trattamento di pellami e per la fabbricazione di panni, dette “affaiterie” o “afitarie”, in mezzo ad alcune cascine che coltivavano il terreno circostante e qualche casa per gli addetti ai lavori e qualche salariato. In seguito, una di queste, utilizzata come dimora per la sosta di passeggeri e mendicanti, degna della sua radice originaria, prese il nome di “cascina Faiteria”, forse dagli intransigenti francesi a inizio Ottocento che adattavano spesso i principi alle convenienze. La zona è anche denominata Fitteria.
Piazza Fogliabella. In passato, in questa zona esistevano due cascine, Fogliabella alta e Fogliabella bassa. Nel dopoguerra, l’area compresa tra le due cascine si è trasformata in zona residenziale e la piazza che ne porta emblematicamente il nome sorge sul terreno della Fogliabella alta.
Le vie di Valenza - seconda parte
VALENZA - Valenza è piena di vie intitolate a personaggi di cui spesso si ignorano le vicende e le ragioni che…
Corso Matteotti. Nel primo Novecento la zona nuova di Valenza andava da piazza Italia, ora piazza Gramsci, alla strada per Alessandria. La via principale del tratto, e la più utilizzata per entrare in città, era via Alessandria, il cui fondo è stato poi cilindrato, cioè fatto di pietre pressate e non asfaltato, con i fossi che correvano lungo i lati della strada. Negli anni Trenta, sul lato sinistro di via Alessandria erano poche le strade, solo una fila di case appartate che, dal calzaturificio Stella, proseguiva fino all’Ovesticino (Enel del tempo), di fronte alla pudica Cappelletta, nutrita di devozione sempre più solo in modo intimo e individuale, mentre sul lato destro le case erano più numerose e separate dalle vie traverse che si congiungevano a via XXVIII Ottobre (Marcia su Roma del 1922), ora via XXIX Aprile, e proseguivano fino a viale Santuario. Nel dopoguerra, conformato alla nuova impronta culturale, diventò corso Giacomo Matteotti e si costruirono i marciapiedi e si piantarono degli alberi, accostati a diversi seducenti edifici. Giacomo Matteotti è stato un politico antifascista, segretario del Partito Socialista Unitario, assassinato il 10-6-1924.
Via Melgara e via di Cilicca. Il calzaturificio Melgara & C produceva tomaie giunte nei primi anni del Novecento e, già nel 1911, aveva 38 dipendenti. Nel dopoguerra, alla strada dov’era ubicata la fabbrica, denominata via Tripoli, venne dato il nome dell’astuto promotore industriale calzaturiere Giuseppe Melgara. Via di Cilicca era in realtà una passerella, tra il bizzarro e l’angosciante, che sovrastava il vallone, creata a fine Ottocento per abbreviare il tragitto verso il centro dal facoltoso e tenace, Giovanni Visconti, detto Cilicca, che, nei mesi estivi, abitava nella vicina villa e che ora si trova in fondo a via Melgara, al di là del vallone che, da via San Salvatore, nel punto chiamato un tempo pont d’la furca, scendeva, estendendosi, verso il Po. Il ponte, con scaletta in discesa per l’ingresso da via Tripoli e scaletta al termine per la risalita alla villa, venne inesorabilmente demolito nel dopoguerra a causa del riempimento dell’avvallamento e della successiva costruzione di parcheggi.
Strada Mazzucchetto Ceriana e via Ceriana Mayneri. È la strada che porta all’altura del Mazzucchetto (“bricco delle Mazzucchette”), luogo in cui è sistemata l’incantevole ex villa Ceriana, da dove si osserva la splendida veduta della città e la vista spazia oltre il fiume Po verso la fertile pianura Lomellina. I Ceriana sono un antica famiglia valenzana di banchieri torinesi e proprietari di filande a Valenza e in altre località. Alcuni suoi componenti notabili furono parlamentari e consiglieri della Banca d’Italia. Prima della costruzione del mercato coperto, esisteva una piazza dedicata a Lodovico Ceriana Mayneri (1857-1905), di cui ora rimane solo un breve tratto a lato dell’ex mercato coperto. Eletto deputato nel 1892, il conte Lodovico resterà in parlamento senza interruzioni fino alla morte. Liberale ed esponente singolare della decadente e contraddittoria destra storica, era molto apprezzato per la sua cultura, la sua competenza amministrativa e la sua profonda conoscenza agricola. Per un lungo periodo è stato segretario della presidenza della Camera e, essendo uno dei pochi agrari in Parlamento, attento agli orientamenti mutevoli del tempo con il tocco di saggezza politica di lungo corso, fu relatore di vari progetti di legge in questo campo.
Via Carlo Noè. Ingegnere idraulico nato a Bozzole nel 1812, morto a Torino nel 1873 e sepolto a Valenza nella tomba “Annibaldi, Comolli, Noè”. Nel 1835 consegue la laurea in ingegneria idraulica presso la Scuola di Applicazione per Ingegneri di Torino, Fu impegnato nella costruzione del canale Cavour. Alla sua inventiva e al suo coraggio si deve l’idea di utilizzare le acque dei canali del Vercellese per bloccare l’avanzata degli Austriaci verso Torino nel corso della Seconda guerra di indipendenza; tra il 25 e il 29 aprile 1859, infatti, l’uomo provocò l’allagamento del territorio tra la Dora Baltea e il Sesia, facendo sbarrare i canali d’Ivrea, di Cigliano e del Rotto. Oltre alla via, a Valenza gli venne intitolato l’Istituto tecnico commerciale. La lapide nel cimitero di Valenza lo ricorda così: “Presso ai genitori Giuseppe e Teresa riposa in Dio Carlo Noè, commendatore dell’ordine mauriziano, cavaliere dell’ordine di Carlo III, ingegnere ed architetto, nelle scienze idrauliche ritenuto sommo; ebbe incarichi dalla Patria e dalla Spagna; nel 1859, con improvviso allagamento del territorio vercellese, salvò Torino capitale. Per religione, bontà d’animo e virtù civile rese in vita il suo nome caro e venerato. Lo affidò, poi, morendo all’opera sua imperitura del Canale Cavour…”
Via XII Settembre. Ricorda il giorno dell’eccidio della banda Lenti nel 1944, quando i ventisette componenti della formazione partigiana derivante dalla brigata Matteotti, catturata a Ottiglio, vennero giustiziati con un colpo alla nuca vicino al muro di cinta del cimitero di Valenza; una lapide collocata sul luogo dell’esecuzione ricorda l’evento. Parte di una memoria scritta da Luigina M. dice: “Era pieno pomeriggio. Alcune amichette ed io giocavamo in un giardino da dove si vedeva (al di là del vallone) il retro del camposanto. Ad un tratto in lontananza vedemmo arrivare e fermarsi tre o quattro camionette militari, scendere militari tedeschi trascinandosi appresso alcuni uomini bendati che ci dissero partigiani della Banda Lenti. Non riuscivano a reggersi in piedi tanto erano malconci. Dopo averli allineati li colpirono uno alla volta con la pistola. Allibiti li vedemmo cadere, poi sentimmo il rumore degli spari”.