In collaborazione con Adnkronos. Un risultato oltre l’atteso per la vaccinazione contro il Fuoco di Sant’Antonio è stato ottenuto grazie a un progetto di medicina d’iniziativa, condotto tra gennaio e agosto scorsi a Torino.
Al convegno del 19 settembre dedicato a ‘I risultati di un progetto di Medicina d’iniziativa per la vaccinazione contro herpes zoster in Regione Piemonte; i protagonisti del territorio nelle vaccinazioni dell’adulto’ i risultati ottenuti in otto mesi di lavoro hanno evidenziato il valore del lavoro di rete che ha al centro il medico di famiglia.
Molte le forze in campo che hanno portato al triplicarsi delle somministrazioni rispetto al triennio precedente: oltre all’organizzazione piemontese della Federazione italiana dei medici di famiglia (Fimmg), hanno concorso la Scuola piemontese di medicina generale, la Direzione generale dell’Asl Città di Torino e i dipartimenti di prevenzione.
Sono 117 i medici di famiglia che hanno aderito a questa sperimentazione. Il loro essere in prima linea ha fatto la differenza per l’adesione a una vaccinazione che, rispetto agli obiettivi nazionali, fatica a crescere. Eppure, contro l’herpes zoster lo strumento d’elezione è proprio il vaccino, disponibile sicuro e ad altissima efficacia. “Nel tempo, con l’invecchiamento o con il sussistere di altre patologie, si assiste in molti pazienti alla riattivazione del virus della varicella – ha affermato Lorenza Ferrara, dirigente presso il Servizio di riferimento regionale di Epidemiologia per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle malattie infettive (SeREMI) dell’Asl di Alessandria.
“Il Fuoco di Sant’Antonio rappresenta un’affezione che può essere invalidante e molto dolorosa a cui le attuali terapie farmacologiche non danno il risultato sperato – ha proseguito Ferrara – Oggi possiamo prevenire questa infezione con una vaccinazione specifica, che si unisce efficacemente ad altre opportunità di prevenzione per la terza età e per i soggetti a rischio, come ad esempio contro l’influenza e lo pneumococco”.
Il coinvolgimento dei medici di medicina generale è stato quindi l’elemento che ha inciso nettamente sulla protezione dell’anziano e dei vulnerabili: non va dimenticato, infatti, che a essere più esposti all’infezione sono anche soggetti diabetici, con problemi reumatologici, cardiologici e respiratori cronici, oppure che hanno subito un trapianto di cellule ematopoietiche o per chi è affetto da neoplasie maligne.
“La validità del progetto evidenzia ancora una volta la centralità del ruolo del medico di famiglia nella prevenzione, grazie alla capillarità sul territorio, all’accessibilità e al rapporto di fiducia – ha affermato Paolo Morato, referente Area vaccini di Fimmg Piemonte e responsabile scientifico del progetto. Per agevolare il loro lavoro però sono stati messi in campo degli strumenti dalla Scuola piemontese di formazione in Medicina generale, che hanno permesso di integrare la vaccinazione degli assistiti all’interno della gestione complessiva per i pazienti cronici e anziani.
In questo senso è stata fondamentale la rete tra medici di medicina generale, che “ha favorito un coinvolgimento proattivo –ha ripreso Morato -. Inoltre, l’attività di revisione e di supporto dei tutor, la presenza di infermieri a supporto per le somministrazioni, il dialogo con le istituzioni, il confronto sulle modalità di organizzazione sono stati aspetti fondamentali per l’ottenimento di questi risultati”.
A completare la rete anche due hub vaccinali, quello del Lingotto e del san Giovanni Bosco, messi a disposizione a completamento del servizio di ambulatorio.
“In aggiunta a questi spazi, si è unito l’invito attivo della coorte dei nati tra il 1952 e il 1958 da parte del Servizio igiene sanità pubblica – ha sottolineato durante il convegno Stefano Taraglio, direttore sanitario dell’Asl Città di Torino – A questa chiamata ha risposto il 20% dei destinatari, mentre il vero boom si è avuto proprio grazie al coinvolgimento dei medici di famiglia. D’altronde, sono loro che hanno un contatto diretto e continuativo con l’assistito, il quale può accedere alla vaccinazione direttamente in ambulatorio oppure essere indirizzato ai servizi territoriali nei casi di maggiore complessità”.
L’obiettivo indicato dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale resta ancora da raggiungere, però “abbiamo raggiunto un valore che rispetto a due anni fa è cresciuto di 7-8 volte – ha concluso Taraglio – Quindi occorre proseguire con queste sinergie tra cure primarie e strutture pubbliche”.