Le vie di Valenza – prima parte
L'approfondimento sulla toponomastica della Città del Gioiello
VALENZA – Ogni angolo di Valenza trasuda storia e noi, attraverso le sue vie dedicate a personaggi di interesse locale, sconosciuti o dimenticati negli anfratti della memoria, cercheremo, al di là della retorica, di ricostruirne brevemente la storia, recuperando brandelli di un passato lontano e distribuendoli in più scritti. In questo, trattiamo la zona della città che ha al suo centro il vecchio rione Valletta, e ci estenderemo anche verso corso Garibaldi e l’area scolastica.
I valenzani del tempo patriarcale diedero il nome “Valletta” a questo caratteristico rione per l’avvallamento esistente tra piazza Giovanni Lanza (d’al monji) e le vie Cavour (vecchia via di S. Giacomo), Pellizzari (la cuntrā di plisā) e Banda Lenti. È una zona costituita da edifici, diversi per stile e per dimensione, quasi rimasta apparentemente uguale a quella nei secoli scorsi. In passato, nei vari cortili di questo rione vi erano porticati per carri, stalle e piccole abitazioni a uso domestico. Le visite in questi cortili, un tempo eseguite da rubicondi sensali e indaffarati commercianti agricoli, dal dopoguerra avvennero da parte di eleganti viaggiatori e fornitori di articoli per i tanti piccoli laboratori di oreficeria presenti.
Cominciamo con via Garessio (la cuntrā dal tarunī con la curt dal carbunī) che è il nome di una località in provincia di Cuneo. A Valenza viene ricordato l’Istituto Garessio Del Pero, denominato semplicemente “Garessio”. Nel 1836, la munifica contessa Carolina Garessio Del Pero (1809-1836) lasciò un patrimonio di circa 60.000 lire sabaude per la fondazione di una casa d’educazione destinata alle orfane della città; questa verrà aperta con ritardo solo nel 1869, a seguito di un decreto regio del 20 gennaio 1867, col nome “Casa d’Educazione Garessio Del Pero”, per l’educazione delle fanciulle.
Dalle parti di via Garessio incrociamo la via dedicata alla Banda Lenti (verso il cimitero c’era il pónt di spagnó), il raggruppamento di formazione partigiana derivante dalla brigata Matteotti. I suoi componenti vennero catturati a Ottiglio, presso la località Madonna dei Monti, e condannati a morte dal tribunale militare tedesco, che aveva sede nell’edificio scolastico Costanzo Ciano in viale Oliva a Valenza. Il 12 settembre 1944 i ventisette partigiani vennero giustiziati con un colpo alla nuca vicino al muro di cinta del cimitero di Valenza; una lapide collocata sul luogo dell’esecuzione ricorda l’evento.
Nei pressi c’è una via dedicata a uno dei medici del Novecento più amati dai valenzani, Cesare Frontoni (1894-1981). Fu un medico buono e bravo, diagnosta eccezionale, perspicace e coraggioso, veloce nell’intuizione e tenace nelle cure, con una salute invidiabile, che non si sottrasse alle chiamate in nessuna stagione, né di giorno né di notte.
Tra via Cavour e via Magenta ci dovrebbe essere, ma si fatica a trovarlo, il vicolo Giovan Battista Comolli, il famoso scultore allievo del Canova, nato a Valenza il 19 febbraio 1775 e morto a Milano il 26 dicembre 1831.
Dopo aver insegnato scultura, architettura e disegno all’Università di Torino, in seguito alla caduta di Napoleone, il Comolli fissa la sua dimora a Milano; nel 1820 è a Londra, dove lavora alle sculture degli altari nella chiesa di S.Maria di Moorfields. Fra le sue opere più famose ricordiamo il gruppo scultoreo di Dante e Beatrice, la statua del Redentore e la Sacra Famiglia con Santa Elisabetta e il Battista nei Giardini di Villa Melzi d’Eril di Bellagio, uno dei giardini più belli d’Italia e d’Europa; a Milano, sull’Arco della Pace, i busti raffiguranti l’astronomia e il regno lombardo-veneto; a Cavenago, vicino a Como, il monumento funebre dedicato ad Alessandro Volta; a Genova la statua di Napoleone, commissionata nel 1802 dal senato per l’atrio del Palazzo Nazionale; a Udine la statua per la colonna commemorativa della pace di Campoformio; a Torino i busti di Jourdan, Napoleone e Brume posti nell’Ateneo; ad Asti il busto dell’Alfieri; ad Alessandria il busto di San Pietro, posto nella sacrestia del duomo, e un busto di Napoleone nel municipio di Valenza (sala consiliare) per dono della famiglia De Cardenas. Populista, qualunquista in salsa oligarchica, durante la Repubblica Romana, nel 1798, in mezzo alle tempeste del momento, Comolli è sospettato di giacobinismo e, nel 1822, a Milano, è arrestato poiché supposto carbonaro insieme al Confalonieri. La sua fama artistica è diventata immensa tra le forze del progresso e dell’Illuminismo.
Nei pressi di vicolo Camolli c’è ancora un altro piccolo vicolo degno di menzione, quello dedicato a Massimo Cordara, il domenicano, docente di filosofia e teologia nelle città di Parma e di Bologna. Il ricco canonico benefattore don Massimo Cordara-Pellizzari († 1836), con testamento del 24 gennaio 1834, donò tutto il suo patrimonio, di circa 700mila lire sabaude, e un grandioso palazzo ai poveri della città, con la fondazione dell’ente morale “Opera Pia Pellizzari”, riconosciuto dal re Carlo Alberto con decreto del 24 agosto 1836, allo scopo di “promuovere l’educazione e avviare agli studi, all’arte, alla religione e soccorrere i bisognosi”. Il Palazzo Pellizzari, dove oggi ha sede il Comune, attribuisce il nome alla via che, dal duomo, porta in viale Vicenza (al col franc).
Altra viuzza in zona, quasi scomparsa per l’allargamento di via Cavour (vecchia via di S. Giacomo, anche chiamata la valātta), appena dopo via Pellizzari, è vicolo Lorenzo de Rossi, un esiguo riconoscimento che Valenza ha dato a uno dei suoi cittadini più illustri. Rossi, infatti, è stato uno tra i più importanti stampatori a perfezionare quest’arte e il simbolo valenzano dello splendore grafico rinascimentale. Nato a Valenza, presumibilmente intorno alla metà del Quattrocento, si affermerà a Ferrara, dove morirà nel 1521.
Con pochi passi si raggiunge via Massimo del Pero – al cuntrajī dal Cont dal Pēijer, dove, verso il fondo e sulla sinistra, c’era la curt ‘d Giül e, accanto, la curt d Sānta Marīja – il nobile appartenente a una antica e titolata famiglia valenzana, con potere illimitato a livello locale. Circondato da un’aura antica di prestigio e autorevolezza, Massimo fu collaboratore dell’imperatore Carlo V e da questi venne insignito dei titoli di cavaliere aurato e conte palatino il 2 giugno 1552. Filippo II di Spagna lo nominò collaterale generale del ducato di Milano. L’uomo morì a Valenza nel dicembre del 1606, alla venerabile età di ottantasette anni.
Scavalcato il corso, di fronte si trova il vicolo Bernardino Stanchi, l’autorevole giureconsulto valenzano ed esimio letterato, facente parte di una famiglia tra le più ancorate al potere della città. Laureatosi a Pavia nel 1601, abitava nella casa ubicata tra via Pellizzari e via Cavour, nell’angolo a destra venendo dal duomo. Ha lasciato numerosi scritti di cronaca civile, militare ed ecclesiastica del tempo. Una particolareggiata relazione di storia locale è quella sull’assedio del 1635.
Accanto e parallelo c’è vicolo Vimercate, un’antica e nobile famiglia valenzana sempre proiettata al mantenimento del potere. Il conte Gaspare da Vimercate (1410-1467), uomo d’armi al servizio di Francesco Sforza, che godeva anche delle comodità e della fiducia di cortigiano, nel 1454 fu nominato feudatario di Valenza, ma localmente non produsse risultati significativi, data la sua presenza fissa a Milano o in altri luoghi di battaglia. Giovanni Giacomo è Castellano di Valenza verso il 1460, titolo che compete a chi è preposto alla vigilanza della rocca e ne cura gli armamenti e le fortificazioni. Nel 1557 Francesco Bernardino, che è capitano di cavalleria e sovrintendente del re di Francia alle fortezze, ottiene il governo di Valenza perché, in quei tempi, chi praticava la forza trovava sempre ammiratori.
Prima di piazza 31 Martiri (piāsa dal dòm, già piazza Vittorio Emanuele II, il cuore del centro urbano), sulla destra, compare vicolo Baretti (al cuntrajī di carabinié), un misuratore valenzano la cui casa è stata la prima sede dell’Ospedale Mauriziano, forse anche lo stabile dell’ex cinema Politeama. Sappiamo poco, quasi nulla sull’esoterico personaggio, mentre Giuseppe Marco Antonio Baretti (1719-1789), noto anche con lo pseudonimo di Aristarco Scannabue, è stato un linguista d’eccezione, nato a Torino, ma sembra di origini valenzane.
Arretrando nel corso Garibaldi (la cuntrā grandā) prima di piazza Gramsci (la péisa, già piazza Italia, luogo principale di incontri rituali, fieristici e di parcheggio), incrociamo la via dedicata al Canonico Zuffi, che, nel 1832, con un lascito del 1817 di Teresa Lana vedova Grosso, fondò la Casa di Riposo Ospedale degli Incurabili, che i valenzani poi saranno soliti chiamare “Ospedalino”. Aperto il 29-11-1832 con due letti, ben presto allo “Spedale degli incurabili” diventa necessaria una regolamentazione costituzionale e legale, che le viene riconosciuta ufficialmente con regio brevetto di Carlo Alberto il 23 aprile 1833. Suoi generosi benefattori sono stati il capitano Filippo Seiderich, Amedeo Annaratone, donatore dell’area, e Teresa Piacentini-Zeme, che ha donato il suo intero patrimonio. Per la grandezza di questa opera, Vincenzo Zuffi venne insignito del titolo di cavaliere del SS. Maurizio e Lazzaro da re Carlo Alberto. Dunque, una vita virtuosa, feconda e generosa.
Parallela a via Zuffi è il viale che porta da piazza Gramsci alle scuole, intitolato a Luciano Oliva, il primo sindaco socialista di Valenza dal 1910 al 1920. I socialisti, che sono i più forti tra il popolo ma meno tra chi vota, vincono le elezioni del 26 giungo 1910 (votano in 1.371 su 2.295 iscritti) e, i consiglieri comunali, con 16 voti su 23 presenti, eleggono nuovo sindaco il commercialista socialista prof. rag. Luciano Oliva il 16-7-1910. Il risultato è un colpo di scena, una vittoria che è una sorpresa anche per chi ha vinto sgomitando poco. Oliva ammalia il popolo della sinistra, è l’archetipo dell’intellettuale socialista utopico dai gusti moderati, un esempio quasi negativo del concetto marxiano, a metà strada fra i non pochi ultrà e i ventriloqui dell’epoca.
Proseguendo, all’ombra degli alberi ci imbattiamo in via Sassi dedicata al generoso maggiore generale Bartolomeo, un elitario realista che, nel 1903, lasciò i suoi averi all’Ospedalino, rinvigorendolo. La famiglia omonima, in sintonia col sentimento di generosità, si distinse per le sue opere di carità; Luigi fu un esimio direttore dell’ospedale Mauriziano.
Per ora ci fermiamo qui.