“Oppenheimer”: giocare a scacchi con la morte
Lungamente atteso, finalmente approdato anche nelle sale italiane, “Oppenheimer” invade lo schermo e lo domina, con lo stesso furioso impeto del suo protagonista
«Ora sono diventato la Morte, il distruttore dei mondi»
(verso della “Bhagavad-Gita”)
Lungamente atteso, finalmente approdato anche nelle sale italiane, dopo aver dato vita – a partire dal 21 luglio – nel resto del mondo al cosiddetto fenomeno “Barbienheimer”, spopolato sui social (ovvero la gran cassa mediatica derivante dall’uscita in contemporanea, il medesimo giorno, del blockbuster di Christopher Nolan e di quello di Greta Gerwig, “Barbie”), “Oppenheimer” invade lo schermo e lo domina, con lo stesso furioso impeto del suo protagonista.
Derivato, con il rigore ma anche la libertà creativa che sono tipiche del regista anglosassone (in grado di spaziare senza soluzione di continuità e con grande forza narrativa tra generi diversi, dallo sci-fi – “Interstellar”, “Tenet” – alla storia – “Dunkirk” – sino a incursioni nella saga batmaniana, con la relativa trilogia), dalla biografia del 2005 “American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer” degli storici Kai Bird e Martin J. Sherwin, “Oppenheimer” è una lunga incursione visionaria dentro l’uomo e la Storia.
La parabola per certi versi tragica del fisico di origini tedesche e famiglia ebraica messo a capo nel 1942 del Progetto Manhattan che riuniva gli scienziati più brillanti dell’epoca, nato con l’intento di scongiurare il pericolo di una Germania arrivata prima nella costruzione della bomba atomica e porre fine alla guerra, è declinata entro una ferrea struttura narrativa a mosaico, con flashback continui e l’uso intervallato del bianco e nero per scindere i diversi frammenti di memoria: quelli legati soprattutto alla lunga e dolorosa controversia che fece finire da un lato Oppenheimer, sul banco degli imputati con l’accusa di comunismo e di leggerezza morale nei confronti delle temibili potenzialità dell’energia oggetto di studio, dall’altro l’America stessa, principale accusatrice tramite la figura di Lewis Strauss, presidente della commissione per l’energia atomica (un irriconoscibile, bravissimo Robert Downey Jr.).
Gli andirivieni narrativi, la frammentazione spazio-temporale sono tipici di una parte consistente dello stile di Nolan, che memore del Malick di “The Tree of Life” (2011) tenta di rendere visivamente l’imperscrutabilità del reale, la mollezza del nesso causa-effetto, sino ad esteriorizzare attraverso immagini potentemente magmatiche, astratte, dai colori accesi e di grande nitore (nel film è stata usata la tecnologia Imax di ripresa e proiezione, per pellicole di grande formato e alta risoluzione) i movimenti tellurici dell’inconscio del fisico; mentre la sceneggiatura densa di fitti dialoghi esplicativi riconduce il testo filmico a una classicità formale che il cineasta mira a mantenere, forse per non risultare troppo disorientante.
Nel caso specifico i rimandi sono a una cronaca e insieme legal drama di alto livello come “JFK – Un caso ancora aperto” di Oliver Stone (1991); la critica ha, poi, ravvisato, non senza ragione, nella rappresentazione esteriore del personaggio Oppenheimer (interpretato da un Cillian Murphy superlativo, già al lavoro in pellicole precedenti di Nolan, che mette il suo sguardo trasparente al servizio del ritratto di un uomo con la mente in viaggio tra mondi), una somiglianza sia fisica che psicologica con il protagonista di “L’uomo che non c’era” dei fratelli Coen (2011).
L’affinità tra i due consiste anche, probabilmente, in quel perenne giocare a scacchi con la morte, con le proprie inquietudini, sensi di colpa e malinconie che entrambi coltivano senza via d’uscita alcuna.
«Sapevamo che il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Quel giorno, alcune persone hanno riso, alcune hanno pianto, la maggior parte è rimasta in silenzio», ha ricordato il vero Oppenheimer in un’intervista, vent’anni dopo “Trinity”, il primo test nucleare avvenuto nel deserto del New Mexico, il 16 luglio 1945. Parole a cui fanno eco quelle dell’Oppenheimer fittizio, in chiusura di film.
Cillian Murphy ha dichiarato al quotidiano inglese The Guardian: «Mi sono preparato facendo un sacco di letture. Sono interessato all’uomo e a ciò che inventare la bomba atomica fa all’individuo. I meccanismi non fanno proprio per me – non ho la capacità intellettuale per capirli, ma questi personaggi contraddittori sono affascinanti».
Il senso di colpa dell’America e del mondo è racchiuso nelle visioni di morte e devastazione, nei lampi bianchi accecanti che attraversano il campo visivo di Oppenheimer, così come nel gioco al massacro dei suoi accusatori, gli stessi ad avere concesso il via libera alle sperimentazioni sulla bomba atomica prima e, in seguito, quelle su di un ordigno ancora più distruttivo: la bomba H, poi sviluppata dal fisico di origini ungheresi Edward Teller, divenuto negli anni uno dei principali antagonisti di Oppenheimer.
Il cast radunato da Nolan per raccontare questa difficile e, a tratti incredibile, storia costellata di pietre miliari e fallimenti, di azzardi e colpi di mano da parte di figure fuori del comune, è composto da interpreti già molto conosciuti, ma capaci di fuoriuscire dalla propria fisicità per adattarla a quella dei propri personaggi: dal già citato Robert Downey Jr. nei panni di Lewis Strauss a Kenneth Branagh e Matt Damon, rispettivamente in quelli del fisico danese Niels Bohr e del generale Leslie Groves, passando attraverso il Gary Oldman che appare in un “cameo” nel ruolo del presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman e le interpretazioni di Emily Blunt nelle vesti della biologa Katherine “Kitty” Oppenheimer e di Florence Pugh in quelle della psichiatra Jean Tatlock, amante dello scienziato.
Perfino per quanto riguarda l’uso delle comparse il regista non ha lasciato nulla al caso: ha scritturato, infatti, autentici scienziati, perché il racconto risultasse più verosimile nei passaggi in cui i personaggi si trovavano a discutere di dettagli tecnici importanti.
«La storia di Oppenheimer è tutta fatta di domande impossibili», ha spiegato Nolan in un’intervista a “Wired”. «Dilemmi etici impossibili, paradossi. Non ci sono risposte facili nella storia di Robert Oppenheimer. Ci sono solo domande difficili, ed è questo che rende la storia così avvincente. Penso che siamo stati in grado di trovare molte cose su cui essere ottimisti nel film, sinceramente, ma c’è questa sorta di domanda più importante che incombe su di esso. Sembrava essenziale che alla fine ci fossero delle domande che lasceresti tintinnare nel cervello delle persone e stimolare la discussione».
“Oppenheimer” (id.)
Regia: Christopher Nolan
Origine: Stati Uniti, 2023, 180’
Sceneggiatura: Christopher Nolan
Fotografia: Hyte Van Hoytema
Montaggio: Jennifer Lame
Musica: Ludwig Göransson
Cast: Cillian Murphy, Emily Blunt, Robert Downey Jr., Alden Ehrenreich, Florence Pugh, Sadie Stratton, Scott Grimes, Jason Clarke, Kurt Koehler, Tony Goldwyn, John Gowans, Macon Blair, James D’Arcy, Kenneth Branagh, Josh Hartnett
Produzione: Universal Pictures
Distribuzione: Universal Picture