Giornata mondiale del latte vegetale: un’occasione per riflettere
Bevande vegetali e alimentazione consapevole: una strada in sinergia con la sostenibilità ambientale
ALESSANDRIA – Oggi ricorre la Giornata mondiale del latte vegetale, istituita da Plant Based News nel 2017 e stabilita come partnership con ProVeg nel 2018.
Il termine ‘latte vegetale’, in alcuni paesi, è ormai obsoleto perché il voto dell’Europarlamento da alcuni anni non si limita solo a confermare le norme in vigore già dal 2017, che vietano l’uso improprio dei nomi tipici dei prodotti lattiero caseari come burro, formaggio, yogurt o la stessa parola latte, il Parlamento ha deciso di vietare anche le evocazioni e le imitazioni: per esempio la dicitura ‘succedaneo del latte’.
In Italia, tuttavia, permangono delle eccezioni: al supermercato troverete comunque il latte di cocco, il burro di cacao e il latte di soia, il divieto sopracitato non si applica alla “designazione di prodotti la cui natura esatta è chiara per uso tradizionale e/o qualora le denominazioni siano chiaramente utilizzate per descrivere una qualità caratteristica del prodotto”.
Ma le differenze, nutrizionali e produttive, sono molto diverse fra loro, ecco perché questa giornata diventa un’opportunità per riflettere su temi che vanno al di là del prodotto finito.
Siamo tutti consumatori ma…
Dalla soia, all’avena, alle mandorle, al cocco, al riso: l’alternativa vegetale al latte e alle bevande di origine animale è oggi variegata e rappresenta una presa di coscienza più ampia del mero gusto o consumo.
Un’alimentazione consapevole ha radici non solo personali – come per esempio le intolleranze, in costante crescita, al lattosio – ma anche e soprattuto etiche e politiche.
La Giornata mondiale del latte vegetale è un’occasione per riflettere sull’impatto ambientale che il consumo di carne e derivati ha sul nostro pianeta, sulla qualità dell’aria che respiriamo, sulla qualità del cibo che mangiamo e sulla salute stessa degli animali.
Si tratta infatti di catene iperproduttive che innescano da decenni un effetto domino preoccupante, che vede in serie questioni complesse e irrisolte quali la deforestazione, gli allevamenti intensivi, l’inquinamento, le emissioni, la perdita progressiva della biodiversità e l’alterazione degli ecosistemi.
Cosa fare
Secondo Greenpeace “Oltre il 60% dei cereali in commercio nell’Unione europea non è destinato a diventare pane o pasta, ma mangime per gli allevamenti intensivi, così come oltre un terzo di tutta l’acqua usata dal settore agricolo è utilizzata per questo tipo di allevamenti e per la produzione di mangimi”.
Oggi le controversie etiche legate all’allevamento intensivo degli animali da macello sono una drammatica realtà spesso celata, legata al sistema capitalista, e di cui non ci accorgiamo direttamente quando acquistiamo vaschette di macinato per ragù, pesce sfilettato, uova, latte, alette di pollo surgelate: eppure dietro a questi prodotti pronti al consumo c’è lo sfruttamento di animali spesso malati, ammassati in spazi ristretti, insalubri, all’interno dei quali proliferano dannosi virus e batteri.
Cosa fare allora, dal momento che tutti siamo consumatori? I singoli comportamenti, se accompagnati progressivamente da informazione, studio, sensibilizzazione e consapevolezza possono tracciare un sentiero, una presa di coscienza in grado di incentivare una visione del mondo più sostenibile, ma certo non basta.
Del modello produttivo attuale va riconosciuta la pericolosità, l’iniquità e il fatto che le risorse del nostro pianeta non sono inesauribili: occorrono riforme e scelte politiche nuove, per ri-orientare il concetto di consumo, oggi sinonimo di mero sfruttamento.