Il 21 giugno è la Giornata mondiale del selfie
Com'è cambiato nel tempo il nostro autoritratto digitale? Ce lo racconta Andrea Boscaro
In principio ero lo specchio. Meglio, in principio c’era un giovane che contemplava il suo riflesso perfettamente simmetrico nell’acqua, Narciso, di cui l’indovino Tiresia disse “Invecchierà solo se non conoscerà se stesso”. Sappiamo com’è andata a finire.
Il potere dell’immagine conserva qualcosa di persuasivo, muove il mondo, ne ridisegna il profilo culturale e sociale.
Ideata dalla Bbc nel 2014, il 21 giugno è la Giornata mondiale del selfie, l’autoritratto digitale per eccellenza, che oggi ha molto a che fare con l’algoritmo e la (dis)percezione di sé in relazione alla realtà.
Un rito spesso ossessivo, che ci accomuna tutti, molto più complesso e profondo rispetto alle fotografie del passato, in cui il rullino della macchina conteneva un numero specifico di scatti che venivano realizzati in funzione di un ricordo o un evento. Il risultato lo avresti visto tu (e poche altre persone) solo più tardi. Oggi, grazie allo smartphone, alle app e agli stessi social media il selfie ha potenzialità amplificate, ma genera se stesso. E anche molta pressione sociale, perché non basta essere fotogenici, lo scatto deve comunicare tutti quei valori tipici della società della performance, altrimenti non vale la pena postarlo.
Selfie e società della performance
Ma cosa c’è dietro questo gesto e come ‘sta’, oggi, il selfie? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Boscaro, formatore ed espero legato ai temi dell’e-business, dei social media e dell’editoria digitale.
“La diffusione degli smartphone ha fatto sì che le foto non servissero più per essere conservate, ma condivise. Nel tempo, specie per quel che riguarda l’estetica promossa da Instagram, il selfie è cambiato, è diventato più artefatto, modificato dai filtri, oggi si è in qualche modo trasformato perché ha dovuto proporsi come un’alternativa rispetto alle ragioni iniziali per cui era nato – spiega Boscaro – Prendiamo per esempio BeReal, l’app incentrata sull’autenticità dello scatto e che consente agli utenti di pubblicare una sola foto al giorno per mostrare in tempo reale ai loro follower ciò che stanno facendo e come sono realmente, senza filtri”.
Difficile, infatti, oggi separare il concetto di selfie da quello dei filtri: da Instagram a TikTok il ventaglio è ampio e sorprendente, tanto da aver influenzato e incrementato il numero degli interventi di medicina estetica richiesti da pazienti giovanissimi, che desiderano somigliare proprio ai filtri di Instagram, un aspetto che racconta un’ansia sociale e generazionale profonde, una maniera per cercare di far coincidere le difficoltà della vita reale con le aspettative digitali.
“Il selfie ritoccato in funzione dell’algoritmo ha fatto emergere infatti i risvolti negativi che può nasconderne l’abuso e, in particolare, sul banco degli imputati sono finiti filtri come Bold Glamour, che su TikTok rende potenzialmente perfetti, o Fix me che, su Instagram, suggerisce le aree del volto che possono essere corrette grazie all’intervento della chirurgia estetica. Vedette++ è stato addirittura sospeso per la dimensione irrealistica che creava negli scatti degli utenti, a conferma dei potenziali effetti di ansia e frustrazione che i selfie possono contribuire a creare” – prosegue l’esperto.
Ma c’è chi si allontana da un uso smodato e acritico dei filtri, per andare incontro a un polo apposto della rappresentazione di sé: l’avatar. “Succede anche questo: i più giovani hanno scelto di incontrarsi su piattaforme diverse, come quelle di gaming, dove l’identità personale è rappresentata da avatar 3D, quasi una maschera creata per proteggere chi la indossa dai rischi di una rincorsa all’apparenza che la Gen Y ormai riconosce essere parte dei social network più tradizionali. Da questo punto di vista i ragazzi, che nella tecnologia ci sono nati e non hanno esperienza diretta di un mondo e una realtà pre-social, sono molto attenti e sensibili al tema, cercano attivamente delle alternative. In futuro forse ci saranno o la realtà estrema di un volto o la finzione estrema, data dalla creazione di un avatar in grado di rappresentarci al di là dell’estetica o dell’approvazione sociale data dai like” conclude Boscaro.
La Giornata mondiale del selfie diventa così una rinnovata occasione per riflettere su ciò che di una foto patinata spesso non vediamo: dietro immagini ammiccanti e storie di successo spesso si cela l’ansia sociale della sovraesposizione o della competizione social, ma ciò che è importante sottolineare è l’importanza dell’accettazione e dell’unicità reale di ognuno di noi, difetti compresi.