«La mia storia di mamma di gemelli nati prematuri tra mille imprevisti»
Maria fa danza, Paolo gioca a calcio. A Cinzia, ora, non sembra vero, con quello che ha passato ormai 16 anni fa. Le paure, le speranze, i consigli
Maria danza, ed è bello vederla volteggiare. Paolo gioca a calcio con la maglia del Monferrato, la squadra di San Salvatore, paese di cui papà Corrado Tagliabue è sindaco. Maria e Paolo hanno 16 anni, sono gemelli, nati nella notte tra Natale e Santo Stefano del 2006. Ora fanno le cose che sono proprie dei ragazzi della loro età, e ciò sembra quasi incredibile a mamma Cinzia, se riavvolge il nastro della vita e torna indietro a quella sera in ospedale, quando partorì alla 32esima settimana di gestazione «e dopo la somministrazione di speciali farmaci per bloccare le contrazioni».
Associazione decisiva
Bambini nati prematuramente. Non i primi, non gli ultimi.
Certo è che quelli che vengono al mondo oggi, ad Alessandria e dintorni, godono di ben altre prospettive rispetto ad allora. E, nello specifico, ne beneficiano le famiglie, grazie all’associazione ‘Io arrivo prima’, che si occupa di tutto un po’, dalla logistica al supporto morale.
«Io, complessivamente, sono stata ricoverata 26 giorni nel reparto di Ginecologia dell’Ospedale di Alessandria e i 7 precedenti all’Ospedale di Casale Monferrato – racconta Cinzia, che di ‘Io arrivo prima’ è stata presidente per 4 anni (ora è vice) – Penso di avere avuto alcune fortune, a cominciare dall’incontrare medici competenti. È stato meglio anche sapere in anticipo che, quasi certamente, sarei andata incontro a un parto precoce e che i miei bimbi sarebbero nati prematuri. Questo mi ha permesso di documentarmi e, grazie al mio carattere, vivere serenamente l’esperienza».
«Un mondo nuovo»
Passo indietro, per rievocare: «Varcare la porta della Terapia intensiva neonatale – aggiunge – è entrare in un mondo nuovo, di dottori e infermieri, di camici verdi e regole, emozioni, pianti, monitor, rigurgiti. E pazienza. Solo chi ci è passato può capire cosa significa uscire dalla sala parto e lasciare il proprio fagottino, così indifeso, nelle mani di sconosciuti. La gente da fuori parla, commenta, giudica, offre consigli non richiesti. E tu mamma devi essere quella forte, che infonde coraggio a tutti, che spera che le cose vadano bene…».
Cinzia prosegue ricordando: «Io ho visto i miei bambini per la prima volta dopo tre giorni che sono nati e questa è stata la prova più difficile della vita. Ma, in quei giorni, ho notato anche mamme che piangevano i loro piccoli e padri che avevano perso moglie e figlio. Si entra dentro un turbine… Ho conosciuto Giulia nello spogliatoio: mi ha allacciato il camice perché io, fresca di taglio cesareo e dopo un mese passato a letto, ero ingobbita e dolorante. I nostri figli erano compagni di viaggio e lottavano per tornare a casa».
Cosa fare per gli altri
Cinzia racconta di avere imparato a decodificare i monitor, a capirne di sondini, terapie, nutrizione parentale, gavage, età corretta, ittero, infezioni, elettroliti, retinopatia e tachipnea… Tutte quelle informazioni che ora, con l’associazione, cerca di trasmettere a chi è nelle difficoltà in cui si trovava lei.
«Ho sempre pensato che si potrebbe preparare un vademecum con i termini più utilizzati, e magari tradurli e spiegarli, considerato anche l’aumento dell’accesso di madri straniere in ospedale».
Poi si torna ai ricordi personali, a Paolo e Maria, che alla nascita pesavano 2 chili e sono stati inseriti nella stessa culla termica. Erano abbastanza in salute; nel giro di 15 giorni, lei è tornata a casa e lui ha proseguito il suo percorso da solo. «Quanto ho pianto! Mi sembrava di averlo abbandonato. E una grossa difficoltà è stata tirare il latte, capire il funzionamento del tiralatte elettrico, guastatosi a mezzanotte del 31 dicembre, e nessuno che facesse assistenza… Io e mio marito abbiamo trovato su internet le istruzioni in inglese, e le abbiamo tradotte col dizionario. All’epoca c’era la connessione qualche ora al giorno, mica come adesso. Gli altri festeggiavano e io piangevo coi seni gonfi di latte».
Un pensiero va anche ai papà «che, oltre a dover gestire l’ansia di avere un figlio prematuro, sono preoccupati per la salute della compagna. Inoltre in quei giorni ho incontrato tanti padri stranieri che non capivano bene l’italiano e avevano difficoltà ad entrare in contatto con il nuovo arrivato».
Serve un vademecum
Tutte queste preoccupazioni hanno indotto Cinzia, e altre che erano nella sua stessa condizione, a lanciare ‘Io arrivo prima’ e a redigere un piccolo vademecum per genitori. Che devono: «Imparare a gestire le emozioni, accettare l’aiuto di tutti, fare domande in caso di dubbi e aggiornarsi, rispettare i follow up, utili per capire se i bambini crescono bene o se bisogna fare ulteriori accertamenti».
Perché i problemi di un bambino nato prematuramente non finiscono quando lasciano la culla termica.
E poi, chiosa la Spriano, «bisogna avere fiducia nei medici e nella forza dei neonati, non sentirsi né supereroi, né impotenti».
Utile, invece, tenere un diario, che può essere fondamentale nell’immediato ma anche, in futuro, a mamme e papà legittimamente lontani dal pensare che possano diventare genitori prima del previsto.