Piantato, una vita da psichiatra. «Ma, a essere sincero, volevo fare l’oculista»
Entrò in servizio prima della ‘Legge 180’. «I pazienti hanno diritto a stare in un ambiente dignitoso e accogliente»
Diffidate da chi dice che il sogno di una vita è fare lo psichiatra, perché è alto il rischio di deragliare con atteggiamenti messianici, quelli di cui un paziente non ha bisogno.
È la sintesi del pensiero di Ennio Piantato, 70 anni portati benissimo, felizzanese senza troppa nostalgia, ha lavorato in Psichiatria per quasi quarant’anni, ma voleva fare l’oculista, mica occuparsi di cervelli. Fatale fu il primo concorso utile, che passò brillantemente. E, dunque, si ritrovò psichiatra, mai pentito però d’aver intrapreso la seconda delle strade, in ordine di preferenza.
A proposito di occhi, c’è dell’altro. «Il mio servizio militare durò tre giorni: problemi di vista mi consentirono di ottenere il congedo illimitato. Lavoravo già come medico. Dissi: “Vado a naja, non so quando ci rincontreremo”. Tornai poco dopo, tant’è che il professor Ronco mi disse: “È stato il servizio militare più breve della storia”».
Al Patria, con giardino
Dunque, Elio Piantato. Un medico tutt’altro che banale. Poca diplomazia, mai il timore di essere impopolare. «Ci sono colleghi con cui ho lavorato un sacco di tempo senza scambiarci più di 50 parole. Con gli infermieri il legame è stato forte. E ho ricordi piacevoli soprattutto con chi ha vissuto con me un’altra epoca, direi più gloriosa, dell’Ospedale di Alessandria, penso ad esempio al dottor Mario Muti, mancato troppo presto».
Piantato ha vissuto il passaggio dall’ospedale psichiatrico («il vecchio San Giacomo di spalto Marengo») al reparto Servizi psichiatrici di diagnosi e cura. In mezzo c’è stata la ‘180’, ovvero la Legge Basaglia che, per dirla come spesso si dice, «ha chiuso i manicomi». «Il primo autentico reparto di Psichiatria fu al Patria: avevamo a disposizione anche uno splendido giardino – ricorda il medico – Poi il trasferimento al Civile, dov’è ancor oggi. Anche qui c’è un giardinetto, ma in condivisione».
L’ambiente è fondamentale: «Il paziente ha diritto a essere accolto in un posto accogliente, pulito e dignitoso. I malati psichici sono fragili, l’anello debole della società. Necessitano di essere seguiti con riguardo, ricordandosi sempre che su di loro è facile fare danni. E allora, nessun atteggiamento messianico, semmai comprensione. Se spaccano qualcosa, lo si ripara».
Spesso gli capita di incontrare, in città, qualche ex assistito: «Mi riconoscono, mi salutano cordialmente. Alcuni sono vivaci, hanno abbigliamento particolare. Ma, se sono gentili con me, è perché qualche buon ricordo ce l’hanno».