Eternit Bis: «Schmidheiny voleva proteggere la salute dei lavoratori»
Questa mattina la prima parte dell'arringa della difesa. Il quesito: qual è la responsabilità dello svizzero? Poteva fare di più? «Non ha mai gestito direttamente gli stabilimenti italiani»
NOVARA – «Non ha torto il teste Nicola Pondrano nel dire che al 1973 lo stabilimento Eternit a Casale sembrava un girone dantesco», ma la situazione è rimasta identica anche dopo il 1976, data d’inizio della gestione di Stephan Schmidheiny? È questo uno dei quesiti sollevati del difensore Astolfo Di Amato questa mattina al processo Eternit Bis.
Davanti alla Corte d’Assise di Novara la difesa di Schmidheiny, accusato in questa sede di omicidio volontario di 392 vittime dell’amianto, si è impegnata in una lunga e dettagliata arringa che continuerà anche nella prossima udienza. A parlare in aula è stato solo l’avvocato Di Amato che si è occupato di una breve ricostruzione dei fatti e di un’analisi della condotta e delle scelte strategiche in azienda del magnate svizzero, negli anni che vanno dal 1976 al 1986 (fallimento di Eternit Italia nda). Una lunga mattinata che si è conclusa con la domanda: l’imprenditore svizzero è da ritenersi responsabile? «No, Stephan Schmidheiny non ha mai gestito direttamente gli stabilimenti italiani», la risposta della difesa.
«Un approccio innovativo al problema amianto»
«Se si abbandonano i pregiudizi si deve rilevare che Stephan Schmidheiny ha approcciato il tema salute ed amianto in modo assolutamente innovativo e davvero centrato sulla preoccupazione di proteggere i lavoratori e l’ambiente» ha dichiarato Di Amato. Si è parlato ancora una volta di consapevolezza dei rischi legati all’amianto. Il punto, per la difesa, sarebbe che «la gestione concreta e quotidiana degli stabilimenti italiani è stata condotta dai manager delle società italiane – e inoltre – il Gruppo Svizzero ha dato supporto finanziario e tecnico caratterizzato quest’ultimo da una costante direttiva volta alla protezione della salute dei lavoratori e dell’ambiente».
Quanto contenuto nei verbali del congresso di Neuss così come nell’Ausl 76 confermerebbero tale linea d’azione. Anche il tanto discusso manuale Bellodi non rappresenterebbe un segno di colpevolezza e negligenza rispetto al problema, bensì è «frutto del pensiero di professionisti indipendenti da Schmidheiny volto a evitare uno ‘scandalo finanziario’». Il motivo? Pare riconducibile a un particolare atteggiamento mentale tipico dell’epoca non caratterizzato dal principio di precauzione che adottiamo oggi, ovvero la regola secondo cui «in assenza della certezza della non pericolosità di una sostanza o di un processo occorre astenersi».
All’epoca infatti si parlava ancora di uso controllato dell’amianto ed è proprio su questa linea che Schmidheiny pare essersi collocato. «Lo stesso Selikoff (il medico che aveva individuato per primo una correlazione tra mesotelioma ed esposizione ad amianto nda) lo sosteneva». Ci sarebbe quindi «una chiara deformazione di prospettiva» rispetto al problema? Per la difesa il punto sarebbe proprio gli anni a cui si fa riferimento in sede processuale. Non si sta infatti parlando dell’oggi, ma del periodo che va dagli anni ’70 agli anni ’80 del Novecento. «Il mondo è cambiato molto da allora fino alla seconda metà degli anni ’90».
«Eternit aveva investito in sicurezza più degli altri»
L’argomento cronologico è ritornato anche parlando della sicurezza nello stabilimento. Non solo infatti Di Amato ha dichiarato che «i punti interrogativi sono tanti – e perciò – la ricostruzione dei fatti in base agli atti è impossibile», ma ha anche sottolineato ancora una volta il tentativo da parte del gruppo svizzero di adoperarsi a favore della salute dei propri lavoratori, «in modo innovativo» almeno per l’epoca. «Tra perdite e investimenti per la sicurezza c’è un rapporto diretto – spiega il difensore – La Eternit era svantaggiata nella competizione in quanto avevano sostenuto spese per la sicurezza che altri non avevano». E le misurazioni in stabilimento, definite da alcuni testi dell’accusa non attendibili? Come si spiegano? «In quegli anni avvenivano secondo specifiche modalità. Ma secondo voi Schmidheiny, quando gli venivano portati i risultati di tali misurazioni, che strumenti aveva per dire che sarebbero state inaffidabili 30 anni dopo in un processo penale?».
Tra gli ultimi temi affrontati c’è stato anche quello degli usi impropri dell’amianto. Che ruolo ha giocato il magnate svizzero? «C’erano delle regole, vendere il polverino era proibito. Che ci fosse quest’attenzione lo dice anche Pondrano che dice che i sacchi che contenevano il polverino erano di plastica, chiusi e dati a Bagna». Pertanto anche in questo contesto Schmidheiny si è comportato nel miglior modo possibile? «La presenza del polverino non può essere attribuita al gruppo svizzero. È frutto di una distribuzione che è stata fatta inconsapevolmente ma in modo massiccio negli anni che hanno preceduto questa gestione».
E la politica d’informazione? In che modo sono state comunicate le notizie da parte dell’azienda, sia all’interno che all’esterno dello stabilimento? «Quanto si legge in Ausl 76 è in linea con ciò che Schmidheiny aveva dichiarato a Neuss. Dire che sapesse tutt’altro è un modo per imbrogliare. E il messaggio contenuto in Ausl 76 è sempre stato ‘siate trasparenti‘».
Le richieste delle parti civili? «Sono già prescritte»
Di Amato ha concluso la giornata commentando le richieste per danno avanzate nell’udienza precedente, lunedì 27 febbraio, dalle parti civili. «Si tratta di richieste che sono state fatte già nel contesto di Eternit Uno – ha dichiarato – Pertanto sono già state giudicate, prescritte e non possono rivivere in questa sede». In particolare si è soffermato su quanto sollevato dagli enti territoriali, come i Comuni, in merito anche ai costi di bonifica: «Il danno qui è quello che deriva dal disastro ambientale, appunto già prescritto. E poi, perché dovremmo essere responsabili della bonifica di siti che sono stati inquinati quando noi non c’eravamo?».
Si ritornerà in aula mercoledì 29 marzo: sarà Guido Carlo Alleva ad afferrare il testimone del collega Di Amato, per la seconda parte di arringa.