Giorno del Ricordo, Deambrogio: «Diventato questione privata dei fascisti»
Il durissimo intervento del segretario regionale di Rifondazione Comunista
CASALE – In occasione del Giorno del Ricordo arriva un duro intervento del segretario regionale del Partito della Rifondazione Comunista Alberto Deambrogio: «Anche quest’anno il racconto legato alla giornata del 10 febbraio non è particolarmente diverso da quello degli ultimi. Il problema principale della ricorrenza è il fatto che il tipo di interpretazione ideologica, proveniente dagli eredi del modello politico fascista, è diventata legge dello Stato anche grazie ai voti delle parti politiche eredi del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana. Ora che al governo ci stanno i post-fascisti, è chiaro che diranno quello che dicevano anche altre forze politiche, perché nei fatti sono loro che lo hanno escogitato».
Continua: «Dopo più di venti anni dall’istituzione del Giorno del Ricordo vale la pena di tirare un bilancio. Si voleva costruire una memoria condivisa, ma quello che si è ottenuto è una netta frattura fra le memorie divise della guerra. Si sta giustamente accentuando una distanza fra due parti del Paese e due visioni del mondo: fascista e nazionalista da una parte, democratica e progressista dall’altra.
La visione che sempre più si sta affermando nelle celebrazioni del Giorno del Ricordo è di tipo estremista, derivata da elaborazioni di chi non ha mai preso le distanze dal modello ideologico fascista e può contare su un predominio mediatico assai articolato e sull’attivismo di associazioni apparentemente neutrali come il Comitato 10 febbraio, che collabora fattivamente con molte amministrazioni locali tra cui quella di Casale Monferrato, o l’Unione degli Istriani.
In realtà il Giorno del Ricordo è stato subito contestato da intellettuali, antifascisti di varia provenienza, tra cui la stessa Anpi, che nel 2015 ne chiese la sospensione. In questo grande schieramento ci sono studiosi seri, che per decenni hanno studiato le violenze avvenute nei territori di confine. A loro è stato spesso affibbiato il giudizio di negazionisti delle foibe: tutti in palese
malafede?
Sta proprio qui il nodo centrale, quello di oggi e degli ultimi vent’anni: c’è una parte che non ha interesse a parlare di storia, perché se si parlasse di fatti storici emergerebbero le responsabilità fasciste per l’invasione della Jugoslavia e per le violenze agite sulla popolazione locale, senza di queste non ci sarebbero state le foibe e l’esodo».
Conclude: «In pratica il 10 febbraio è diventata questione privata dei fascisti, nessuno ne può parlare al di fuori di loro e il resto della popolazione si deve bere la loro propaganda. Invece dovremmo, tra molti esempi possibili, poter parlare degli aspetti positivi delle terre di confine, perché prima dell’invasione ci fu convivenza e commistione. Intanto serve alterità
dichiarata rispetto all’onda revanchista e fascista che si vuole maggioritaria, non va persa nessuna occasione, tantomeno questa».