"Pelé? Da quando esiste il calcio, il più grande"
Insieme nel Brasile campione dl mondo nel 1958. "Avremmo dovuto incontrarci a dicembre"
Fra i 20mila al Moccagatta, quel 12 giugno 1968, anche lo studioso di Brasile. "Grande ruolo sociale"
ALESSANDRIA – Si emoziona a guardarla, anche a distanza di 54 anni. Anzi, forse ancora più di allora: perché sui pochi centimetri del retro di una cartolina dell’Hotel ‘Alli Due Buoi Rossi’, c’è una ‘bibbia’ del calcio di tutti i tempi. Ci sono gli autografi di Pelé, di Gianni Rivera e di Vittorio Pozzo, il ct dei primi due titoli mondiali dell’Italia, 1934 e 1938. Il primo in campo, gli altri due in tribuna.
Quella cartolina è di Bruno Barba: c’era anche lui, oggi scrittore, docente universitario, giornalista e studioso di Brasile, quel 12 giugno 1968 al Moccagatta, insieme al papà. Forse un segno del destino, viste le scelte successive di Barba, soprattutto l’attenzione per quel paese enorme e complesso che ama e che conosce così bene da farlo vivere attraverso i suoi libri.
"Pelé? Da quando esiste il calcio, il più grande"
Insieme nel Brasile campione dl mondo nel 1958. "Avremmo dovuto incontrarci a dicembre"
“Non sta a me giudicare l’immensità calcistica di Pelé. Basta, credo, quel soprannome che lo ha accompagnato e lo accompagnerà. Semplicemente O Rey. Nel Brasile, e per il Brasile, Pelé ha avuto un ruolo sociale molto importante, non solo per le sue origini e per l’impegno per le fasce più povere. Pelé ha rappesentato il riscatto degli afrodiscendenti, dopo il Maracanazo, che per molti anni è stata la tragedia, umana e sportiva, di un popolo, la sconfitta nel Mondiale 1950, considerato già vinto, in casa, per mano dell’Uruguay. Con Pelé, grazie a lui, i brasiliani con discendenze africane sono usciti dal cono d’ombra in cui erano stati confinati – racconta Barba – e sono tornati al loro posto. Pelé è stato una sorta di rivincita, nei suoi confronti il paese – sottolinea Barba – ha sempre avuto un rispetto infinito, che va oltre i risultati sul campo. La gente che parla di lui ha sempre un atteggiamento deferente, si toglie il cappello di fronte alla sua grandezza totale“.
Quella sera al Moccagatta il bambino Bruno fu impressionato non solo dal suo talento enorme, dalla facilità di gioco. “Anche dalla sua forza fisica. In questo senso è stato un antesignano di quella fisicità di cui il calcio di oggi è spesso pervaso, a volte a scapito della qualità. Pelé era così forte da dominare in ogni zona del campo, atleticamente, per la potenza, per il gioco, per l’intelligenza. Calcisticamente e umanamente immenso“.
Pelé che, quella sera, uscì dal Moccagatta, come racconta Carlo Sacco, figlio di Remo, presidente dei Grigi (nella foto storica con Lojacono, il fratello Fabio Sacco e Tonino Armano, figlio di Ginetto, e oggi sindaco di Oviglio), “con due maglie numero 10 dell’Alessandria, quella blu edizione speciale per quella gara e quella grigia che gli donò proprio Lojacono”.
Quella volta che Pelé incantò i 20mila del Moccagatta
Con il Santos, contro i Grigi: 12 giugno 1968, per gli 800 anni della città
E, anche, con un cappello Borsalino. “Arrivò allo stadio un furgone pieno, per tutta la squadra: un dono di mio padre, modello Humphrey Bogart”.