Don Alvise e dieci ragazzi da Gavi a Rzeszòw per aiutare il popolo ucraino
Incontro con la delegazione che, a novembre, viaggiò fino al confine polacco
Sin dallo scoppio della guerra, a Gavi ci si è chiesti come potersi rendere utili al popolo ucraino: i primi passi, immediati, furono perciò una raccolta di offerte per la spedizione di pacchi e la disponibilità ad accogliere eventuali profughi.
Che fare, però, con i soldi rimasti in cassa? “Che cosa il Signore ci sta chiedendo? Cosa siamo chiamati a fare?”, i quesiti posti all’epoca da don Alvise ai compaesani, con l’idea di fare qualcosa di più concreto per quelle famiglie in difficoltà. Fu lo stesso sacerdote, alla fine, a fare la proposta: “Partiamo”.
Detto, fatto: il tempo di organizzare e, alle 4.30 del 14 novembre, distribuiti su tre pulmini pieni di pacchi, la spedizione guidata dal ‘don’ e composta da una decina di ragazzi tra i 14 e i 18 anni, dal sindaco, dal maresciallo dei Carabinieri e da alcuni membri della Croce Rossa e della Protezione civile era pronta a partire. Sui mezzi, sette generatori elettrici, medicinali da sala operatoria e generici, pannoloni, giocattoli, coperte e vestiti.
Obiettivo, raggiungere in serata Rzeszòw, città polacca vicino al confine, a una sessantina di chilometri dalla martoriata Leopoli, città che – una volta giunti a destinazione – si scopre essere stata bombardata proprio poche ore prima. Per quattro giorni, don Alvise e il gruppo gaviese lavorano duramente, senza dare spazio alla preoccupazione, per tornare a casa dopo quattro giorni passati ad aiutare donne e uomini in difficoltà: “Probabilmente lì in mezzo qualcuno si sarà chiesto ‘Dov’è Dio?’ – ricorda oggi il sacerdote – E magari proprio in quella famiglia è arrivato un generatore. Dio era su quei pulmini, e ci ha solo chiesto se ce la sentissimo. Possiamo farci i fatti nostri e andarcene oppure dire il nostro sì, ed è così che diventiamo lo strumento della Provvidenza”.
Nell’incontro organizzato in paese nella giornata di mercoledì, i ragazzi protagonisti della spedizione hanno invece raccontato che, al momento della partenza, hanno avuto davanti agli occhi una compagnia e una proposta a cui non hanno saputo dire di no. Hanno avuto però pure una domanda: perché? La risposta è stata una rivelazione, durante il corso del viaggio: “Sapere che grazie a me adesso una famiglia in più può stare al caldo è motivo di fierezza. Non una fierezza di facciata, per gli altri, ma di fronte a me stesso: mi ha fatto crescere, mi ha fatto sentire più pienamente me”. “Il bello? – chiosa di don Alvise – Vedere i ragazzi felici“.