I ricercatori individuano la molecola che illumina le cellule tumorali
Lo studio è stato pubblicato su Nature
La luce ha guidato gli esseri umani da quando hanno imparato a governare il fuoco per difendersi, per cacciare, per plasmare oggetti o per tracciare una nuova via. Ma se un tempo la luce illuminava il mondo che ci circonda oggi la biochimica ci consente di puntare i riflettori sull’infinitamente piccolo, per intervenire con maggiore efficacia su patologie che riguardano i nostri organi interni.
Nel contesto delle ricerche di nuove terapie per il trattamento dei gliomi, i ricercatori dell’Università del Piemonte Orientale hanno individuato una molecola fluorescente altamente specifica (denominata probe 10) che è in grado di legarsi in modo selettivo all’enzima aldeide deidrogenasi 1A3 (denominato ALDH1A3) “illuminandolo”. Questa nuova molecola fluorescente è in grado di “illuminare” solo le cellule tumorali del glioma e non i tessuti sani e potrebbe, quindi, fornire ai neurochirurghi un supporto essenziale in sede operatoria per una resezione totale della massa tumorale. La terapia primaria per questi tumori, infatti, rimane la resezione chirurgica in una posizione anatomica complessa su cui intervenire.
Lo studio multidisciplinare è stato coordinato da Silvia Garavaglia – professoressa associata di Biochimica del Dipartimento di Scienze del farmaco UPO che condivide la ricerca con la sezione di Biochimica diretta dal professor Menico Rizzi – ed è stato pubblicato su Communications Biology, rivista scientifica del gruppo Nature. Lo studio (Curcumin-based-fluorescent probes targeting ALDH1A3 as a promising tool for glioblastoma precision surgery and early diagnosis) ha coperto aspetti di biochimica, di analisi della relazione struttura-funzione di un enzima, di sintesi chimica e di biologia molecolare e cellulare.
Studi precedenti dello stesso gruppo di ricerca hanno indicato questa proteina come un rilevante bersaglio per lo sviluppo di nuove molecole per la diagnosi precisa e accurata del glioma e di terapie farmacologiche dirette verso queste forme di neoplasie; i gliomi sono tra i tumori più frequenti nel gruppo di quelli che interessano il sistema nervoso centrale e la prognosi per i pazienti coinvolti è spesso infausta. In particolare, per i glioblastomi, la percentuale di sopravvivenza dei pazienti a cinque anni dalla diagnosi non supera il 5%. Le tecniche usate oggi per la resezione di questi tumori si basano sull’aiuto di una molecola chiamata fluoresceina; essa, tuttavia, non è selettiva perché non ha nessuna specificità biochimica ma entra come tracciante nei glioblastomi dove la barriera ematoencefalica è danneggiata. La mancata selettività comporta una scarsa specificità nell’illuminare il tessuto malato rispetto ai tessuti sani.
Sfruttando una specifica e puntiforme differenza di aminoacidi fra l’ALDH1A3 e altri isoenzimi di questa famiglia enzimatica, è stato possibile disegnare una molecola altamente specifica per l’iso-forma ALDH1A3 che è sovra-espressa in questi tumori; è stato dunque possibile mettere a punto uno strumento in grado di “illuminare” solo le cellule tumorali staminali mesenchemali sia in vitro, su linee primarie di pazienti, sia in vivo, in un tumore cerebrale murino, senza avere nessun effetto sugli astrociti sani presenti nel cervello.
Il lavoro della professoressa Garavaglia è stato svolto in stretta collaborazione con Alberto Minassi, professore di chimica organica all’Università del Piemonte Orientale, con Lorenzo Magrassi, professore di Neurochirurgia all’Università di Pavia e medico presso l’IRCSS Policlinico San Matteo di Pavia, e con Edoardo Gelardi, ricercatore post-doc all’Istituto Europeo Oncologico di Milano.
«La molecola che abbiamo isolato – spiega la professoressa Garavaglia – si comporta come un nastro adesivo fosforescente che si carica autonomamente con la luce, simile a quelli sulle pareti delle camerette dei bambini che sono quasi invisibili durante il giorno e che si trasformano in stelle, lune e cuori quando è buio. La nostra sonda si lega molto bene all’enzima bersaglio presente in grande quantità nel tumore e, una volta illuminato con la luce adatta, ne rivela la posizione permettendo al neurochirurgo di operare in modo molto preciso rimuovendo tutte le cellule cancerose tumorali.»
«Questi risultati – prosegue la ricercatrice – dimostrano che attraverso lo studio della relazione tra la struttura di un enzima e la sua funzione si possono individuare elementi determinanti; nella fattispecie sono singoli amminoacidi peculiari per l’attività del nostro enzima bersaglio. Sintetizzare molecole altamente selettive verso la proteina che il tumore produce per sostentarsi ci consente di individuare selettivamente le cellule tumorali rispetto al tessuto sano, ottimizzando così la resezione del tumore.» L’idea di inibire l’enzima ALDH1A3 per lo sviluppo di terapie contro il glioblastoma ha basi forti, tradotte in precedenti studi pubblicati dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze del farmaco Upo. L’approccio multi- e trans-disciplinare, inoltre, si conferma elemento chiave nello studio di sistemi biologici complessi, come nel caso di un tumore solido, soprattutto in una logica di possibile applicazione medico-farmacologica.
«Il valore di questo studio e della collaborazione tra diversi esperti del settore – conclude Silvia Garavaglia – si esprime anche nella pubblicazione di un brevetto internazionale (Probe directed to Enzyme ALDH1A3 and use there of in the diagnosis of glioblastoma) che verrà sostenuto sia dall’Università del Piemonte Orientale, in modo maggioritario, sia dall’Università di Pavia e che rende noi ricercatrici e ricercatori particolarmente orgogliosi del lavoro fatto sino a qui. Le ricerche sono in fase preclinica ma il recente finanziamento vinto (che prende il nome di Developing proprietary fluorescent probes targeting high grade gliomas into useful tools for onco-surgery and theranostic, ndr) ci consentirà di implementarle ulteriormente soprattutto in vivo, per arrivare ad avere, in un paio di anni, una molecola da testare in fase clinica.»
L’impulso alle ricerche dei biochimici dell’Upo – possibile anche grazie ai fondi del PNRR che il Ministero della salute ha convogliato nell’investimento 2.1 per la Valorizzazione e potenziamento della ricerca biomedica del SSN – costituisce il punto di partenza per raggiungere nuovi risultati nel campo dello sviluppo di terapie e tools innovativi da utilizzare nell’imaging e nella radioterapia utili per combattere questi tumori così devastanti.