Gender gap: ancora discriminazioni sul lavoro
Rossana Berardi, presidente di Women for Oncology Italy: "Occorre un impegno molto più proattivo e potente da parte del management aziendale"
In Italia quattro lavoratori su dieci subiscono discriminazioni per l’età e quasi tre su dieci per il genere. Da qui la tolleranza zero per le discriminazioni: per nove italiani su dieci l’inclusione è un criterio importante per trovare un nuovo lavoro.
È quanto emerge dall’ultima indagine di Cegos, leader internazionale nel settore Learning & Development, condotta su 4.000 dipendenti – di cui 500 italiani – e oltre 400 tra Direttori e Manager delle Risorse Umane – di cui 60 italiani – dal titolo Diversity & Inclusion nelle aziende. La survey, oltre all’Italia, ha coinvolto altri sei Paesi: Brasile, Francia, Germania, Gran Bretagna, Portogallo e Spagna. «La discriminazione rimane un tema aperto, nonostante i tentativi a livello normativo e la crescente sensibilità sociale», commenta la professoressa Rossana Berardi, presidente di Women for Oncology Italy. «Questo a dimostrazione di quanto resistano stereotipi e pregiudizi legati alle differenze. Un impegno molto più proattivo e potente da parte del management aziendale, in particolare in termini di vera sensibilizzazione e formazione per la crescita e lo sviluppo dell’intera organizzazione, possono essere le chiavi per superare le discriminazioni e consentire la costruzione di culture organizzative orientate alla creazione di valore».
Sempre secondo lo studio citato, il 63% dei lavoratori ha dichiarato di essere stato oggetto di discriminazione sul luogo di lavoro almeno una volta e l’82% di aver assistito ad almeno una forma di emarginazione perpetrata dai colleghi di pari livello, ma anche dai manager di linea. Un dato che si ritrova principalmente, secondo i responsabili delle Risorse Umane, in riferimento all’età (25%), alle condizioni di salute (19%), al genere (18%), all’aspetto fisico (16%), al livello scolastico e allo status sociale (16%).
Rilevante anche l’identità di genere (18% in Italia verso il 10% a livello globale) e la situazione famigliare (17% nel nostro Paese contro l’11% su scala internazionale). Tra le forme di emarginazione subita, i dipendenti citano l’aspetto fisico (24% in generale, 27% per gli italiani), seguito da età (23%), opinioni politiche (20%) e genere (18%); tra quelle cui hanno assistito gli italiani il fattore nazionalità è al quinto posto. Dipendenti e Manager delle Risorse Umane concordano (con percentuali tra il 20% e il 38%) sul fatto che gli episodi di discriminazione si riscontrino principalmente in tre momenti: durante l’assunzione, in fase di promozione e di integrazione. Consapevoli di ciò, per promuovere l’inclusione tre Manager delle Risorse Umane su quattro affermano di applicare politiche di non discriminazione proprio in fase di recruiting e, per favorirla ulteriormente, ritengono utili più flessibilità, o supporto per la genitorialità o in caso di malattie croniche, e la formazione specifica sul tema, sensibilizzando tutti gli stakeholder.