L’anno senza estate
Nel 1816 il mondo visse un anno complicato almeno quanto i tempi che stiamo vivendo noi oggi. Nel 1816 infatti non arrivò l’estate e, se nella Pianura Padana si ebbero gelate a luglio, nella costa Est degli Stati Uniti i raccolti furono poveri. Senza conoscerne la causa, il pittore inglese William Turner registrò questo fenomeno e, nei tramonti dipinti quell’anno, il cielo risultava sempre offuscato, mai terso: l’eruzione del vulcano Tamboora, nel lontano Sud-Est asiatico, aveva infatti scaricato nell’atmosfera una quantità tale di pulviscolo che il sole ne risultò coperto anche quando più vicino alla Terra. Nel bel mezzo di tali difficoltà però gli Americani di quel tempo, dalla costa atlantica, intensificarono la migrazione verso l’Ovest inventando il proprio mito e, nel loro piccolo, un gruppo di scrittori inglesi, prigionieri del maltempo in Svizzera, inventarono il romanzo gotico: fra gli altri, in quei mesi, Mary Shelley scrisse Frankenstein, il romanzo più importante della sua vita.
Fra le tante crisi che il nostro tempo sta vivendo vi è la difficoltà per tanti di trovare lavoro e, al contempo, la difficoltà per molte imprese di coinvolgere personale qualificato. Se l’incontro fra domanda e offerta deve passare attraverso un mondo della formazione più efficiente, è necessario per le aziende affrontare i nuovi fenomeni che la pandemia ci ha lasciato in eredità e che, in tutto il mondo, prendono la forma della “Grande Dimissione” o di valori diversi alla base dell’equilibrio fra lavoro e vita personale. Di fronte a questi cambiamenti globali, giova però ricordare un’esperienza capitata a molti secondo la quale non si lascia un’azienda, si lascia una capo. Per chi ha responsabilità di gestione del personale, questo è dunque il tempo di scrivere un nuovo romanzo.
Che la pandemia non sarebbe stata una semplice parentesi, ma un fattore di accelerazione di cambiamenti sostanziali nel nostro modo di vivere e lavorare lo si era sospettato fin dal primo momento e, fra i tanti effetti, vi è anche una diversa percezione dei valori che stanno alla base del rapporto fra lavoro e vita personale. Se negli Stati Uniti si è addirittura parlato del fenomeno de “La Grande Dimissione”, facendo il verso alla crisi del ’29 – dopo che nel solo mese di settembre 2021 si è toccato il record di 4,4 milioni di dimissioni volontarie e con un valore medio che si attesta sui 4 milioni al mese – anche nel nostro Paese si assiste da tempo alla carenza di manodopera e tutto questo dopo anni in cui il lavoro appariva prossimo a scomparire per via dei processi di automazione.
Oggi la durata media di una collaborazione professionale per chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro va infatti da uno a tre anni: è la scoperta del lavoro e non l’inizio di un percorso come un tempo. Secondo l’Associazione Italiana Direzione Personale (Aidp) a scegliere di cambiare lavoro sono soprattutto le persone nella fascia d’età compresa fra i 26 e i 35 anni, che costituisce il 70% del campione analizzato, perlopiù impiegati in aziende del Nord Italia. I settori più coinvolti sono quello Informatico e Digitale (32%), Produzione (28%) e Marketing e Commerciale (27%). Si tratta di una grande sfida per le imprese e che ha più fronti: dalla ricerca e dall’onboarding di nuovo personale alla valorizzazione di quello esistente perché mantenga salda la propria vicinanza al lavoro e alla missione che l’azienda si è data e non sia indotta a quel fenomeno ancora più strisciante che oggi si definisce “quiet quitting” e che, ancora una volta, è influenzato da una nuova ricerca di equilibrio fra sé, la propria famiglia e gli altri.