Una chiacchierata con… Michela Piccoli
Rispolveriamo insieme ad una delle mitiche “Mamme NO PFAS” la vicenda legata all’inquinamento idrico che nel 2017 ha segnato in maniera indelebile la vita di migliaia di cittadini veneti.
1 – Michela, la recente pubblicazione dell’analisi ARPA della quarta falda acquifera più importante del Piemonte, che scorre sotto Spinetta Marengo, riferiti al periodo dicembre 2021 – marzo 2022, riporta alla mente la vicenda veneta del 2017. Sei d’accordo?
L’inquinamento della falda piemontese è noto già da molti anni, ed è paragonabile al disastro ambientale del Veneto, in quanto è avvenuto nella stessa maniera e con la stessa tipologia di sostanze. Anche per quanto riguarda l’aria vedo similitudini. Qui nel nostro territorio, la principale fabbrica responsabile è chiusa da ormai diversi anni, ma il plume di sostanze residue che stanno sotto l’azienda continua a contaminare la falda. La prima fase di messa in sicurezza del sito (MISO) non è ancora terminata, anzi siamo ancora all’inizio.
Una prima tratta dell’acquedotto (che rifornisce ben 50 comuni) è stato sostituito, ma è difficile fare una previsione su quanto tempo ci vorrà per completare l’opera (mancano altre due tratte). Tutto ha subito uno slittamento anche a causa della pandemia. Per la fine di settembre è stato pianificato un incontro pubblico con le istituzioni che stanno concorrendo alla bonifica per ottenere informazioni aggiornate in merito alla situazione. È fondamentale che, come cittadini, vengano chieste spiegazioni.
2 – Quale è stato il sentimento dominante che ti ha portato alla decisione di diventare una attivista e come si è formato il primo nucleo del gruppo Mamme NO-PFAS?
A marzo 2017 arrivarono i risultati delle analisi del sangue indette dalla Regione Veneto, a cui partecipò anche mia figlia allora sedicenne. Erano presenti ben dodici sostanze, in un rapporto di undici volte maggiore il cosiddetto “limite” individuato come soglia mediana della popolazione che non è stata direttamente contaminata dai PFAS (e che dovrebbe essere imposto a zero, in quanto molecole prodotte dall’uomo e che non dovrebbero trovarsi nel sangue umano). Da infermiera, non avevo mai visto nulla di simile e mi resi conto immediatamente che c’era un problema.
Nelle ore successive, sono stata contattata da altre quattro mamme nella stessa mia situazione e ci siamo incontrate, in un bar, per capire come muoverci insieme. Che cosa ci mosse? Qualcosa accomunabile a tutte le mamme: voler proteggere i propri figli. Andando più in profondità, credo ci sia stato anche un sentimento di rabbia, per esserci fidate di qualcuno che non è stato in grado di difenderci.
Come conseguenza di questa lacuna da parte delle istituzioni, abbiamo preso noi genitori l’iniziativa.
Abbiamo chiesto ed ottenuto incontri presso i comuni, in Provincia, in Procura, in Regione Veneto, al Ministero dell’Ambiente, alle Associazioni di categoria (Confindustria, Confcommercio, Coldiretti), i consorzi di bonifica, i gestori delle acque, fino ad arrivare al Parlamento Europeo di Strasburgo.
Moltissime mamme, ad esempio da Padova e da Verona, si sono mosse e si sono aggregate a noi. Dalla rabbia, siamo passate ad un sentimento più positivo, nel tentativo di risolvere un problema attraverso la comunicazione. Penso che una condizione essenziale sia stato farlo sempre in maniera educata, nonostante momenti di grande sconforto e difficoltà, dopo ore di attesa davanti ad una porta. Ma alla fine, di fronte alla verità, non ci si può nascondere e le istituzioni ci hanno ascoltate ed accolte.
3 – Come valuti lo spazio riservato dai media alla vicenda dell’inquinamento acquifero da PFAS nelle province di Vicenza, Padova e Verona?
Inizialmente, per dirla un po’ brutalmente, i giornalisti ci staccavano il telefono. Non avevano idea in merito a ciò di cui stavamo parlando. La nostra insistenza veniva interpretata come una forma di allarmismo ingiustificato. In un secondo momento, però, vista la nostra determinazione e dopo aver capito che ciò che dicevamo era sostenuto da documenti ufficiali prodotti dalla Regione Veneto, hanno iniziato a cercarci.
Tuttora lo fanno e non abbiamo smesso di comunichiamo con loro. Ce ne sono alcuni più sensibili al problema, altri meno, anche a seconda delle influenze politiche della testata stessa per cui lavorano. Noi mamme NO-PFAS non siamo “esperte” di politica, dunque parliamo con tutte le testate e con tutti i partiti. Per noi il problema “acqua” non ha bandiera, a noi importa sia dei nostri figli, che di tutti i figli non solo del Veneto, ma dell’Italia, dell’Europa e di tutto il mondo.
4 – La raccolta firme che è stata lanciata in questi giorni nel territorio alessandrino, pensi sia un mezzo efficace al fine di ottenere un biomonitoraggio umano per la popolazione residente?
Credo sia una cosa importantissima, da sostenere e da fare. Una raccolta firme, va a mio avviso accompagnata da azioni di richiesta di incontro con le istituzioni. Un incontro che porti al confronto con la politica. Parlarsi, comunicare, far capire che il problema non è solo delle mamme, dei figli, o di alcuni cittadini, ma è d tutti. Occorre sottolineare che le istituzioni sono una sorta di “prolungamento” dei cittadini.
Invito dunque le mamme dei Piemonte a corredare questa raccolta firme con la richiesta di incontro e, se nessuno dovesse rispondere, a prepararsi anche a mettersi davanti ad una porta e aspettare giorni interi. La mia esperienza mi ha insegnato che la pazienza e l’educazione ripagano sempre.
5 – Il comunicato ENEA dello scorso 21 luglio, che annuncia la messa a punto di un metodo per distruggere i PFAS nell’acqua, lascia intravedere che il problema potrà essere risolto definitivamente nel prossimo futuro?
Sono stata molto contenta dei risultati dello studio fatto dalla dott.ssa Chiara Telloni dell’ENEA di Bologna. Ho già tentato più di una volta di contattarla, per approfondire questo discorso ma non ci sono ancora riuscita. Qui si parla di risolvere il problema della presenza di PFAS all’interno dell’acqua per uso civile.
È doveroso ricordare che il problema non riguarda solo l’acqua potabile, ma include anche l’acqua di irrigazione. L’acqua di falda, e quella dei torrenti, vengono prelevate per irrigare i campi, in cui cresceranno la verdura, la frutta e gli ortaggi in generale con cui andremo ad alimentarci. Penso sia impossibile filtrare, o depurare con metodi tecnologici più avanzati, tutta l’acqua di una falda o di un torrente.
Dunque, sarà importante riuscire ad impedire, sia a livello nazionale che europeo, che la produzione di queste molecole prosegua. Occorre imporre alle aziende produttrici una sorta di “circuito chiuso”, in modo che neanche un nanogrammo possa fuoriuscire. Questo problema non può essere scaricato sulle spalle dei cittadini, che già stanno pagando un conto salatissimo in salute e in costi di bonifica. Come cittadini, lo dobbiamo pretendere.
Grazie mille Michela per le risposte e per il tuo prezioso attivismo insieme alle Mamme NO-PFAS .
Il documentario “PFAS – Quando le mamme di inc****no” di Andrea Tomasi ripercorre le principali tappe della vicenda veneta e ne suggeriamo la visione.
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