Umberto Galimberti “Famiglia e scuola nel deserto delle emozioni”
Il popolare filosofo e i problemi educativi dei nostri giorni
ROCCA GRILMALDA – Umberto Galimberti approda a Rocca Grimalda, appuntamento di spicco di “Attraverso festival”. Una lectio magistralis su emozioni e su filosofia greca.
Professore, lei distingue fra impulsi ed emozioni. In cosa si diversificano?
I primi li abbiamo per natura. Non hanno linguaggio, si esprimono a gesti e connotano i bulli. Le seconde sono la risonanza emotiva che le persone hanno di fronte alle loro azioni. Oggi non sono più una dote innata. Bisogna insegnare ai ragazzi a passare da impulsi a emozioni attraverso la cultura.
Chi sono i bulli?
Siamo di fronte a una generazione con molti elementi di questo tipo. Non capiscono la differenza fra corteggiare una ragazza e stuprarla. Uso volutamente espressioni forti. Derivano dalle mie esperienze con loro.
Cosa l’ha portata a maturare queste convinzioni?
In prigione ho incontrato i giovani che lanciavano sassi dai cavalcavia. Ho chiesto loro la ragione dei loro comportamenti. Mi risposero che per loro era come giocare a bingo. Feci notare che nelle auto che colpivano c’erano persone. Mi risposero «Eh, vabbè». Questo denota la mancanza di capacità di discernere tra bene e male. Così si diventa pericolosi per se stessi e per la società. Purtroppo questo non è l’unico esempio di questo tipo che ho incontrato.
Secondo lei cosa ha determinato l’attuale stato delle cose?
I disastri maggiori sono la famiglia e la scuola.
Parlando della seconda, cosa non funziona oggi o non ha mai funzionato?
A voler essere ottimisti i veri insegnanti sono il 10%. Se vogliamo averne di buoni è necessario sottoporli a test di personalità per vedere se sono dotati di empatia. Se non c’è questa dote non devono insegnare, al di là dei titoli.
Altri punti dolenti con i quali i giovani devono fare i conti al giorno d’oggi?
Nietzsche a suo tempo profetizzò l’ingresso nell’era del nichilismo. E così è stato. Per i giovani il futuro non è più una promessa, non c’è uno scopo. Quello che hanno di fronte è imprevedibile se non addirittura una minaccia. Tutto ciò li pone di fronte a domande: perché devo studiare, darmi da fare o lavorare? L’assenza di futuro fa soffrire davvero i giovani.
Ci sono frasi che i genitori non devono più usare?
Sicuramente «Ai miei tempi». I loro tempi come i miei erano promettenti ed il futuro era una certezza. Quindi oggi il paragone è ingrato.
Lei parla spesso di emancipazione delle donne. Quando si è concretizzata?
Quando, attraverso i contraccettivi, hanno potuto scegliere se e quando avere una gravidanza. Hanno liberato la loro sessualità; questo ha messo in crisi i colleghi maschi che si sono accorti che le donne erano più furbe di loro.
In alcune parti degli Stati Uniti il rischio è che l’aborto non sia più legale. Cosa ne pensa?
La trovo una pessima legge. Una donna ha il diritto di decidere come e quando e perché avere un figlio. E a maggior ragione deve poter scegliere se non lo vuole. Lo Stato non ha il diritto di farmi accettare passivamente quello che mi capita.
Perché ancora tanti uomini giudicano le scelte delle donne in merito?
Perché o sono legati a una fede o perché sono il prodotto inconscio di una cultura cristiana che equipara aborto e uccisione. Tommaso d’Aquino diceva che l’anima non entra nel corpo prima dei tre mesi perché la materia non era pronta.
Quanto il cristianesimo ha influito sulla società?
È stato devastante. Ha messo l’uomo al centro dandogli l’idea di immortalità. Le conseguenze le vediamo tutti i giorni. Ci siamo impadroniti anche della natura. E distruggendo lei, distruggiamo noi stessi.