Piano da 100mila euro per il restyling degli asfalti
Via libera dal Comune di Ovada
OVADA – «Me ne occuperò con animo disposto a favorire un’opera della quale capisco la massimo importanza». Una delle lettere inviate dal Camillo Benso, conte di Cavour, all’intendente generale di Genova Buffa è conservata negli archivi dell’Accademia Urbense. Il testo del 1858 spende più di una promessa su quella che oggi conosciamo come strada del Turchino. In particolare il collegamento diretto tra Ovada e Voltri per il quale da anni si moltiplicavano le spinte sul fronte piemontese e sulla vicina Valle Stura. Il collegamento, di cui tanto si è parlato anche negli ultimi due anni, ha 150 anni. La sua storia, come spesso succede alle infrastrutture strategiche, si è intersecata con il superamento dell’isolamento e con la crescita economica di un’ampia parte del settore produttivo delle due aree.
Genesi prolungata
Dodici anni prima, il 5 aprile 1946 era nata una Commissione per fare pressione sulle autorità competenti, in particolare quelle nazionali, a intraprendere l’impresa. Il comitato, presieduto dal marchese Stefano Giustiniani ottenne, seppur in tempi molto lunghi il risultato prefissato. Facendo un alto salto all’indietro, l’8 maggio 1822 l’allora sindaco di Ovada scrisse ai colleghi di Rossiglione, Campo Ligure (all’epoca Campofreddo) e Masone per perorare la causa di strada carrozzabile da Voltri a Torino: qualche tempo prima il consiglio comunale aveva approvato una deliberazione per ottenere dal Re una strada carreggiabile fra i due punti. Nel 1855 il comune di Rossiglione, per mettere pressione su Provincia e Governo decise di mettere mano al tronco di strada per Ovada con la speranza che i due enti superiori avrebbero messo mano al portafoglio. Nel maggio 1861 ottenne il via libera del Parlamento la petizione per la realizzazione della strada carrettiera da Voltri ad Ovada. Ad un primo stanziamento di 28 mila lire per il tronco tra Masone e Campofreddo, ne seguì un secondo da 80 mila sbloccato nell’ottobre successivo. Lo stanziamento si concretizzò nel maggio di due anni dopo; il progetto adottato era quello redatto dall’ingegner Giannotto Cattaneo.
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Via libera dal Comune di Ovada
I registri della Provincia di Genova riportano di come dovettero passare ancora degli anni. Il 7 ottobre 1965 l’ente deliberò lo stanziamento di 80 mila lire. All’epoca la spesa complessa per l’infrastruttura ammontava a 300 mila lire, con il Governo pronto a investirne 180 mila. La restante parte arrivò dai comuni entrati nel consorzio formata da Ovada fino a Voltri. Nel mese di aprile del 1869 i lavori da Ovada a Masone erano sostanzialmente terminati, per quanto ancora occorressero molte opere e infrastrutture complementari. La nuova strada venne inaugurata ufficialmente il 31 dicembre 1870. Un crollo al centro della galleria del Turchino ritardò ancora la transitabilità che fu deliberata nel 1972. Dal bilancio finale del Consorzio si desumono i costi. Le uscite totali assommavano a 196.555 lire. La partecipazione economica del comune di Ovada si attestò al 6.2%. Le varianti introdotte negli anni successivi hanno contribuito a arrivare alla versione ultima conosciuta ai giorni nostri.
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Visione d’insieme
A spiegare in qualche modo le ragioni di lentezze e ritardi contribuiscono gli scritti dedicati all’argomento dallo storico ovadese Gino Borsari. «Ben certamente – scrive quest’ultimo in un suo articolo disponibile su www. storiadiovada.it – l’antica Repubblica di Genova avrà sentito la necessità di migliorare le comunicazioni tra il litorale di Voltri e le valli dello Stura e dell’ Orba, ma non ne fece mai nulla anche perché questo transito era ritenuto di secondaria importanza di fronte a quelli più attivi e più antichi della Bocchetta, della Scoffera, del Sassello e di Cadibona, che collegavano più direttamente la capitale con il suo retroterra, con il Piemonte, la Lombardia e l’Emilia». E così il viaggio tra la nostra città e il centro di Voltri, ancora nel 1782, richiedeva 12 ore. «Quelli che allora si muovevano o dovevano spostarsi da una località all’altra – prosegue Borsari – lo facevano a piedi, a dorso di mulo o, nel migliore dei casi, a cavallo. I paesi ed i borghi restavano in quei tempi tra loro isolati ed autonomi, e questa era una delle innumerevoli cause delle ricorrenti carestie che immiserivano ed assillavano questi nostri poveri paesi senza comunicazioni».
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Lo scenario economico che portò alla richiesta pressante di una nuova strada è facilmente riassumibile: negli anni ‘60 del XIX secolo i cambiamenti dell’economia si fecero evidenti. L’avvento delle filande caratterizzò sia l’Ovadese che la vicina Valle Stura. Sebbene queste attività assicurassero un maggior numero di posti di lavoro rispetto alle precedenti, su Genova si riversavano gran parte di quei lavoratori rimasti esclusi che guardavano alla crescita di industria siderurgica, meccanica, cantieristica, edile, chimica e dei servizi come alla soluzione per evitare i morsi della fame che erano abituati a patire.
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La sostanziale assenza di vie di comunicazione tra la Valle Stura e il mare fu per la Repubblica di Genova anche un’ulteriore sicurezza e difesa rispetto il facile transito di eventuali eserciti invasori. La preoccupazione era per le velleità di conquista di sbocco sul mare ei Marchesi di Monferrato, dei Duchi di Milano e dei Savoia che in tempi diversi provarono a espandersi. La Repubblica dal canto suo inviò sempre nell’entroterra il grano, il riso, i legumi, i grassi, i formaggi. SI materializzò quindi quello che, secondo alcuni studiosi dell’economia locale, si configura come uno «scambio diseguale». L’entroterra gestito dalla Repubblica fu sempre terra di approvvigionamento di materie prime: legna in primis, con un depauperamento che pose le basi di fenomeno di dissesto idrogeologico tuttora presenti. E poi’ l’acqua, il bene che più di tutti ha attirato l’attenzione in epoca di industrializzazione.