“In Fraschetta si muore di tumore”: ma le amministrazioni restano in silenzio
Mauro Benazzo vinto da un cancro "ambientale". La moglie: «È necessario uno screening alla popolazione» - che non arriva
ALESSANDRIA – «Qui, in Fraschetta, tutti sanno che si muore di tumore. Finché succede agli altri nessuno fa niente. Ma gli altri siamo noi»: Anna è la moglie di Mauro Benazzo, morto il 13 maggio 2021 per un adenocarcinoma polmonare. Un tumore diagnosticato il 17 giugno 2020 (in piena pandemia) quando ormai era al quarto stadio.
Lo choc arriva all’improvviso, in ospedale, dove Mauro, convinto dalla moglie, si reca per capire cosa fosse quella tosse. Entrambi pensano si tratti del Covid.
È il medico a togliere ogni speranza: «Signora, è da tanto che sta male suo marito?». «No, tossisce un po’ alla mattina da un paio di settimane, l’ho portato qui perché pensavo fosse Covid». «Suo marito è molto grave, ha un tumore ai polmoni in fase avanzata».
Il tempo si ferma.
«Non è il Covid. Abitate a Castelceriolo? Lavora per caso con sostanze tossiche? Sa, la zona dove abitate è molto inquinata…».
Mauro ha trascorso la sua vita tra Spinetta – per lavoro – e Castelceriolo dove, con sacrifici, si è costruito la casa.
L’inquinamento ‘parlato’
I medici parlano di inquinamento, ma non lo scrivono nelle cartelle cliniche. I referti non riportano il perché di questi mali e le istituzioni neppure la cercano un’eventuale causa-effetto tra malattia e sostanze chimiche presenti nel nostro ambiente.
Non l’hanno fatto dopo un’indagine epidemiologica (voluta dall’ex assessore all’Ambiente Claudio Lombardi) che ha evidenziato un pericolo per la salute, e non lo hanno fatto dopo che tre gradi di giudizio, due Corti d’Assise e la Corte di Cassazione, hanno sancito un «disastro ambientale innominato».
C’è solo silenzio. Le istituzioni rimangono in silenzio. Perché? Ma sono in molti – ora – a chiedere esami del sangue specifici. Per ora inascoltati.
«Limitare i danni»
«Sono stanca di consigliare ad amici e parenti i posti migliori dove andare a curarsi – continua Anna – Vorrei suggerire il luogo migliore per vivere in salute. È importante limitare i danni, o perlomeno far fare degli screening sanitari periodici gratuiti agli abitanti della Fraschetta. Nel cerchio delle mie amicizie e del mio vicinato – ammette – è difficile trovare una famiglia che non sia alle prese con casi di tumore, in particolare alle vie respiratorie. Molti cittadini, come me, vivono con il sogno di poter andare altrove, perché il nome di Alessandria è associato alla parola inquinamento».
Quel 17 giugno…
A distanza di mesi dalla morte del marito, Anna ha scritto una sorta di diario per immortalare il calvario di quel periodo, il dolore e anche come un tumore di quel tipo si porti via pure i sentimenti.
Il dramma di Mauro, di sua moglie Anna e della figlia Mirella inizia il 17 giugno, prima che l’uomo cominci il suo turno di lavoro nella zona industriale di Spinetta. La tosse non passa da due settimane, i medici non visitano a casa a causa della pandemia e gli sciroppi prescritti non sortiscono miglioramenti. L’ospedale è l’unica chance.
Ma insieme non si può stare al Pronto soccorso, per cui Anna deve aspettare a casa. Alle 21 arriva la telefonata, è Mauro: «Mi hanno fatto una lastra, c’è qualcosa che non va nei polmoni e alla testa, stai tranquilla, mi tengono qui per dei controlli, portami un cambio».
Anna arriva in ospedale con la borsa, qualcuno le dice che non può entrare.
«Invece giunge un dottore – racconta la donna – non so che aspetto abbia: ho la sensazione di parlare con un astronauta, non riesco a vedergli il viso e gli occhi». La diagnosi e terribile.
«Ci chiediamo perché. Mauro – Anna parla al presente – dona il sangue ogni sei mesi, fa gli esami del sangue, le visite in fabbrica, non fuma… Cosa non ha funzionato?».
Prima delle dimissioni dall’ospedale, la donna parla col medico. «È un adenocarcinoma, ha origini ambientali… Mi consiglia di andare a Orbassano, dove curano quel tipo di problema».
Il tumore è esteso, ma la famiglia non si arrende. Con la malattia emergono le emozioni più profonde, incontrollate.
Inizia il calvario, si tenta di fermare il male. «I controlli sono mensili. Iniziamo la cura, sono semplici pastiglie mirate a far regredire la malattia».
Dopo le incomprensioni all’ospedale di Alessandria, Mauro torna sotto l’ala degli oncologici di Orbassano. I mesi passano, è estate, la malattia concede una tregua.
«Cominciamo a sperare non di guarire – continua – ma di convivere con la “nostra” malattia». Gli esami restano stabili per qualche mese, poi la situazione precipita. A febbraio iniziano i dolore lancinanti alla testa, è un tracollo che durerà quasi tre mesi. Il sistema cerebrale è compromesso.
Mauro viene ricoverato a Orbassano. Negli ultimi periodi è necessaria la sedazione. La pandemia non aiuta l’addio. Marito e moglie si scambiano i propri pensieri, con lo sguardo, con una carezza.
La lettera sul cuscino
«L’8 maggio, l’anniversario del nostro matrimonio, vado in ospedale – spiega Anna – Porto con me una foto di noi due in abito da sposi, scrivo una lettera che so non leggerà mai, ma voglio dargliela. Entro, lui dorme, sembra sereno. Decido di lasciarlo andare: “Mauro, stai tranquillo: vai dove devi andare, non preoccuparti per me, penso io a Mirella, alla casa, all’università… È tutto a posto”». Anna lascia foto e lettera sul cuscino, vicino al marito, e torna a casa.
Arriva il 13 maggio. Le condizioni ormai critiche impongono un ricovero all’hospice. Mirella sta soffrendo, così Anna proprio quel giorno va al Gattile di Alessandria e sceglie per la figlia un gattino nero. «Si chiama Anemos, dal greco antico anima, vento, soffio di vita». Il trasferimento non serve, alle 16 arriva la telefonata da Orbassano.
«Vai via da quel posto»
«Mauro mi aveva detto che se le cose fossero andate male, di andarmene – spiega Anna – Di lasciar perdere i sacrifici fatti per la casa, di prendere nostra figlia e andare via».
Oggi vorrebbe poter fare analisi del sangue specifiche: «Mi sto informando su come fare accertamenti clinici anche sui Pfas. Se non è possibile tramite l’ospedale, allora cercherò di farli privatamente. Voglio sapere».