Rapetti: “Lavoro e sviluppo per Acqui. Differenze? Un valore aggiunto”
Prendono il via le nostre interviste ai candidati sindaci. Si comincia con Danilo Rapetti
ACQUI TERME – Un Danilo Rapetti tris? È una possibilità. Primo cittadino di Acqui Terme dal 2002 al 2012, è sceso in campo da outsider con quattro liste civiche a supporto, senza partiti e senza simboli, unite dalla convinzione che «un’altra Acqui sia ancora possibile, partendo dal meglio del passato e costruendo le ragioni del futuro». A sostenere Rapetti anche l’ultimo sindaco acquese di centrodestra, Enrico Bertero, in carica dal 2012 al 2017.
Dottor Rapetti, ha creato una coalizione interessante, che ha raccolto persone in modo trasversale. È un bell’esperimento…
Non mi nascondo dietro ad un dito perché è chiaro che la mia appartenenza politica, fra Forza Italia e Lega, è legata al mondo del centrodestra. Tuttavia questo è un po’ un ritorno alle origini, perché il mio primo mandato come sindaco l’ho espletato con una lista civica e quindi l’idea non mi è nuova. L’appoggio del centrodestra lo ebbi per la mia seconda candidatura, dal 2007 al 2012. Oggi, considerata la situazione sociopolitica della città, è una prospettiva di lavoro interessante.
Come è maturata l’idea di questa candidatura?
Nell’ambito di una logica ripartizione territoriale, Acqui Terme spettava a Forza Italia; le scelte delle segreterie dei partiti sono assolutamente legittime tuttavia, quando si tratta di eleggere un sindaco e dei consiglieri comunali, penso che l’appartenenza e la geografia del manuale Cencelli c’entrino veramente poco. Mi domando che senso abbia dover dire a un acquese che siccome Valenza e la Provincia hanno un determinato colore politico, allora qui si debba fare una proposta di altro tipo. Ritengo che i miei concittadini possano rispondere «Chissenefrega! Mettete in gioco le persone e raccontateci cosa volete fare!». Si propongono un programma e un progetto di città e su questo, mettendoci la faccia, si chiede la fiducia. L’idea di candidarmi nuovamente è nata da qui e, con grande onore per me, hanno aderito a questo progetto civico anche esponenti che, a differenza mia, hanno votato e militato un po’ più a sinistra. Ed è un valore aggiunto; io dico sempre ai miei ragazzi e ragazze: non chiediamoci se siamo vegani o mangiamo carne, juventini o genoani, non chiediamoci come votiamo per Roma, chiediamoci cosa vogliamo fare per Acqui.
Rispetto a quando ha concluso il suo mandato, dieci anni fa, vede la città molto cambiata?
Vedere il volto che la mia città ha oggi è un altro dei motivi per cui mi sono risolto a chiedere ancora fiducia agli acquesi. Tralasciando i problemi connessi con la pandemia, ho visto Acqui spegnersi. Non crede più in sé stessa, sta diventando una sorta di dormitorio. Si è seduta, ha perso le sue ambizioni.
C’è un perché, secondo lei?
È un po’ come accade dopo tanti anni di matrimonio: ci si lascia andare, magari si sta sempre in ciabatte, non ci si cura, manca un sorriso in più, quella voglia di fare. Non è colpa dei cittadini e nemmeno dell’amministrazione in quanto tale: si è creato un clima di progressiva sfiducia che va spezzato. Occorre ritrovare un po’ di verve e tornare a credere nelle nostre potenzialità.
E quale potrebbe essere la ricetta giusta?
Ad Acqui si sta bene. Ci sono dei bei locali, un centro storico interessante, un ambiente vivibile. Peccato però che, rispetto ad altri centri zona, manchi una proposta in termini di attrattività. Occorre amalgamare tutto quello che abbiamo e recuperare, ricostruendo un’offerta diversa che sappia catturare. Oggi, e lo sappiamo tutti, il turismo è anche esperienziale: non serve avere necessariamente il Colosseo per fare la differenza, si visitano i luoghi per fare esperienze diverse, perché si possono trovare proposte che incuriosiscono e coccolano l’ospite.
A tal riguardo il tema delle Terme diventa fondamentale. Come si può risolvere?
Sarò un inguaribile romantico, ma credo che occorra riprendere un dialogo con la proprietà. So benissimo che la situazione non è rosea, ma a proclamare la guerra a Pater si fa presto. Tuttavia Pater ha comprato nel 2016 in modo legittimo dalla Regione, con Chiamparino presidente, e da loro non possiamo pretendere alcunché; si può provare ad essere convincenti e instaurare un dialogo che sia proficuo per tutte le parti. La nuova amministrazione che nascerà a giugno non potrà prescindere da un tentativo serio in questo senso.
Che prospettive vuole dare alla città e su quali temi intende lavorare?
Punti fondamentali, oggi, sono il lavoro e lo sviluppo, perché è necessario riuscire a portare qui gente e non far scappare i giovani. Ritorniamo al discorso dell’attrattività, che va declinata non solo in prospettiva turistica, ma nella capacità di fare impresa. Nei nostri progetti c’è una mediateca in piazza Maggiorino Ferraris che potrebbe sorgere nell’area degli scavi archeologici con un duplice risultato: rendere fruibile un pezzo importante di storia della città, riportandolo alla luce con i fondi Pnrr, e costruirci sopra uno spazio che sia utile per il co-working e per le start-up innovative di giovani imprenditori locali, ma non solo. Siamo a un’ora e mezza di strada da Milano e Torino e a un’ora da Genova, perché non ci candidiamo ad essere un collettore per i professionisti, magari stressati dalla vita di città? La pandemia una bella cosa l’ha insegnata e cioè che il lavoro può essere sempre più dematerializzato. Qui da noi si mangia bene, si beve meglio, la vita è tranquilla, c’è tutto quello che serve. Perché non provarci?