È il decesso del contadino…
Il pensiero di Max Biglia, una triste verità che affiora dall?affossamento del mondo rurale e quell?autosufficienza che abbinata alle conoscenze di oggi garantirebbe benessere e qualità
È il decesso del contadino… è un popolo che manca mentre il tempo ora tace e ingarbugliata, la mia riflessione rincorre questa fiumana di anime e conoscenze in cui svanisce un mondo intero.
Le condoglianze sono doverose, anche se c’è “fiducia” per questa raffinata “transumanza ecologica” dove alcuni si sono specializzati, altri hanno messo il vestito buono, mentre in un angolo i più devoti, si elevano facendo finta di niente.
Non sopporto più la gente che parla di questi argomenti, e siccome ne parlo anch’io, a volte neppure io mi sopporto. La politica, l’ambiente, la pestilenza, i cambiamenti climatici, le liturgie, i diritti ottenuti e quelli negati, le guerre, i crimini, le finzioni religiose e le parole vuote. Ma oggi, voglio partecipare a questa solitaria cerimonia: il decesso del contadino.
«Cos’hai, padre? Non è niente, sto morendo».
Siamo in pochi ma è un gran bel trapasso e sarà un magnifico funerale. Il funerale del contadino disincantato e lasciato solo dal suo Paese, dalla “sua gente”, con il rammarico di aver messo a tacere con la banalità globale e l’inquietudine del profitto sfrenato, proprio la parte più umana, i saperi, e aver indossato ipocrisie, furbizie e tanta, troppa meschinità in una ripetizione di meccanicismi bizzarri. I “piani di sviluppo rurale” e aggiungo politici, in cui non siamo più in grado di distinguere un pomodoro da un pezzo polistirolo rosso, fieri di acquistare e ingurgitare ad ogni stagione ciò che non sarà, ma è già merda.
E mentre da qualche parte si gioca a fare la guerra, alla radio, mi annunciano che verosimilmente scarseggerà il cibo, tutto aumenterà e che alla fiera dell’est, per due soldi un topolino mio padre comprò e che poi venne il gatto, che si mangiò il topo, eccetera.
Una crisi alimentare? Anche, ma credo soprattutto una crisi sociale, culturale, una triste verità che affiora dall’affossamento del mondo rurale e quell’autosufficienza che abbinata alle conoscenze di oggi garantirebbe benessere e qualità. Sarà un magnifico funerale eco-insostenibile, al quale molti contadini hanno contribuito, così come tanti, troppi di questa evoluta società.
Io, sono un analfabeta, ma ciò che mi sento di dire è di “tornare a casa”. A casa, come utero materno, ventre creativo, modernità, calore ancestrale, condizione dell’anima. Per noi e per quei contadini scavati dalla saggezza, dai rituali, che rimangono nelle storie tramandate o in quelle di oggi, che a fatica, emergono da queste miserie.
Torniamo ad essere madri, padri, figli che affondano nella terra dei principi.
Torniamo a casa, ovunque sia.