«Storia e tradizioni non bastano, serve un progetto condiviso»
Giovanni Facco, la logistica, il territorio. Un'analisi finale (con considerazioni) sulle potenzialità della provincia di Alessandria
Tutto ruota attorno all’innovazione, al saper essere competitivi. Occupazione, start-up, ricchezza, esportazioni e benessere delle aziende sono strettamente correlate con il loro grado di ‘resilienza’ e modernità. Il Report Provinciale sviluppato da Il Comunicatore Italiano (Pier Domenico Garrone e Giovanni Facco in particolare), nel corso delle settimane ci ha mostrato – dati alla mano – quello che sapevamo, ma non speravamo. «L’attenzione ai dati è utile solo a capire dove si è collocati, che cosa non si è fatto nei tempi passati – spiega Facco – Serve a capire che fermi non si può stare o si sale o si scende in termini di sviluppo, benessere e ricchezza. E cosa fare per crescere. Oggi abbiamo una grande opportunità data dal Pnrr che non possiamo permetterci di sprecare; i nostri nonni e padri hanno fatto molto di più in condizioni di ricchezza e di benessere di gran lunga peggiori di oggi è necessario cambiare passo».
Qual è la sua prima impressione sulla provincia di Alessandria?
Lo sviluppo di un territorio mette in gioco molti più attori rispetto ad un tempo. Richiede una partecipazione sinergica e di integrazione che deve generare una vision condivisa di progetti, di azioni, di percorsi: questo a medio temine forse manca e ci si muove in maniera disordinata e i risultati si vedono da queste analisi. Un territorio è dinamico solo se è attrattivo, cioè attira risorse (economiche, imprese, risorse umane di qualità, centri di ricerca…).
Come si può rendere più attraente questo territorio?
Tre sono le condizioni di fondo perché ciò avvenga, tenendo ben presente che la provincia di Alessandria ha una collocazione geografica strategica tra Torino, Milano e Genova e una distanza tra queste città di non più di 40 minuti che sono destinati a ridursi: servizi offerti al pubblico (le amministrazioni), un sistema produttivo dinamico e qualificato e avere un progetto.
Di che tipo di progetto stiamo parlando?
È indispensabile avere una visione a medio termine per sapere dove si vuole andare e che cosa vuole essere un territorio. Intendo valorizzare le vocazioni sulla base della storia, della tradizione e della identità, per esempio. Il progetto dà il senso sia del lavorare e costruire insieme, ma anche del differenziale territoriale e storico, elemento molto radicato che deve diventare un punto di forza. E la provincia di Alessandria possiede un patrimonio elevatissimo.
Da dove si può, per così dire, partire per un progetto a medio termine?
Serve una strategia per i prossimi 10 anni: fare investimenti e dove, fare innovazione dove, fare ricerca dove e con chi. Creare le opportunità per una crescita dimensionale delle imprese, aiutando quelle familiari al ricambio generazionale con il supporto di manager e scuole manageriali. Sostegno all’export: si ricorda che l’innovazione non è un fattore ‘solitario’, ma è il risultato di un processo interattivo che necessariamente coinvolge più soggetti: imprese, università, centri di ricerca, pubblico e privato e finanza e la loro forza sta nel fare sistema. La provincia ha un patrimonio di industrie di servizi di tutto rispetto: ciò va valorizzato e integrato, ma ciascun deve fare bene il suo mestiere e, anche, fare sistema.
La provincia è un malato senza speranza?
Sono ottimista, ma ognuno deve fare il suo mestiere. La provincia ha un potenziale logistico non indifferente, di infrastrutture, inserito in un territorio a 40 minuti dalle principali regioni italiane, con quattro aeroporti e otto università. Ma ci sono tanti punti critici. Quasi tutti gli indicatori del Piemonte non brillano per tasso di crescita: in 12 anni la crescita è stata del 7%, la Lombardia del doppio. È anche il contesto che la condiziona. La sensazione è che si viaggi senza bussola, il che significa consumare e non investire. È una scommessa, ma non impossibile.