Film della Memoria: “Anna Frank e il diario segreto”
Il 27 gennaio di ogni anno – a partire dal 2005, in cui venne ratificata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite la volontà di ricordare e celebrare la liberazione dei campi concentramento nazisti e la fine dell’Olocausto, scegliendo come data simbolica il giorno in cui i soldati dell’Armata Rossa entrarono ad Auschwitz – la Giornata della Memoria diventa il contenitore a livello internazionale di tutta una serie di attività, anche culturali e artistiche, con l’obiettivo di mantenere vivo il ricordo di una immane e quasi inenarrabile tragedia della Storia.
Anche il cinema non è da meno e più che mai diviene, in questo caso, un formidabile strumento di narrazione e riflessione su ciò che è avvenuto e che è auspicabile non accada mai più, al di là di ogni possibile strumentalizzazione o banalizzazione della ricorrenza.
Era atteso in questi giorni anche nelle sale italiane, ma è stato temporaneamente rimandato a causa del riacutizzarsi della pandemia, “Anna Frank e il diario segreto” del regista israeliano Ari Folman e della disegnatrice Lena Guberman (autori anche di “Where is Anna Frank”, graphic novel di recente pubblicazione – in Italia – per la casa editrice Einaudi), che hanno accettato la sfida lanciata dalla Fondazione Anna Frank di Basilea, ovvero trovare una modalità di narrazione adatta a raccontare alle più giovani generazioni tutto l’orrore della Shoah.
Per questo motivo Folman (già autore – nel 2008 – del piccolo gioiello “Valzer con Bashir”, costruito sui ricordi della sua stessa esperienza come militare nel Libano del 1982, e figlio di due ebrei polacchi sopravvissuti all’Olocausto, entrati ad Auschwitz negli stessi giorni in cui la famiglia Frank arrivava a Bergen-Belsen, dove la giovane Anna, appena quindicenne, perderà la vita nel febbraio del 1945) e Guberman sono ricorsi all’animazione, partendo proprio dal celeberrimo Diario e ampliandolo attraverso la figura dell’amica immaginaria Kitty, alter-ego dell’adolescente ebrea tedesca che attraverso la scrittura ha offerto al mondo la sua drammatica e dolorosa esperienza da reclusa in un appartamento di Amsterdam.
Pare che sia stata proprio la madre ultranovantenne del regista a spingere il figlio a realizzare il film, dicendogli: «Se porterai sullo schermo il Diario di Anna Frank resterò in vita abbastanza a lungo per vederlo. Altrimenti puoi anche chiamare le pompe funebri».
Nell’immaginario di Folman, Kitty si trasforma in una ragazzina dai capelli rossi dei giorni nostri, che a partire dalla visita alla casa-nascondiglio di Anna decide di compiere un viaggio tra presente e passato, ricostruendo la sua travagliata storia con accanto a sé Peter (non casualmente il nome fa riferimento al ragazzo, coetaneo della Frank, che condivise con lei il forzato periodo di segregazione dalle prime settimane del luglio 1942 al 4 agosto 1944), che lavora indefessamente per aiutare i rifugiati e, in particolare, la profuga del Mali Ava con la sua famiglia, a forte rischio di espulsione dall’Olanda.
«Anna Frank ci ha lasciati numerosi dettagli su Kitty, sulla sua identità, sul suo fisico e sulla sua personalità», spiega Ari Folman nel corso di un’intervista a cura di Fabio Ferzetti per “Il Messaggero”.1 «Ho voluto fare di Kitty l’alter ego di Anna. L’ho immaginata estroversa e combattente. Non ha dei genitori che le impongono limiti o restrizioni, nessuno ne critica l’operato o i gesti. Kitty è libera di fare tutto ciò che Anna non ha potuto e ha solo sognato: si confronta con gli orrori della Shoah ma anche con quelli del mondo contemporaneo. È un’attivista e opera per le associazioni che difendono i migranti. È una ragazza di oggi che si interessa ai problemi del mondo e che, sulle orme di Anna, si imbatte in giovani che come lei fuggono da zone di guerra. I migranti come Ava le ricordano Anna e la sua breve vita».
Importanti, risultano, dunque, la messa in evidenza da parte della narrazione dei costanti parallelismi tra gli avvenimenti entrati a far parte della memoria storica e quelli attuali, così come il tentativo di denunciare e andare oltre una certa riduzione strumentale della tragica vicenda di Anna Frank a mito pop contemporaneo svuotato di senso: un’involuzione sempre in agguato, a causa del trascorrere del tempo e dell’oblio della memoria di cui può cadere preda chi non ha avuto modo di conoscere neppure attraverso testimonianze indirette quanto è accaduto.
Un oblio pericoloso, in grado di fomentare odi e pregiudizi razziali non del tutto sopiti, come ricorda lo stesso Folman: «Iniziata a fine 2013, in un primo momento la sceneggiatura guardava a ragazzine in zone di guerra che hanno vissuto esperienze simili a quelle di Anna Frank. Quando l’afflusso di immigrati da paesi in conflitto ha raggiunto il suo picco, nel 2018-19, ho modificato la seconda parte dello script focalizzandolo sui bambini che fuggono dai loro paesi per cercare salvezza in Europa. Non è però mia intenzione mettere la Shoah e l’immigrazione sullo stesso piano. Ho voluto semmai ricordare come il venti per cento dei bambini di tutto il mondo sia in pericolo di morte perché vive in zone di guerra. Sensibilizzare l’opinione collettiva era il mio obiettivo. Viviamo purtroppo in un momento storico in cui l’antisemitismo si è fatto fin troppa strada».
“Anne Frank e il diario segreto” (“Where is Anne Frank”)
Regia: Ari Folman
Genere: animazione
Origine e durata: Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Israele, 2021; 99’
Cast: Emily Carey – Anne Frank (voce), Sebestian Croft – Peter van Daan (voce), Ruby Stokes – Kitty (voce)
Sceneggiatura: Ari Folman
Fotografia: Tristan Oliver
Musiche: Ben Goldwasser, Karen O.
Montaggio: Nili Feller
Scenografia: Lena Guberman
Suono: Aviv Adelma
Produzione: Samsa Film, Doghouse Films, Purple Whale, Walking The Dog, Bridgit Folman Film Gang, Submarine, Le Pacte
Distribuzione: Lucky Red