Il loro nome deriva da due parole: crittografia e valuta. E stanno facendo molto discutere
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Crypto e fisco: cosa dice la Legge
Il fascino delle criptovalute deve fare i conti con la fiscalità
La questione del rapporto fra criptovalute e fisco in Italia è abbastanza controversa in mancanza di una specifica normativa finanziaria e fiscale. Le risposte in proposito dell’Agenzia delle Entrate e anche alcune sentenze sembrano chiarire che le criptovalute ed eventuali plusvalenze da esse generate debbano rientrare nella dichiarazione dei redditi. Anche se tecnicamente questo genere di fonti non costituisce un precedente vincolante per la platea dei contribuenti è pur vero che esse hanno un forte valore di orientamento in quanto raccomandazioni. Ma andiamo con ordine.
Diffusione delle criptovalute
Si stima che a livello globale i detentori di criptovalute fossero circa 5 milioni nel 2016. Nel 2020 questi numeri hanno avuto un incremento esponenziale: oggi sono circa 100 milioni gli utenti che possiedono o utilizzano criptovalute. Ed è una stima che deriva soltanto dalle più grandi piattaforme di scambio al mondo, senza tener conto della DeFi che ultimamente si sta affermando alla grande. Di conseguenza, soprattutto a causa dell’ascesa di Bitcoin, la più celebre criptovaluta, le nazioni in tutto il mondo cercano di implementare normative legislative e fiscali allo scopo di dare regole al fenomeno, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo delle criptovalute in campo finanziario, ossia il loro scambio al fine di rivenderle a un prezzo maggiore e ottenere così una plusvalenza.
Le criptovalute sono valuta estera?
La BCE, esprimendo il suo parere su una futura direttiva europea da adottare a propositi delle criptovalute, lo nega nel suo parere del 18 ottobre 2016: “In primo luogo, le «valute virtuali» non possono qualificarsi come valute dal punto di vista dell’Unione. In conformità ai Trattati e alle disposizioni del Regolamento (CE) n. 974/98 del Consiglio, l’euro è la moneta unica dell’unione economica e monetaria dell’Unione, ossia degli Stati membri che lo hanno adottato come valuta. In linea con questo approccio, già adottato o preso in considerazione in vista della sua adozione da altre giurisdizioni che disciplinano piattaforme di cambio di valute virtuali, compresi Canada, Giappone e Stati Uniti, la BCE raccomanda di definire le valute virtuali in modo più specifico, in modo da chiarire espressamente che le valute virtuali non costituiscono moneta legalmente istituita o denaro”.
Le direttive europee stabilite negli anni successivi, anche tenendo conto del parere della Banca Centrale Europea, lo hanno confermato: la Direttiva (UE) 843/2018 — che esclude anche che il wallet sia assimilabile a un conto corrente — stabilisce che le valute virtuali “non posseggono lo status giuridico di moneta o valuta” e la Direttiva (UE) 713/2019 conferma che le valute virtuali “non posseggono lo status giuridico di moneta o valuta”.
Le criptovalute e il fisco in Italia
L’Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione 72/E del 2016, anche se riconosce che valuta estera e criptovaluta sono due cose diverse, ai fini fiscali si uniforma a quanto scritto dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14. Riportiamo per esteso quanto scrive l’Agenzia:
“In tale occasione, sebbene agli effetti dell’Iva, la Corte europea ha riconosciuto che le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti, costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso. Più precisamente, secondo i giudici europei, tali operazioni rientrano tra le operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE. In assenza di una specifica normativa applicabile al sistema delle monete virtuali, la predetta sentenza della Corte di Giustizia costituisce necessariamente un punto di riferimento sul piano della disciplina fiscale applicabile alle monete virtuali e, nello specifico ai bitcoin. In ossequio a quanto affermato dai giudici europei, pertanto, si ritiene che l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolta in modo professionale ed abituale, costituisce una attività rilevante oltre agli effetti dell’Iva anche dell’Ires e dell’Irap”.
Conseguenza pratiche ai fini fiscali
E quindi? Come si dichiara, ad esempio, una plusvalenza derivante da criptovalute? In questa situazione controversa e senza addentrarsi nei dettagli giuridici possiamo intanto dire che almeno per quanto riguarda le criptovalute fungibili (escludendo quindi gli NFT sulla cui tassazione l’Agenzia delle Entrate non si è ancora espressa) il contribuente in quanto persona fisica residente in Italia è tenuto a inserirle nella propria dichiarazione dei redditi e, in alcuni casi, a pagarne le relative imposte (miner, trader professionisti e società che detengono criptovalute hanno un diverso regime di tassazione).
In pratica è necessario dichiarare, nel quadro RW, il controvalore in euro di tutte le criptovalute detenute al 1° gennaio e al 31 dicembre, utilizzando i relativi tassi di cambio. Tale dichiarazione non comporta il pagamento di tasse, ma la mancata dichiarazione può causare sanzioni. Inoltre, unicamente per quanto riguarda le cessioni a pronti (cioè quelle in cui lo scambio è immediato), bisogna controllare, sommando il saldo di tutti i wallet di criptovalute e di tutti i conti correnti in valuta fiat (dollari, yen, ecc.), se il controvalore in euro è superiore al limite di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi consecutivi nell’anno solare, secondo i tassi di cambio del primo gennaio. Nel caso in cui tale limite sia stato superato anche solo una volta durante l’anno (e a prescindere dal superamento della soglia nelle cessioni a termine, in cui lo scambio è posticipato nel tempo), è necessario calcolare le plusvalenze e minusvalenze realizzate dalla cessione di criptovalute, secondo il metodo di calcolo LIFO. In caso di plusvalenza, il contribuente dovrà pagare il 26% dell’importo; in caso di minusvalenza potrà dedurla nell’esercizio in corso e nei quattro anni successivi. Per cessione tassabile si intende anche il pagamento di beni o servizi (ad esempio l’acquisto carburante con Bitcoin) e lo scambio di criptovaluta con altra criptovaluta (ad esempio Bitcoin/Ether), non soltanto la conversione di criptovaluta in euro.