Il 2 dicembre è la Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù
Il 2 dicembre si celebra la Giornata internazionale per l’abolizione della schiavitù, istituita proprio questo giorno in ricordo della data di approvazione da parte dell’Assemblea generale della Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui, avvenuta il 2 dicembre 1949 ed entrata in vigore il 21 marzo 1950.
La schiavitù infatti non è una colpa relegata al passato: secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), più di 40 milioni di persone in tutto il mondo sono vittime della schiavitù moderna. Questa giornata pone l’attenzione sullo sradicamento delle forme contemporanee di schiavitù, quali la tratta di persone, lo sfruttamento sessuale, le peggiori forme di lavoro minorile, i matrimoni forzati e il reclutamento forzato di bambini nei conflitti armati. Secondo fonti europarlamentari la tratta di persone, ad oggi, è particolarmente attiva, coinvolgendo ogni anno 700.000 persone. A condurre questo traffico internazionale sono prevalentemente organizzazione criminali transnazionali, creando profitti per 150 miliardi di dollari all’anno, danneggiando quindi inevitabilmente le economie e quindi i cittadini di tutti gli Stati.
L’OIL ha adottato un nuovo protocollo giuridicamente vincolante, entrato in vigore nel novembre 2016, volto a rafforzare gli sforzi globali per eliminare il lavoro forzato.
La storia della schiavitù
Per definizione un uomo è considerato schiavo quando appartiene ad un altro uomo: egli non è libero, non ha beni in proprietà e anche i suoi figli saranno schiavi. Nella storia le guerre giocarono un ruolo fondamentale come principale fonte di schiavitù, infatti spesso i nemici sconfitti venivano uccisi o ridotti in schiavitù. Altre cause di questa condizione potevano essere debiti non saldati o i crimini gravi.
A volte la schiavitù poteva essere temporanea, e terminare per diverse ragioni:
- un debitore insolvente serviva il proprio creditore solo per il periodo di tempo stabilito dal giudice;
- il padrone poteva donare la libertà per generosità o come premio per la dedizione con cui era stato servito;
- un amico o parente riscattasse uno schiavo con una somma di denaro;
- lavorare per altri padroni e pagare il riscatto con il proprio guadagno.
Dalle origini al Medioevo
Con la nascita dell’agricoltura, nacque anche la prima forma di schiavitù: essa è documentata nelle principali civiltà antiche come Mesopotamia (Sumeri, Assiri e Babilonesi), Medio Oriente (Ittiti, Ebrei), Egitto, India, Cina.
In età micenea e omerica dell’Antica Grecia la società si articolava in famiglie patriarcali, con pochi schiavi, trattati solitamente con umanità. La situazione della schiavitù si aggravò con lo sviluppo economico, peggiorandone le condizioni: la percentuale di schiavi sulla popolazione divenne alta con il 25% in Attica, il 50% in alcune città, mentre Atene tra il 5° e il 4° secolo a.C. raggiunse i 100.000 schiavi.
Nell’Impero romano la schiavitù ebbe un decorso simili a quello greco: dopo la fase della famiglia patriarcale, l’aumento degli schiavi si ebbe con le guerre di conquista del 3° secolo a.C. Gli schiavi vi ebbero in genere un trattamento peggiore che in Grecia. Furono numerose le rivolte, punite con la crocifissione: la più famosa quella di Spartaco che coinvolse decine di migliaia di schiavi. La diffusione del cristianesimo contribuì a umanizzare il trattamento degli schiavi, ma non abolì la schiavitù, che fu confermata da imperatori cristiani come Costantino e Giustiniano.
Durante il Medioevo ci fu un notevole calo della schiavitù, lasciando il posto a nuove forme di sfruttamento, come la servitù della gleba. Continuò a prosperare invece nel mondo islamico dove Arabi, Turchi ed ebrei, furono grandi mercanti di schiavi, ma anche le Repubbliche di Genova e Venezia ne esercitarono il traffico.
La tratta dei Neri
Lo schiavismo raggiunse il suo picco massimo con la tratta dei Neri dall’Africa all’America: i coloni spagnoli e portoghesi, ma anche inglesi, olandesi e francesi si specializzarono nella razzia o nell’acquisto dai mercanti locali di schiavi africani, che poi trasportavano e vendevano in America.
Le condizioni di trasporto degli schiavi erano drammatiche: incatenati nelle stive e con assoluta assenza di igiene, a destinazione ne arrivavano solo il 30%. Crebbe sempre di più nell’America Settentrionale (soprattutto negli Usa) una società razzista, con rigide divisioni tra Bianchi e Neri. Gli Africani deportati in America furono probabilmente all’incirca dieci milioni. Negli Stati Uniti superavano il milione all’inizio dell’Ottocento e i 4 milioni nel 1860, utilizzati prevalentemente nelle piantagioni di tabacco e di cotone del Sud.
Nel XVIII secolo, grazie anche alla diffusione delle idee illuministe, i governi diminuirono e abolirono il commercio e l’uso di schiavi, e alla fine dell’Ottocento gli Stati europei si impegnarono ad abolirla anche nelle colonie africane.
Purtroppo, nonostante la severa condanna che la nostra società cerca di esercitare sulla schiavitù, questa esiste ancora: il traffico internazionale di bambini o di ragazze costrette alla prostituzione rappresenta una forma di schiavitù di fatto, che coinvolge anche l’Europa.