“Alessandria è una città che deve tornare capoluogo”
Daniele Borioli (Pd), le Amministrative e il futuro del territorio
ALESSANDRIA – Pubblichiamo un intervento dell’ex senatore Daniele Borioli, attuale tesoriere regionale del Partito democratico, sul futuro di Alessandria.
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Alle prossime elezioni comunali di Alessandria si giocheranno due partite altrettanto importanti: quella per dare una buona amministrazione civica alla città; quella per riconquistare ad Alessandria un’autorevole funzione di “capoluogo”, non solo nominale ma legata alla capacità di dare una direzione e una guida agli sviluppi del territorio provinciale.
La provincia di Alessandria è, da sempre, “policentrica”, soggetta a spinte centrifughe impresse dai diversi centrizona; spinte che, per alcuni aspetti, sono anche positive, nel loro raccogliere le diverse vocazioni territoriali, ma che rischiano, se non governate da un disegno generale inclusivo, di creare frammentazione. Questo lavoro, prima della sciagurata “riforma” Delrio, lo svolgeva l’amministrazione provinciale; ora tocca al comune capoluogo tentare di farlo. Mi piacerebbe che questo fosse un terreno aperto di confronto nella campagna elettorale e, certamente, come vecchio dirigente del Pd, spero che il nostro candidato e la nostra coalizione profondano un impegno intenso su questo fronte. I temi sono molteplici; mi limito però a indicarne alcuni.
La sanità
Il primo, anche per la drammatica contingenza nella quale ancora ci troviamo a causa della pandemia, è quello della sanità, i cui limiti strutturali sono emersi in tutta evidenza con il Covid19. Su questo fronte, la questione del nuovo Ospedale di Alessandria è cruciale non solo per la città, ma per tutto il territorio vasto. L’opzione di un nuovo presidio ospedaliero di alta qualità ed adeguata specializzazione va pensata e progettata in relazione al ridisegno complessivo della sanità territoriale, che possa al tempo stesso superare le spinte dei “campanili”, senza lasciare però comunità e territori impresidiati da un’adeguata offerta di base.
Questo disegno complessivo non può essere tracciato senza pensare a come ridefinire, anche in sua funzione, il sistema del trasporto pubblico locale, quello della ricerca legata alla nostra università, e così via. Il consigliere regionale Ravetti insiste da tempo su questi punti, che ora occorre diventino punto focale nel dibattito politico, prima che la campagna elettorale entri in quel “vivo” in cui prendono il sopravvento, com’è naturale, gli strumenti della propaganda.
L’Università
Il secondo riguarda proprio il futuro dell’Università “Amedeo Avogadro”: una grande conquista, forse la più rilevante, messa in cassa dal nostro capoluogo dopo un lavoro lungo e paziente, avviato dalle giunte di sinistra e portato a termine dalle giunte comunale e provinciale guidate da Francesca Calvo e Fabrizio Palenzona.
Questa conquista non si è ancora tradotta nella piena realizzazione dell’obiettivo di fare di Alessandria una “città universitaria”, all’altezza di questo nome e riferimento solido per tutta la comunità provinciale. I cui studenti universitari, in parte tuttora rilevante, per svariate ragioni continuano a guardare Torino, Genova, Pavia. Il salto di qualità necessario perché Alessandria diventi una moderna e attraente città universitaria coinvolge molteplici aspetti e non può essere visto come questione domestica: pena, il fallimento.
Occorre potenziare i servizi per il diritto allo studio, forse a oggi i più deboli in rapporto a quelli offerti dalla altre due città dell’ateneo tribolare; occorre sviluppare una rete di servizi culturali di livello non solo locale; occorre rafforzare le relazioni tra studenti e docenti delle tre sedi universitarie, poiché l’esperienza universitaria si nutre e si rafforza nell’interazione multidisciplinare; occorre programmare e potenziare servizi di collegamento adeguati e rapidi tra le tre sedi universitarie, con navette ferroviarie dedicate (una sorta di “Unitreno”, a disposizione di studenti e docenti), che intercettino anche gli obiettivi della transizione ecologica.
La cultura
Il terzo tema è proprio quello della quantità e della qualità dell’offerta culturale. Il teatro comunale, chiuso e muto come un fantasma immobile, da lunghissimi anni, nel cuore della città è il simbolo più evidente di una caduta di ruolo di Alessandria rispetto alla sua provincia, e non solo.
L’assenza di una struttura teatrale di altro profilo e grande capacità di accoglienza costituisce non solo un minus dolorosissimo per la comunità locale, ma un buco nero che intacca la stessa identità culturale della Provincia. So che si tratta di un problema di non facile soluzione, ma so anche che il problema non riguarda solo gli alessandrini ma tutti i cittadini di un territorio ben più ampio, e auspico che occupi un posto centrale nei programmi della futura amministrazione. E, ovviamente, che soprattutto il Pd e il centrosinistra lo collochino al centro dei propri obiettivi programmatici.
Abbiamo alle spalle l’incomprensibile accantonamento dei progetti e dei finanziamenti per la Cittadella, stanziati dal Mibac; abbiamo perso, senza neppure tentare il colpo, l’opportunità di avere in Alessandria la biblioteca del nostro più illustre concittadino, Umberto Eco; e l’elenco potrebbe continuare. Ma il succo è, semplicemente, che non si può continuare sulla strada dell’abbandono: gran parte dei capoluoghi di provincia e, in genere, delle medie città italiane stanno qualificando e innovando la propria identità proprio facendo perno sulla proposta culturale. Ed è evidente che, anche in questo campo e anche qui, occorre una svolta.
La logistica
Quarto tema, a me particolarmente caro, è quello della logistica. Parto da una riflessione anche autocritica, essendo stato a suo tempo uno dei promotori di questa idea di sviluppo del nostro territorio. I fatti: sono passati più vent’anni dal lancio di quell’idea e siamo fermi al palo. I 10 milioni che la giunta Bresso aveva stanziato per collegare lo smistamento ferroviario al sistema tangenziale/autostradale furono cancellati dalla giunta Cota; da allora, gli unici finanziamenti arrivati sono i due milioni stanziati dal governo per uno studio di fattibilità, ormai quasi tre anni fa: difficile immaginare che qualcosa di significativo si possa muovere, ammesso che si muova, prima di qualche anno.
Nel frattempo, l’unica chance concreta che stava in campo con manifesto interesse di operatori disponibili a investire, quella di Novi San Bovo, è stata accantonata, senza alcuna contropartita; i 40 milioni disponibili per lo sviluppo locale nella partita del Terzo Valico sono stati dispersi in rivoli avulsi da un disegno comune, e lo stesso consistente ingresso di Alessandria nella partita è stato orientato verso il finanziamento di un’opera utile (il secondo ponte sul Bormida) ma di dubbia attinenza con il disegno di sviluppo legato alla logistica. Nel frattempo, tutto intorno sono cresciute le realtà di Piacenza e Castel San Giovanni a sud-est, di Novara e Mortara a nord e nord-est, mentre sul territorio l’unica realtà operativa è quella di Rivalta Scrivia, che nessuno ha interesse a deprimere.
Dunque, tutte queste cose messe insieme, pongono a un appassionato del tema come me una domanda non aggirabile: è ancora quella definita oltre vent’anni fa l’impostazione da dare alla materia? O non emergono oggi altre emergenze cui il governo del territorio deve provare a dare risposta? Le elenco: al di là della loro destinazione d’uso, le aree di scalo ferroviario abbandonate, sia a Novi che ad Alessandria, costituiscono un fattore rilevante di degrado ambientale e di spreco della risorsa suolo, che per dimensione riguarda tutta l’area vasta della provincia. Un fattore che contraddice palesemente gli obiettivi della transizione green fissati dal Pnrr: è evidente, perciò, che gli obiettivi di risanamento e bonifica, nonché di riutilizzo del suolo compromesso assumono una priorità che non avevano, o non avevano con questa urgenza, un ventennio fa.
Viceversa, mentre le ipotesi di riutilizzo di riutilizzo di quelle aree per il riequilibrio modale da gomma a ferro nel trasporto merci permane in una lista d’attesa d’indefinibile lunghezza, l’evoluzione più tangibile del sistema logistico alessandrino pare legata allo sviluppo di aree di sosta e ripartenza dei tir, le cosiddette aree buffer, che per di più, almeno in alcuni casi pare non si intendano collocare nelle aree già compromesse (ad esempio, appunto, quelle degli scali inutilizzati) ma su terreni che si andrebbero ulteriormente a consumare. Su queste dinamiche, che in gran parte peraltro non dipendono solo dagli attori locali, nessuno ha meriti o colpe.
Ma forse è il momento di avviare un confronto largo, che proprio il capoluogo potrebbe stimolare, su quelle che sono oggi le priorità e le reali opportunità, per far fronte comune verso gli organi di governo superiori e ottenere, magari proprio nei fondi del Pnr risorse adeguate alla sfida. Infine, ancora sulla logistica, oggi non può essere eluso un tema che sta sempre di più assumendo i caratteri dell’emergenza: quello che riguarda la stabilità e la qualità del lavoro in questo delicato settore.
La globalizzazione, tra i molti suoi aspetti anche positivi ha messo in evidenza, in negativo, l’enorme massa di lavoro dequalificato, precario e privo di diritti, talvolta connotato da una condizione di sfruttamento estremo , che si annida proprio nel campo della logistica. Oggi, in particolare per una forza come il Pd e per tutto il centrosinistra, la progettualità circa lo sviluppo della logistica non può eludere gli obiettivi di un’occupazione non solo quantitativamente significativa ma anche qualitativamente dignitosa e stabile.
I trasporti
Infine, i trasporti. Ho denunciatolo in modo colorito lo stato di desertificazione in cui versa la stazione ferroviaria di Alessandria. Quello stato è l’immagine evidente della condizione di marginalità in cui è caduto quello che per decenni è stato uno snodo fondamentale del sistema ferroviario italiano. Su come rilanciarlo esistono diversi studi e progetti, anche stimolanti e interessanti. Ma, anche in questo caso, occorre che il capoluogo sappia porsi come capofila di una visione più ampia, che non riguardi solo, ad esempio, il pur necessario rafforzamento dei collegamenti ferroviari tra Alessandria e Milano, ma riproponga Alessandria e la sua stazione quali players determinanti di quella che nel corso di un recente convegno l’onorevole Fornaro ha definito una robusta “cura del ferro”.
Una prospettiva che riguarda la capacità di riproporre il nodo alessandrino: sia come perno di una rete di collegamenti di media e lunga percorrenza, lungo gli assi ferroviari non serviti dalla rete ad alta velocità, che potrebbe cogliere la domanda di gran parte del Piemonte sud, non fosse oggi un’impresa eroica e senza tempo raggiungere Alessandria dal Cuneese; sia come base di rilancio per i servizi ferroviari locali e interregionali, anche in chiave di valorizzazione turistica del territorio.
Ho già detto dell’esigenza di una navetta ferroviaria che colleghi tre poli dell’Università “Avogadro”, ma anche verso la Liguria mi domando quanto potenziamento dei servizi passeggeri su ferro si potrebbe realizzare lungo le direttrici per Genova e Savona, non solo sugli assi che attraversano le Valli Scrivia e Polcevera, ma anche quelli che passano attraverso Ovada e Acqui, investendo in quella direzione un monte di risorse analogo a quello che servirebbe per realizzare quella “faraonica” autostrada tra Predosa e Alberga, riesumata solo alcuni giorni fa.
Gli obiettivi
Come dicevo all’inizio di questa lunga riflessione, gli argomenti potrebbero essere molti ancora, ma già quelli toccati sono indicativi di quanto il ruolo che saprà giocare la prossima amministrazione alessandrina inciderà su un ambito territoriale ben più ampio della cinta daziaria. Ed è questo il fondamentale tratto, anche di metodo, con il quale mi auguro, in generale ma soprattutto per quanto riguarda il Pd, il centrosinistra e chi si candiderà a sindaco, si affronti la prossima sfida elettorale.
La tessitura di alleanze politiche e sociali sulla scala locale è certamente indispensabile, ma può non essere sufficiente, non solo e non tanto a vincere le elezioni, ma soprattutto per fare in modo che Alessandria, oltre a darsi un “buongoverno”, sappia conquistare quel ruolo guida del territorio provinciale di riferimento, di cui dalla mutilazione delle province in qua sempre più si avverte la mancanza.